giovedì 16 dicembre 2010

E ora la Cgil ha il problema dello sciopero generale

Il 20 Direttivo nazionale
Fabio Sebastiani
«In realtà, non c'è più una maggioranza politica». Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, sceglie una linea prudente e aspetta gli eventuali sviluppi della crisi politica. Il primo ad essere chiamato in causa dopo la riconferma del premier in Parlamento è proprio il sindacato di Corso d'Italia che con la manifestazione del 27 novembre (e il direttivo del 17 setetembre) aveva rinnovato la sua ostilità al Governo. Torna in campo lo sciopero generale? Dalle parole di Camusso non si capisce quale direzione è pronta a prendere la Cgil. Il primo appunto è per il 20 dicembre, in cui si riunirà il Comitato direttivo nazionale. Per ora la leader della Cgil parla il linguaggio del "partito politico": «Se non ci sono le condizioni per riavere un governo del Paese, è meglio andare alle urne». «Il vero problema è che non c'è più il Governo, mentre la crisi continua a mordere pesantemente - aggiunge Camusso -. Saggezza e attenzione per il Paese richiederebbero di determinare un'agenda che si occupi della crisi, guardando all'occupazione e al lavoro. Temo, invece, che avremo una situazione di instabilità e code velenose che non saranno utili al Paese e che sono sempre un grande rischio».
Di segno nettamente contrario è il presidente del Comitato centrale della Fiom, per il quale non solo lo sciopero rafforza le sue ragioni, ma diventa «inevitabile, soprattutto contro Confindustria, dopo la criminalizzazione della Fiom da parte dell'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne». «La Cgil si deve sottrarre alla trattativa», aggiunge Cremaschi.
Contro l'«utilizzo strumentale» dello sciopero si schiera, invece, Nicola Nicolosi, segretario nazionale e leader dell 'Area programmatica "Lavoro Società", che ieri ha concluso i lavori dell'assemblea nazionale nella quale ha sottolineato di voler dar vita a una componente che riconfermi le ragioni del «sindacato di classe». «La piattaforma consegnata dalla Cgil ha bisogno di risposte chiare - dice Nicolosi - e quindi se queste non ci saranno dovremo prendere la decisione assunta il 17 settembre e rendere praticabile lo sciopero generale, probabilmente per la metà di febbraio. Siamo arrivati al punto di non poter più rinviare l'agenda sociale».
Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil esulta per la grande riuscita della manifestazione degli studenti contro la riforma Gelmini. «Ha nei fatti sancito la evidente frattura tra il Governo Berlusconi e le tantissime ragazze e ragazzi che hanno animato i cortei in tutta Italia». «Le violenze scatenate dai Black bloc - osserva in una nota - devono essere condannate senza alcuna giustificazione perchè hanno offuscato una giornata di mobilitazione che voleva e doveva a essere pacifica. Quei provocatori non hanno nulla in comune con le ragioni della protesta e sono rimasti isolati nell'enorme corteo di Roma».

Liberazione 15/12/2010, pag 4

«Distanze incolmabili», finisce così l'incontro tra Fim, Fiom e Uilm

Fabio Sebastiani
L'incontro andava fatto. E l'incontro c'è stato. Ma quello che si è tenuto ieri tra i tre segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, alla fine, è stato il classico "giro di opinioni".
Dopo tre ore di confronto, restano «distanze incolmabili»: così sottolineano Uilm e Fim-Cisl. Per la Fiom resta fermo il no ad un confronto sul modello dell'accordo separato firmato da Fim e Uilm per lo stabilimento di Pomigliano e al rischio che si arrivi «per ogni azienda a discipline speciali con condizioni peggiorative rispetto al Contratto nazionale», come sottolinea il leader dei metalmeccanici della Cgil Maurizio Landini. «Il giudizio di distanze incolmabili andrebbe rivolto non tanto alle posizioni tra sindacati ma alla posizione di Marchionne», aggiunge. Così per la Fiom-Cgil si va verso «una alterazione delle regole, a forzature di Fiat anche nei confronti di Confindustria e Federmeccanica che portano ad una balcanizzazione del sistema del contratto di lavoro».
Da Uilm e Fim, invece, la riconferma della disponibilità ad un confronto con Federmeccanica, con un incontro ancora da fissare ma che potrebbe tenersi lunedì prossimo, e con il Lingotto per riavviare il confronto sul futuro dello stabilimento di Mirafiori.
Il centro della scena lo tiene Sergio Marchionne e la sua idea "sfascista" sia verso il contratto nazionale che verso l'associazione degli imprenditori che, perdendo la Fiat, darebbe un segnale negativo al resto degli imprenditori. Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti sono ancora innamorati, chissà perché, dell'idea che qualsiasi cosa uscirà dall'incontro con Fiat resterà dentro «la cornice del contratto nazionale». Quello che loro intendono per contratto nazionale è, ovviamente, il modello scaturito dall'accordo separato del 2009. Ma anche quello, ormai, è carta straccia. Non a caso, ieri lo stesso Bonanni è stato costretto a lanciare l'ennesimo appello all'Ad della Fiat: Secondo il leader della Cisl «Marchionne deve confrontarsi con il fatto che ci sono sindacati che si sono presi le loro responsabilità e vogliono che l'azienda faccia altrettanto. Il primo punto - ha ribadito - è l'investimento, senza investimenti non ci sono lavoratori occupati e neanche associazioni da fare insieme a Confindustria o a chicchessia».
Confindustria è in evidente difficoltà. «Non so se nascerà un'altra organizzazione per l'industria dell'auto - dice il presidente di Federmeccanica Pier Luigi Ceccardi -. Noi stiamo lavorando intensamente e credo che approderemo a un risultato positivo e soddisfacente per Fiat». Anche il suo è un auspicio, che considera un po' troppo "diplomaticamente", la temporanea, uscita da Confindustria della newco tra Chrysler e Lingotto per Mirafiori.
Emma Marcegaglia, leader di Confindustria, respinge le accuse di essere a capo di una "armata Brancaleone". Chi lo afferma, dice «schiocchezze», è la replica. «Se una impresa ci chiede flessibilità, noi siamo in grado di darla», aggiunge. «Qui c'è un problema specifico di uno-due stabilimenti non gestiti, la Fiat chiede un cambiamento di regole molto forte». Secondo Marcegaglia, «la Fiat vive in alcuni suoi stabilimenti una situazione di forte complessità con il sindacato, di forte assenteismo. Oggi chiede di poter controllare e gestire meglio questi stabilimenti. C'è un sindacato, la Fiom - conclude - che non vuole portare avanti la strada del cambiamento. La Fiat chiede un meccanismo diverso di rappresentanze all'interno delle proprie aziende».
Di diverso avviso la segretaria della Cgil Susanna Camusso: «Considerare Confindustria come una porta girevole non credo proprio sia una legittimazione», dice. «La Fiat - sottolinea Camusso a margine della presentazione del libro di Raffaele Bonanni "Il tempo della semina", dove sono presenti anche Marcegaglia e Sacconi - utilizza una situazione di monopolio per pensare che si possano disfare le regole sulla rappresentanza.Questo non va bene. È un tema del quale dovrebbe occuparsi Confindustria».
La presentazione del libro è stata caratterizzata dall'ennesima protesta contro il segretario della Cisl. Un gruppo di 40-50 persone, tra lavoratori, cassintegrati, precari della scuola e studenti, ha esposto poco prima che avesse inizio la kermesse uno striscione con su scritto «contro il patto sociale sciopero generale». Il servizio d'ordine della Cisl si è attivato per fermare i manifestanti spngendoli fuori dall'auditorium.

Liberazione 14/12/2010, pag 5

Contro la Newco Italia

Giorgio Cremaschi
Mi è venuto spontaneo accostare l'entusiasmo per la brutalità di Marchionne espresso da una certa intellettualità italiana, vedi Paolo Mieli su "Il Foglio", con il linguaggio dei futuristi italiani. Non quelli di Fini, ma coloro che all'inizio del Novecento fondarono un movimento culturale che confluì in gran parte nello squadrismo e nel fascismo.
Secondo Mieli ed altri Marchionne disbosca i vecchi corporativismi e privilegi, distrugge l'Italia degli vincoli sindacali e dei contratti nazionali, crea finalmente il popolo adatto alla guerra di competitività. Cosa c'è di diverso, rispetto al linguaggio immaginifico di cento anni fa, che proclamava la guerra come sola igiene del mondo?
Né è meno reazionario l'intento di Marchionne. L'uscita di Mirafiori e probabilmente di tutta Fiat Auto dalla Confindustria, imposta da Marchionne umiliando la povera Emma Marcegaglia, è il segno di una svolta autoritaria nel mondo del lavoro senza precedenti dal ‘45 ad oggi.
Marchionne istituisce una nuova azienda, la famigerata "newco", solo per poter selezionare i lavoratori ai quali imporre condizioni di lavoro e diritti al di fuori dei contratti e delle stesse norme costituzionali. Ed esce dalla Confindustria solo e unicamente per ridurre ulteriormente le libertà democratiche in fabbrica e in particolare per non applicare le regole sulle elezioni delle Rappresentanze aziendali, al fine di escludere la Fiom da esse. Se Marchionne fosse un Presidente del Consiglio che chiede di mettere fuorilegge le opposizioni per ridurre il debito pubblico, il suo sarebbe considerato, anche tecnicamente, un progetto di colpo di stato fascista. Lo è limitatamente alla Fiat, per ora, ma l'entusiasmo con cui viene accolto fa pensare che il modello autoritario che propone parli purtroppo a tutti. L'ipocrisia di Raffaele Bonanni, che considera un problema di relazioni sindacali la messa al bando del primo sindacato italiano dei metalmeccanici dagli stabilimenti Fiat, non è solo una macchia vergognosa che rimarrà per sempre su tutta la Cisl e sul suo segretario, è anche il segno di una caduta dei livelli di guardia nei confronti dell'aggressione alla democrazia costituzionale.
La ministra Gelmini sta procedendo sulla stessa via nella scuola pubblica e nell'università. Si dà avvio allo smantellamento progressivo dell'istruzione pubblica, per selezionare una "newco" scolastica in mano ai privati e al mercato. Tutto questo è accompagnato da nuove norme autoritarie che colpiscono anche il diritto al dissenso degli insegnanti, che potranno essere sanzionati solo per quello che dicono ed esprimono. Per gli studenti che scioperano c'è la minaccia della bocciatura e le elezioni delle Rsu vengono cancellate. Fascismo chiama fascismo.
Marchionne annuncia che è finita l'epoca del diritto al lavoro per tutti e che il lavoro bisogna guadagnarselo proprio rinunciando ai diritti, allo stesso modo Gelmini incalza proclamando la fine del diritto allo studio. Perché tutti devono studiare? Solo coloro che servono davvero alle imprese e al mercato devono poter andare avanti nell'istruzione. Gli altri è bene che rinuncino e si rassegnino a una vita fatta di piccoli mestieri e di precarietà. Se avranno studiato di meno saranno meno scontenti. Del resto la cultura non si mangia, dice il ministro Tremonti, anche lui immemore dei proclami futuristi contro la cultura millenaria.
Dalla Fiat così come dalla scuola avanza un progetto reazionario per tutto il paese: è la "newco Italia". Basta con i diritti sociali, basta con il pubblico, basta con le garanzie per tutti, basta con l'eccesso di democrazia e di civiltà. Ora bisogna costruire il regime della competitività e per questo bisogna abbandonare come una fabbrica dismessa la vecchia Italia dei diritti e dei beni comuni, e selezionare una nuova azienda paese, per i combattenti e gli affari.
Il successo di regime di Marchionne si spiega proprio perché meglio di ogni altro egli propone la soluzione reazionaria alla crisi economica e al suo perdurare.
La globalizzazione ha rinunciato ormai alla sua promessa iniziale. Non c'è più alle porte un futuro radioso per tutti, ove gli individui crescono in ricchezza e benessere anche abbandonando i diritti collettivi. La stagnazione e la recessione economica impongono una selezione sociale verso il basso, a meno che non si voglia cambiare il modello di sviluppo, non si voglia redistribuire la ricchezza, non si voglia intaccare il potere dei potenti e dei ricchi. Che invece non vogliono cambiare nulla e per questo impongono una drammatica selezione sociale.
Mentre Berlusconi, comunque vada il voto in Parlamento, vede il tramonto del suo regime personale, quello che vogliono installare padroni come Marchionne si annuncia ancor più pericoloso e pervasivo, un disegno di drammatica esclusione sociale e democratica che ci troviamo di fronte in ogni ambito della vita produttiva, sociale e civile.
Per questo gli studenti, gli operai e i movimenti che alzano la testa si sono subito incontrati, nei sentimenti prima ancora che nei obiettivi. La manifestazione di oggi, quelle che verranno, sono la risposta di un'Italia che non ci sta a diventare una newco, che non accetta l'igiene barbara della guerra di selezione sociale e che è capace di riconoscere i disegni reazionari, anche se si mascherano sotto le luci e i colori della modernità.
Così come con Berlusconi, non ci sono compromessi possibili con Marchionne e con tutti coloro che pensano semplicemente di rovesciare il nostro sistema democratico in nome del mercato e della globalizzazione. Se si vuole che la democrazia e la civiltà in Italia riprendano a svilupparsi non ci sono vie di mezzo: i nuovi barbari della selezione sociale devono essere sconfitti. Fino ad allora dovremo semplicemente organizzarci e lottare.

Liberazione 14/12/2010, pag 1 e 5

E la Lega ritira fuori il contratto regionalizzato

Contratti di lavoro "regionalizzati", cioè legati al costo della vita nel territorio. È l'ipotesi lanciata ieri dalle colonne della "Padania" dal vicepresidente del senato e segretario generale del Sin.Pa (Sindacato Padano) Rosi Mauro, in risposta alla richiesta della Bce agli Stati europei di promuovere la moderazione e la flessibilità salariale. «Dobbiamo sgravare le buste paga - spiega Mauro - da quei meccanismi che aumentano il lordo all'inverosimile ma lasciano sempre inalterato il netto». Ma i tre sindacati confederali non ci stanno e bocciano la proposta senza appello. «Riproporre oggi la regionalizzazione dei contratti, in una fase di dura crisi economica, sociale e politica, risponde soltanto a interessi di carattere localistico, e soprattutto elettorale, che non a esigenze legate al mondo del lavoro, ovvero maggiori diritti e tutele per i lavoratori», spiega Vincenzo Scudiere, segretario confederale della Cgil. «A proposito del Nord, infatti, piuttosto che questa inutile discussione sui contratti - sottolinea - sarebbe interessante sapere cosa fa un importante partner del governo, qual è il Sindacato Padano, per quanto riguarda i lavoratori della Vinyls e di tutte quelle aziende del Nord-Est che dalla prossime settimane, dai prossimi giorni, non sapranno più quale sarà il loro destino».
E negativo è anche il giudizio della Cisl .«Quella dei contratti "regionalizzati" -commenta Annamaria Furlan, segretario confederale del sindacato- mi sembra una proposta assolutamente superata dall'accordo fatto sul nuovo modello contrattuale».

Liberazione 11/12/2010, pag 5

«Presto la Newco si allargherà ad altri settori»

Luciano Gallino sociologo
Fabio Sebastiani
Che quadro si prospetta a questo punto dopo la rottura consumata dall'Ad di Fiat Sergio Marchionne?
Le previsioni sono difficili naturalmente. La natura dello strappo, però, è più identificabile. Mi pare che Marchionne intenda importare in Italia la situazione delle relazioni industriali che ci sono ormai da tanto tempo negli Stati Uniti. Il quadro delle leggi americane su libertà di associazione sindacale sindacale, diritti del lavoro e normativa salariale è molto meno sviluppato rispetto a quello europeo, e italiano in particolare. Questa legislazione permette alle imprese di condurre relazioni e avere comportamenti che in Europa non sarebbero possibili. Più che infrangere la legge, si cambia radicalmente.

Arriveremo a un sindacato come negli Usa?
Negli Usa i sindacati sono stati costretti a subire e gravi fino agli anni settanta e ottanta. Allora un lavoratore su tre era sindacalizzato, oggi uno su dieci. Questo è dovuto al fatto di una legislazione che ha sempre picchiato forte sui sindacati. E anche quando la legge avrebbe permesso di tutelare un po' di più in realtà è stata sempre interpretata in modo molto restrittivo. Essendo Marchionne un nordamericano più che un itailano, la sua cultura è quella.

Importiamo in Italia un modello che ha funzionato là con quel tipo di economia...
Quel modello americano con la perdita di potere dei sindacati è costata carissima ai lavoratori americani. I salari americani in termini reali sono fermi a 35 anni fa. Con la crisi la disoccupazione americana tocca il 10% ufficiale e il15% se si allarga il cerchio agli scoraggiati e agli occasionali. Adesso anche gli americani stanno pagando durissimi costi per questo modello. Nonstante le centinaia di miliardi pompate nell'economia la disoccupazione non accenna a diminuire.

Quante probabilità di riuscire ha l'operazione?
In Europa si sta facendo parecchio per diffonderlo. Si sono dati molto da fare per descrivere il sindacato come un ferro vecchio.

Prenderà piede il "modello Fiat"?
Nonostante si sia parlato di periodo di transizione, non si tratta per niente di un provvedimento di mera facciata. Si tratta di un provvedimento che porterà a breve termine alla distruzione del contratto nazionale. Quello che i governi di destra e centrodestra stanno cercando di fare da anni. C'è l'americanizzazione delle relazioni industriali. Se la cosa prende piede è questo che accadrà.E' anche uno schiaffo alla civiltà sia del diritto italiano che a quello europeo.

Con quale dinamica?
A cominciare dalla Fiat niente è prodotto per intero dalla fabbrica che poi ci mette il suo marchio. La prima ricaduta, quindi, sarà su tutta la singola filiera produttiva. E' praticamente impossibile che non si riproducano pratiche antisindacali su tutta la filiera. Non ci saranno più scioperi, malattie, assenze che tengano. Questo vale anche per tutti gli altri settori.

Negli anni 50 il movimento dei lavoratori veniva dalla frammentazione, oggi si torna lì...
C'è una differenza fondamentale, mentre negli anni '50 e '60 l'economia cresceva al ritmo del 3% e 4%. Oggi cresciamo al ritmo dell'1%, con una disoccupazione che è più del doppio rispetto a prima. Il sindacato aveva una forza che ha perso.

In che modello economico ci stiamo imbarcando?
I livelli della produttività italiana sono fermi da quindici anni. Essendo fermi salari e produttività questo mette il sindacato davanti alla famosa battuta della Thatcher "non ci sono alternative". Teniamo conto che la nostra struttura industriale manifatturiera ha, oltre a Fiat, la sola Finmeccanica. Abbiamo un certo peso in campo siderurgico e manifatturiero, mentre la grande chimica è scomparsa. Poi ci sono Eni e Telecom. Nelle prime 500 aziende mondiali ci sono 25 francesi e altrettanti tedesche, le italiane sono appena 5, e le manifatturiere due. La divisione internazionale del lavoro assegna all'Italia un ruolo più che subordinato. L'assenza di qualsiasi politica economica è stata esiziale. Ricordiamo a cosa è accaduto in Germania quando si parlò dell'acquisizione di Opel. Da noi viene servito brodino caldo.

Liberazione 11/12/2010, pag 5

Fiat contro la Fiom: «Blocca il paese». Confindustria alla resa

Emma Marcegaglia dà il via libera alla distruzione del contratto nazionale
Fabrizio Salvatori
«C'è un investimento importante. Non c'è nessuna richiesta folle da parte di Fiat, non c'è nessuna lesione dei diritti». Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia torna con le classiche pive nel sacco da New York, dove è stata ricevuta "al cospetto" dell'Ad di Fiat Sergio Marchionne. L'azienda automobilistica, o meglio le sue "newco", uscirà da Confindustria in attesa di un contratto ad hoc per il settore auto. E intanto Marchionne si concede il lusso di sparare a zero contro la Fiom: «Chi fa dichiarazioni all'impazzata è la Fiom, che porta avanti un punto di vista che io non condivido minimamente: zero. Penso che l'intransigenza che abbiamo visto fino ad ora andrà a bloccare lo sviluppo del Paese».
Gli imprenditori sono pronti ad allinearsi permettendo anche alle altre grandi imprese di confezionarsi un contratto su misura. «È una cosa che siamo pronti a fare per tutti», dice Emma Marcegaglia. E il contratto nazionale? «Non lo stiamo distruggendo, chi lo dice dice cose sbagliate», risponde Marcegaglia.
Pronta la replica del leader della Fiom Maurizio Landini: «In nessun altro Paese europeo succede che una singola impresa detti le condizioni al governo e alle associazioni industriali senza il consenso dei sindacati e dei lavoratori interessati».
«Quello della signora Marcegaglia - replica a sua volta il presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi - è un atto di sudditanza tale che dovrebbe fare indignare non solo i sindacati e i lavoratori, ma anche gli industriali. Ha deciso di sciogliere la Confindustria». «In ogni caso per noi comincia la guerra totale a Marchionne», taglia corto.
Che ripercussioni si avranno in Cgil? «Il patto sociale diventa una fesseria che la Cgil non dovrà e non potrà fare, a meno di non voler fondare una newco anche all'interno del sindacato», aggiunge ironico Cremaschi.
Coro di sì allo strappo della Fiat dagli altri sindacati. «Siamo pronti a gestire una fase che preveda l'uscita temporanea da Confindustria purchè poi ci sia un rientro nel sistema», dice Bruno Vitali, segretario nazionale della Fim.
«Confermiamo l'interesse alla ripresa rapida del confronto con Fiat e siamo disponibili a prevedere anche una soluzione transitoria per le newco», gli fa eco il segretario generale della Fim Cisl, Giuseppe Farina. In ogni caso, aggiunge, «di contratto dell'auto ne hanno parlato Fiat e Confindustria: su questo non abbiamo cambiato opinione, continuiamo a ritenerla una scelta non necessaria per portare avanti il Progetto Fabbrica Italia, e tuttavia per realizzarlo c'è bisogno anche del consenso del sindacato». Ieri Fim e Uilm sono state sonoramente contestate nel corso delle assemble che si sono svolte nei vari reparti di Mirafiori. Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Fiom: «Dopo due giorni di assemblee, che purtroppo non sono state congiunte non per nostra volontà, è chiaro che i lavoratori non vogliono che si ripeta l'accordo di Pomigliano e che la nuova società esca dal contratto nazionale». «Tutto ciò - osserva - nonostante la Fiat abbia usato come "scudi umani" capi e impiegati di Mirafiori che di solito partecipano in poche unità alle assemblee. Un uso che offende la dignità di quei lavoratori che autonomamente devono scegliere se andare alle assemblee e non essere precettati dall'azienda. Noi ci auguriamo che partecipino sempre». «Mister Hyde Marchionne non riesce purtroppo a tornare dottor Jekyll. Troveremo le cure», ha concluso con una battuta Airaudo.
Sulla vicenda della Fiat, infine, è intervenuto anche il segretario del Prc Paolo Ferrero. «E' un'indecenza cui un paese con una società civile degna di questo nome dovrebbe opporsi con sdegno, anziché assecondarla o esserne addirittura indifferente», dice. «Marchionne scarica in modo cinico e ipocrita la responsabilità degli investimenti sui lavoratori, esercitando su di loro un ricatto ignobile e una minaccia impropria, dal momento che investire rientra nei compiti propri dell'impresa. Marchionne - prosegue il leader del Prc - non può continuare a rappresentare i lavoratori Fiat, già tartassati da una crisi che minaccia condizioni di lavoro e di vita, come un'accolita di scansafatiche; quando invece è proprio la Fiat che insegue condizioni di vantaggio in giro per l'Italia e per il mondo». «E' questa l'Italia del degrado - conclude Ferrero - che va in scena anche nella crisi della maggioranza parlamentare: un'Italia da mandare a casa subito, costruendo un'alternativa democratica politica e sociale insieme alle forze progressiste e vive che ci sono del paese».

Liberazione 11/12/2010, pag 5

Fiat, in massa alle assemblee «Sull'accordo serve il voto»

Tute blu in attesa dell'esito dell'incontro notturno tra Fiat e Confindustria. Lunedì vertice Fiom, Fim, Uilm
Fabio Sebastiani, Maurizio Pagliassotti
In attesa dell'esito dell'incontro a New York tra Sergio Marchionne e Emma Marcegaglia, le tute blu della Fiat ieri hanno dato vita a una serie di assemblee animate e molto partecipate. Un po' come ai "tempi d'oro", a Mirafiori si è sfiorato il pienone. Stando ai dati diffusi dalla Fiom, infatti, soltanto 200 gli assenti su 1.350 lavoratori nel corso dei quattro appuntamenti. La petizione della Fiom in cui si chiede di non replicare a Mirafiori il modello Pomigliano, intanto, ha raccolto 2.500 adesioni e la raccolta firme proseguirà anche oggi.
«I lavoratori - spiega Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom-Cgil - hanno particolarmente apprezzato il passaggio in cui ci siamo impegnati a tornare davanti alle assemblee prima di un'eventuale intesa, per chiedere un mandato a chiudere. Inoltre, ci siamo impegnati a chiedere alle altre organizzazioni sindacali che non ci siano accordi a fabbrica chiusa». Due punti chiari in questa vicenda che, come dimostra la minaccia della Fismic di diffondere dati su presunti finanziamenti di Confindustria alle tre confederazioni, si fa sempre più complicata e oscura. La Fiat sta giocando pesante puntando tutte le sue carte sulla distruzione del contratto nazionale. E i lavoratori non sembrano disposti a bersela con tanta facilità. «L'ultima volta che Marcegaglia e Marchionne si sono incontrati - sottolinea Maurizio Landini, leader della Fiom - sono saltate fuori le deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici. Se oggi deve uscire fuori la cancellazione, meglio che non si vedano».
Intanto, la Fiom ha annunciato che lunedì ci sarà un vertice a Roma tra i segretari generali. L'incontro era stato chiesto da Landini stesso.
Servirà a chiarire anche la partita aperta proprio ieri da Federmeccanica, che per mercoledì prossimo ha convocato un tavolo per discutere di "contratto del settore auto". La Fiom non è stata convocata, e la Uilm ha annunciato che non vi prenderà parte. Finché non si saprà il punto di mediazione che riusciranno a raggiungere la leader di Confindustria e l'Ad di Fiat sarà molto difficile che Federmeccanica da sola riesca a smuovere qualcosa.
Rino Mercurio è un operaio alle carrozzerie, delegato Fiom, e ieri ha partecipato alle quattro assemblee che si sono svolte nella prima metà della giornata: «Tutti hanno ascoltato attentamente la relazione di Giorgio Airaudo: non volava una mosca e non ci sono state contestazioni, solitamente presenti. Alla fine si respirava una forte preoccupazione relativa in particolar modo ai temuti contratti ad personam. Più delle mense ridotte, più dei turni da dieci ore impensieriscono questi strumenti che, di fatto, metterebbero il singolo lavoratore a contrattare con(tro, ndr) una multinazionale. In questi giorni c'è una guerra di volantini all'interno della fabbrica: c'è chi smentisce questa ipotesi e chi la conferma, come la Fiom. Purtroppo le carrozzerie saranno nuovamente chiuse. Temiamo che decisioni possano essere prese senza il nostro consenso o addirittura senza consultazione».
Airaudo solleva una valutazione importante. «Non vorremmo - afferma - che la Jeep fosse lo specchietto per le allodole, utile per minacciare i lavoratori e finisse poi come la Grande Punto, inizialmente prodotta a Mirafiori con un contributo pubblico locale di 750 milioni di euro e rimasta a Torino circa otto mesi. Marchionne è spregiudicato con il Paese, gioca a poker, scoprendo una carta alla volta, stabilimento per stabilimento e il governo glielo consente».
Ieri, intanto, c'è stato un altro volantinaggio della Federazione della Sinistra alla "Porta 2", dove era presente anche il segretario Prc Paolo Ferrero che ha incontrato gli operai che uscivano dal primo turno e quelli che entravano al secondo: «La trattativa deve riprendere e la Fiat deve togliere le pregiudiziali. È inaccettabile che l'azienda italiana più assistita che ci sia, dopo aver preso assistenza anche dall'America, usi la sua posizione per fare ricatti aumentando lo sfruttamento dei lavoratori. Quello della Fiat - ha aggiunto - è un atteggiamento mafioso perché usa il ricatto ed è inaccettabile che il governo non intervenga per obbligarla a prendere una posizione che tuteli l'occupazione» Secondo Ferrero, «la Fiat non può uscire dal contratto, l'Italia ha leggi, una Costituzione e una storia sindacale. L'idea di Marchionne è di trasformare i lavoratori in pura merce».
Un operaio uscita dal secondo turno commenta così la presenza di Ferrero: «Due anni fa sembravano inutili quelle bandiere rosse. Ora, almeno io, mi rendo conto che con quelle in parlamento almeno avevamo qualcuno che ci difendeva».

Liberazione 10/12/2010, pag 6

«Eutelia, colpevole il silenzio delle istituzioni. Ma non molliamo»

Alessandra Carnicella Rsu Fiom di Eutelia-Agile

Fabio Sebastiani
«Saremo lì sotto anche il giorno della sentenza di appello». I lavoratori di Agile-Eutelia non abbandonano il campo. Sono più di due anni che stanno cercando di salvare la loro azienda: dai raid antisindacali, dagli speculatori, dalle mire dei grandi monopoli del sistema delle telecomunicazioni, dai faccendieri. Una battaglia con una evidente sproporzione di forze in campo, ma che loro hanno interpretato al meglio difendendo fino in fondo l'obiettivo di un lavoro stabile e di qualità.
Il 15 dicembre ci sarà la sentenza di appello presso il Tribunale del lavoro rispetto alla procedura di "comportamento antisindacale". In pratica lo "scorporo" di Agile da Eutelia non solo ha distrutto un progetto industriale che teneva insieme la proprietà delle reti in fibra ottica e i contenuti, ma ha danneggiato gli stessi lavoratori, circa 2000. Ottenere la riconferma di questa linea vorrebbe dire dare forza al progetto di "reinternalizzare" Agile, che in sostanza produce software, in Eutelia, svegliando dal torpore le istituzioni e la stessa politica. Altrimenti ci sarebbe il destino segnato per centinaia di lavoratori. Liberazione ha intervistato Alessandra Carnicella, Rsu-Fiom di Agile-Eutelia.

Nonostante alcune sentenze a vostro favore e una serie di indagini, e di arresti, che hanno messo in evidenza gli altri elementi della truffa i vostri posti di lavoro sono ancora lontani dal consolidamento. Cosa sta accadendo?
C'è il silenzio istituzionale, che è un altro aspetto del conflitto di interessi di questa compagine di governo rispetto al sistema delle telecomunicazioni, e c'è il silenzio della politica che dapprima ha abbracciato la nostra causa salvo far perdere le tracce pochi mesi dopo. Eppure i fatti ci danno ragione, e le sentenze pure: la cessione del ramo di "Information technology" è stata non legale. A questo punto, però serve un piano industriale, che la gestione commissariale di fatto non ha, e un indirizzo da parte del Governo. Va detto, infatti che le commesse pubbliche perse non sono state pù recuperate, e questo nonostante le promesse del ministro Paolo Romani. Il vincolo delle fidejussioni, per esempio, è importante, peché come società in amministrazione controllata non ci consente di partecipare ai bandi di gara. Se non c'è un chiaro interessamento delle istituzioni rischiamo di star fuori da tutto e di morire lentamente. Si parla tanto di innovazione e di ricerca, salvo poi lasciare in mezzo al deserto una azienda che ha questi requisiti. In mezzo al deserto, va detto, non ce l'abbiamo portata noi ma la cattiva gestione.

E la gestione dei commissari?
E' andata avanti sul piano dello smantellamento. Ci limitiamo ad osservare che il livello dirigenziale interno a questo processo è ancora quello delle passate e sciagurate gestioni dei vari Landi, Massa e Liori. Il loro piano prevede la vendita di alcune aree di cui una con 370 lavoratori. Altri 300 a breve avranno i requisiti per il pensionamento mentre altri 200 circa sono considerati come vicini alle dimissioni volontarie. Rimangono 100 destinati ai lavori socialmente utili e altri 600 a percorsi di cosiddetta riqualificazione. Insomma, un quadro desolante che di fatto porta a compimento un piano di smantellamento di una mission che invece aveva tutti i numeri per stare sul mercato. I commissari stanno gestendo i cosiddetti "lavoratori buoni", quelli mai presenti nelle mobilitazioni, mentre gli altri sono in cassa integrazione. Ecco la realtà della situazione. E' una situazione identica allo scenario prefigurato dall'amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne.

Se il magistrato del lavoro vi darà ragione per la seconda volta, cosa accadrà?
Chiederemo la esecuzione immediata della sentenza e quindi il ritorno del ramo di "Information technology" in Eutelia. Se, invece, ci dovessero dar torto allora andremo avanti con le cause individuali. Occorre tener conto, e non è poco, che al reintegro ci sono una lunga serie di oppositori tra banche e creditori. E questo è oggettivamente un elemento di pressione. Per questo è importante che la politica si pronunci.

Liberazione 10/12/2010, pag 6

lunedì 13 dicembre 2010

Aiuti statali al Lingotto quasi 8 miliardi in 30 anni

Repubblica — 27 ottobre 2010 pagina 11 sezione: ECONOMIA

ROMA - Lo Stato italiano ha speso poco meno di otto miliardi di euro negli ultimi 30 anni per aiutare la Fiat a superare i momenti di crisi (7,6 per essere esatti). Aiuti di Stato, pagati dunque dai contribuenti, che hanno toccato la punta massima negli anni ' 80. Anni di ristrutturazione del settore durantei quali la casa torinese ha incassato la fetta più grande (oltre 5,1 miliardi). A fare i conti in tasca al Lingotto sono gli artigiani e i piccoli imprenditori della Cgia di Mestre. «Una cifra importante», ha sottolineato il segretario della Cgia, Bortolussi, che ha definito «quantomeno ingenerose» le dichiarazioni dell' ad del Lingotto, Marchionne, a Che tempo che fa. Lo Stato è intervenuto per la realizzazione degli impianti di Melfie Pratola Serra, sottolinea la Cgia, con un importo pari a 1,279 miliardi. «Di tutto rispetto anche il costo per le casse pubbliche» delle ristrutturazioni di Melfi (altri 150 milioni) e Foggia (121,7). Gli incentivi per la rottamazione sono costati 465 milioni (andati a favore però di tutte le case automobilistiche). Ultimo capitolo quello degli ammortizzatori sociali: un costo però per gran parte a carico del Lingotto e dei suoi dipendenti. Tra il 1991 e il 2002 la spesa è stata pari a 1,15 miliardi di euro.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/27/aiuti-statali-al-lingotto-quasi-miliardi-in.html

Fiat accelera sulla strada newco a Pomigliano cassa in deroga

Repubblica — 20 ottobre 2010 pagina 28 sezione: ECONOMIA

TORINO - La Fiat ha chiesto al ministero del Lavoro la cassa integrazione in deroga per lo stabilimento di Pomigliano. Una mossa che rivela l' intenzione del Lingotto di procedere sulla strada della newco, la nuova società nata nelle scorse settimane per la produzione della Panda. La cig al vecchio stabilimento di Pomigliano scade il 15 novembre prossimo. La Fiat avrebbe potuto chiedere una nuova cassa integrazione per ristrutturazione, visti gli ingenti investimenti (750 milioni) messi in campo per realizzare i nuovi impianti produttivi. Così facendo, però, spiegavano ieri a Torino, non si sarebbe creato quello stacco normativo tra la vecchia società e la nuova che servirà a modificare profondamente le relazioni tra azienda e sindacati, escludendo dalle trattative nella nuova fabbrica le organizzazioni come la Fiom che non hanno sottoscritto i recenti accordi con il Lingotto. Per questi motivi, la scelta di ricorrere alla cassa in deroga a Pomigliano ha suscitato le proteste dei metalmeccanici della Cgil: «Sorprende - dice il responsabile auto, Giorgio Airaudo che l' azienda rinunci alla cassa integrazione per ristrutturazione e scelga, invece, quella in deroga per poter realizzare la newco». Diverso il punto di vista del segretario generale della Fim, Giuseppe Farina: «Anche noi non amiamo la strada della newco perché pensiamo che si possa far nascere la nuova Pomigliano rimanendo nel contratto nazionale e in Federmeccanica. E' però certo che se la Fiat sceglie quella strada è anche per una posizione della Fiom che non può pretendere di bloccare con il suo no un investimento da 750 milioni». La strada della newco potrebbe essere seguita anche negli altri stabilimenti italiani? «Siamo contrari a Pomigliano e dunque saremmo contrari anche altrove - dice Farina - ma certo che se la Fiat si trovasse altrove di fronte alla stessa situazione della Campania, rischieremmo di avere altre newco». Una situazione che finirebbe per far uscire gli stabilimenti Fiat da Confindustria. «Altre newco? Sarebbe la dimostrazione del fatto che, se nessuno chiede impegni, la Fiat alza sempre più l' asticella», commenta Airaudo. Che rilancia: «Serve una trattativa seria con Fiat che garantisca nuovi prodotti e nuove produzioni in Italia. Se poi si vuole affrontare il tema dei contratti si può pensare a un contratto nazionale dell' industria e a un contratto di secondo livello per tutta la filiera dell' auto: chi lavora nelle aziende della fornitura è oggi totalmente legato a quanto avviene negli stabilimenti di montaggio finale». L' idea di tante newco quanti sono gli stabilimenti italiani della Fiat non stupisce il segretario nazionale del Fismic, Roberto Di Maulo: «Mi si deve dare atto che io l' avevo previsto da mesi. Io non ho mai detto che lo schema dell' accordo di Pomigliano era applicabile solo a Pomigliano. Ho sempre saputo che le probabilità di estenderlo agli altri stabilimenti erano molto alte». Finora sul tema la Fiat non siè espressa ufficialmente limitandosi a dire che «verranno valutate caso per caso le situazioni dei diversi stabilimenti». - PAOLO GRISERI

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/20/fiat-accelera-sulla-strada-newco-pomigliano-cassa.html

domenica 12 dicembre 2010

Fiat estende il modello Pomigliano a Melfi orario aumentato di 10 minuti

Repubblica — 23 ottobre 2010 pagina 30 sezione: ECONOMIA

ROMA - A partire dal 31 gennaio prossimo la Fiat estenderà a Melfi il sistema di pause stabilito con l' accordo di Pomigliano. Il Lingotto lo ha annunciato ieri sera ai sindacati. Il 9 novembre i rappresentanti dei lavoratori si riuniranno con l' azienda per discutere la nuova organizzazione del lavoro nello stabilimento lucano. Attualmente ogni lavoratore ha a disposizione due pause di riposo da 20 minuti nell' arco delle 8 ore di lavoro. Con il nuovo sistema le pause diventeranno tre di dieci minuti ciascuna. La modifica avverrà contemporaneamente all' introduzione di una nuova organizzazione del lavoro, il sistema ErgoUas: in questo modo, dice l' azienda, si diminuirà la fatica per ogni operazionee questo consentirà di ridurre le pause. Tesi già contestata a suo tempo dai sindacati che comunque hanno accettato il nuovo sistema di riposi con l' accordo separato di Pomigliano che dunque aumenta di dieci minuti il tempo di lavoro. Fim, Uilm, Fismic e Ugl, i sindacati firmatari di quell' accordo, hanno respinto ieri l' ultimatum di Marchionne sui tempi per una trattativa che riguardi gli altri stabilimenti italiani: «Non è la Fiat che deve dare ultimatum, siamo noi», ha sintetizzato per tutti il segretario dell' Ugl Antonio D' Anolfo. L' altro ieri Marchionne aveva detto che «il tempo sta scadendo» e che entro fine anno si sarebbe dovuto trovare un accordo. «Penso che il tempo sia già scaduto e che se la questione non si risolve in pochi giorni la nostra disponibilità e il nostro consenso rischiano di decadere», ha minacciato il segretario della Fim, Giuseppe Farina. Farina ha messo il dito nella piaga: nonostante le dure polemiche, con il suo ultimatum di giovedì Marchionne ha, nei fatti, concesso altri due mesi alla Fiom per rientrare in gioco. Un' attesa che suscita qualche irritazione nei sindacati che avevano già sottoscritto l' intesa separata in Campania. E' la rivolta dei figli virtuosi contro il padre che ha deciso di aspettare il ritorno del figliol prodigo. Dalla Fiom un segnale di apertura è venuto dal responsabile auto, Giorgio Airaudo: «Con gli ultimatum non sembra che la Fiat abbia ottenuto finora grandi risultati. Per uscire dalla crisi servono invece il consenso e il negoziato che coinvolga tutti i lavoratoriei loro rappresentanti». Qualche strumento in più a sostegno della ripresa del negoziato potrebbe venire dal governo. La cassa in deroga - varata lo scorso anno per estendere gli ammortizzatori sociali alle categorie e alle aziende che non ne avrebbero avuto diritto - sarà finanziata anche per il 2011. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro Sacconi, promettendo che il provvedimento arriverà entro dicembre: prima bisognerà capire quante ore sono state effettivamente utilizzate quest' anno e quante risorse possono dunque servire per il prossimo. Dopo mesi di pressing, dunque, il ministro ha sciolto i dubbi: «Sarà prorogata tutta la strumentazione 2009-2010». Pressoché unanime il consenso, anche se la Cgil avrebbe preferito tempi più brevi. Ieri il ministero del Lavoro ha lanciato, in via sperimentale un nuovo motore di ricerca (www. cliclavoro.gov.it) che renderà più facile l' accesso ai dati sull' offerta di lavoro e sui servizi offerti a imprese e dipendenti. - LUISA GRION PAOLO GRISERI

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/23/fiat-estende-il-modello-pomigliano-melfi-orario.html

sabato 11 dicembre 2010

Lavoro, via libera agli arbitrati Sacconi: ora il nuovo Statuto

Repubblica — 20 ottobre 2010 pagina 26 sezione: ECONOMIA

ROMA - Ha avuto un percorso molto travagliato - due anni di iter parlamentare, sette passaggi alla Camera e un rinvio (l' unico espresso dalla sua elezione) da parte del presidente della Repubblica Napolitano - ma il governo lo ha fortemente voluto e ieri sera ha incassato il risultato: il ddl sul lavoro è diventato legge. I sì (maggioranza più Udc) sono stati 310, i no (Pd e Italia dei valori) 204. Tante le novità, ma la norma più dibattuta è risultata indubbiamente quella sull' arbitrato, ovvero sulla possibilità di risolvere le controversie di lavoro non solo davanti ad un giudice, ma anche di fronte a terzi evitando così il processo. Il testo originale prevedeva che ciò potesse valere anche in caso di licenziamento, l' intervento del Quirinale lo ha poi scongiurato. Ora, in virtù della nuova norma, il lavoratore dovrà fare la sua scelta (fra giudice o arbitrato) preventivamente, non al momento dell' insorgere della controversia. La decisione dovrà essere presa solo dopo il periodo di prova - dove previsto - oppure trascorsi 30 giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro. Tempi che non convincono affatto la Cgil, convinta che il dipendente non ci guadagni dal doversi esprimere a poche settimane dall' assunzione e quindi in un periodo in cui è più «ricattabile». Ieri il sindacato di Epifani è rimasto in presidio permanente davanti a Montecitorio per protestare contro «una legge sbagliata, pericolosa e anticostituzionale». I colleghi di Cisl e Uil sono di parere opposto «il testo non è perfetto - hanno ammesso - ma è accettabile» e risponde all' esigenza di decongestionare i tribunali. Arbitrato a parte, l' altra novità importante della nuova legge riguarda l' ultimo anno di obbligo scolastico (16 anni) che potrà essere svolto anche sotto forma di apprendistato. In pratica il minore potrà cominciare a lavorare a 15 anni. Ma il testo prevede nuove regole anche i processi di lavoro, che tornano ad essere gratuiti. Nei casi di violazione nella trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato, il datore di lavoro dovrà risarcire il lavoratore con un' indennità onnicomprensiva fissata tra 2,5 a 12 mensilità. Introdotta anche una clausola di salvaguardia per il pensionamento anticipato (minimo 57 anni di età e 35 di contributi) dei lavoratori impiegati in attività usuranti, come i dipendenti notturni o gli addetti alla «linea di catena». La legge contiene poi anche un pacchetto di norme riguardanti la pubblica amministrazione, che vanno da un rafforzamento della trasparenza ad un ampliamento della sfera di applicazione della mobilità del personale. Soddisfattissimo il ministro Sacconi, «ora - ha detto - auspico che entro un mese lo Statuto di lavori (il testo che dovrebbe sostituire lo Statuto dei lavoratori ndr) arrivi in Consiglio dei ministri». Molto critica l' opposizione «è una controriforma e indebolisce i lavoratori» ha detto Damiano del Pd. Oggi si parte con il fisco: nel pomeriggio ci sarà un primo incontro fra governo e parti sociali per discutere sulla riforma. Il confronto si terrà al Tesoro, padrone di casa il ministro Tremonti che avrà al suo fianco il premier Berlusconi . Epifani, leader della Cgil chiede «fatti, non parole». - LUISA GRION

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/20/lavoro-via-libera-agli-arbitrati-sacconi-ora.html

mercoledì 8 dicembre 2010

Fiat, da domani le assemblee. Successo petizione Fiom: «No Pomigliano»

1.850 firme in un giorno
I lavoratori dello stabilimento torinese di Mirafiori si riuniranno in assemblea domani e venerdì prossimi per discutere sul piano di rilancio dello stabilimento torinese. La richiesta è arrivata dopo che la Fiom ha raccolto, nella sola giornata di ieri alle Carrozzerie di Mirafiori, 1.850 firme in calce a una petizione anche per dire no al modello Pomigliano e a un contratto con le deroghe. Contro l'ipotesi di "piano B" per Mirafiori, adombrata dall'Ad Sergio Marchionne, si scagliato il segretario della Fiom Maurizio Landini: «La governabilità degli stabilimenti si garantisce con la qualificazione della contrattazione collettiva tra le parti, realizzando un accordo condiviso dalle lavoratrici e dai lavoratori, non con i ricatti e i 'piani B' per escludere il sindacato più rappresentativo».

Liberazione 08/12/2010, pag 4

Alla Perini si applica il contratto 2008

Metalmeccanici
Alla Fabio Perini Spa di Lucca il contratto in vigore è quello del 2008. Dopo mesi di vertenza sindacale, condotta dalla Fiom, i 560 lavoratori hanno raggiunto l'accordo che di fatto lascia fuori il contratto del 2009. Ne parliamo con Massimo Braccini, responsabile provinciale della Fiom.
Quando è iniziata la vertenza e perchè?
Dal momento che è scaduto il contratto aziendale abbiamo presentato all'azienda la questione del rinnovo del contratto nazionale del 2008. Senza riconoscere, quindi, quello successivo del 2009. Sono stati mesi duri, dove l'azienda si è rifiutata più di una volta di sedersi, non attribuendo alcuna validità al contratto unitario. Ma, al contrario, facendo riferimento unicamente a quello separato firmato da Cisl e Uil. Così dalla fine di aprile 2010 abbiamo effettuato 50 ore di sciopero; lo sciopero per 7 mesi degli straordinari e lo sciopero di 48 ore al momento delle partenze per l'estero del sabato e della domenica.
Avete tenuto duro per diversi mesi.
È stata una lotta condotta in modo responsabile e determinato da tutti i lavoratori. Perchè si è capito che il contratto è di proprietà dei lavoratori e non dei sindacati o delle aziende. Sono stati i lavoratori a scendere in campo per primi: il contratto del 2009, quello separato, lede profondamente i diritti dei lavoratori. E lede anche i principi minimi della democrazia: perchè non è stato discusso con nessuno, non è mai stato votato all'interno delle fabbriche e nessuno, neppure i sindacati, conoscono il testo preciso dell'accordo separato. Come Fiom non potevamo fare altrimenti che essere in prima linea per questa lotta. La Fiom è presente in 300 aziende. Cisl e Uil in dieci. E alla Perini c'è un'adesione alla Fiom straordinaria: più di 250 iscritti. Tutte le rsu all'interno dell'azienda sono della Fiom. Cisl e Uil si sono ritirate.
Torniamo alla vertenza. Fondamentale è stata anche la lotta dei montatori esterni, molto importanti per la Perini.
È stato un impegno straordinario: si recavano all'estero sempre con due giorni di ritardo, aderendo così allo sciopero di 48 ore del sabato e della domenica e al blocco delle partenze. Inoltre all'estero una volta scadute le 8 ore lavorative, smettevano di lavorare. Senza fare straordinari o lavori aggiuntivi.
L'accordo raggiunto in cosa consiste?
Si dice che l'azienda, la Fiom e le Rsu della Perini ritengono che il contratto del 2008 possa costituire un passo importante per l'unità sindacale. E che la società si impegna ad applicare il contratto del 2008 in tutte le sue parti. Inoltre: il contratto sarà vigente fino a che non sarà rinnovato con l'approvazione di un ulteriore contratto unitario o comunque fino al rinnovo del prossimo contratto aziendale (2016). Anche se l'azienda e le varie associazioni industriali stanno cercando di screditare la portata dell'accordo raggiunto. Di certo c'è che questo accordo verrà sottoposto a referendum tra i lavoratori. In Provincia di Lucca sono cinque le aziende dissociate: Paper Converting (Diecimo), Azimut Benetti (Viareggio), Rubinetterie Ponsi, Cooperativa Fanini e Fabio Perini S.p.A.

Liberazione 07/12/2010, pag 5

Fiat, in arrivo il "pacco di Natale"

Allarme Fiom: «C'è il rischio di un accordo con gli operai in Cig»

Fabio Sebastiani
«Se qualcuno pensa di fare un accordo a fabbrica chiusa per poi andare, solo a posteriori, a chiedere l'opinione ai lavoratori credo che dovrebbe riflettere bene». Per Federico Bellomo, segretario della Fiom di Torino, le sorprese sul "caso Mirafiori" ancora non sono finite. E non è escluso che dietro il teatrino dell'accordo tra Marchionne da una parte e Fim, Uilm, Ugl e Fismic dall'altra, ci sia il classico rischio del "pacco di Natale" per i lavoratori. I conti sono presto fatti. Tra ferie e nuova cassa integrazione, l'ultima settimana utile per andare alle assemblee con i lavoratori sarebbe quella corrente. Altrimenti, le tute blu torneranno tra le linee alla metà di gennaio.
Ieri lo sciopero di due ore, accompagnato da un corteo e da una assemblea all'esterno, è andato bene. Secondo la Fiom l'adesione è stata intorno al 70% al pomeriggio del 60% al mattino. Molto più inferiori le percentuali date dalla Fiat, che ha un altro sistema di conteggio: 17% al pomeriggio e 13% al mattino.
Bruno D'Alessandro lavora a Mirafiori dall'87, ma - dice - «adesso il clima è pessimo, la gente è spaventata, ha paura di perdere il lavoro. Va bene un contratto aziendale, ma almeno abbia un riferimento a quello nazionale». «In fabbrica - spiega Domenico, a Mirafiori da 22 anni - c'è paura che salti l'investimento. Quindi è meglio accettare un altro contratto o fare tutta questa cassa integrazione? Io ho sempre fatto le notti, per me i turni non sono un problema». Gianfranco, invece, spera «che non firmino un altro contratto». «Le condizioni sono pessime - afferma - gli stipendi bassi, facciamo moltissima cassa integrazione». E conclude: «Meno male che non hanno ancora firmato l'accordo». Maria parla apertamente di «ricatto di Marchionne, che approfitta della crisi: ci sono in ballo - dice - le conquiste del passato e adesso ci dicono che siamo noi a dover pagare per tutti, non è giusto». «Non si vede nessuno spiraglio - risponde Gregorio, 22 anni di fabbrica alle spalle - e il contratto aziendale è un ricatto, ma cosa dobbiamo fare? O lavori così, o te ne vai». «Questo mese - racconta Stella - ho preso 700 euro in busta paga. Questo dice tutto sulla nostra condizione: lavoriamo poco, i figli sono disoccupati, non abbiamo denaro. Peggio di così non può andare».
Per Giorgio Airaudo, della segreteria nazionale della Fiom, «l'unico atto di responsabilità lo dovrebbe fare la Fiat e Marchionne che sta trascinando il Paese in una frantumazione sociale e sta contribuendo a smantellare i contratti nazionali di lavoro». «Tutto questo - aggiunge - non c'entra nulla nè con l'investimento nè con le auto da produrre nè con altre ipotesi contrattuali. Si consuma in questa vicenda il fallimento di chi ha modificato i modelli contrattuali e, di deroga in deroga, ha cancellato anche ciò che aveva scritto. Ora bisogna dire la verità ai lavoratori e bisogna uscire dal pensiero unico. Non c'è un solo modo per stare in Europa e produrre automobili, lo dimostrano tutti gli altri costruttori». «La politica non sia pavida, rappresenti tutti i cittadini e non solo quello più forte», conclude Airaudo.
Come risponde la politica? Bersani ha espresso qualche perplessità sull'idea di cancellare il contratto nazionale. Ma nelle sue parole non c'è determinazione. Alcuni settori del suo partito, non è un mistero, firmerebbero qualsiasi cosa pronunci l'Ad di Fiat. «La situazione Mirafiori - ha detto - potrebbe non riprodurre quel che è successo a Pomigliano. Certamente il contratto deve essere più leggero ed essenziale. Ma da segretario del Pd e da politico dico che in un paese così frantumato bisogna fare attenzione prima di buttare via le regole che lo tengono assieme». «La ricetta americana - ha continuato Bersani - non ci farebbe comodo. Devi fare degli accordi aziendali che possano avere anche aspetti di deroga, se previsti dal contratto, ma dobbiamo determinare le regole per la partecipazione e la decisione, così siamo tranquilli».

Liberazione 07/12/2010, pag 5

«Europa, crescono le lotte. Ora un fondo per il lavoro»

Stefano Galieni
Fabio Amato, responsabile esteri del Prc, appena tornato dal congresso della Sinistra Europea che si è tenuto a Parigi e si è concluso domenica, traccia un bilancio della tre giorni che ha visto esponenti di 31 forze politiche cercare di definire un progetto comune.
«È stato un congresso importante e positivo per due motivi. Perché si svolto proprio nel momento in cui l'Europa vive una crisi senza precedenti, in cui le élites e i governi impongono misure draconiane di tagli allo stato sociale e di affossamento dei diritti dei lavoratori; il secondo motivo perché si tenuto in Francia, teatro di due mesi di mobilitazioni, forse le più imponenti degli ultimi anni, con scioperi e una ripresa del conflitto di classe come non si vedeva da tempo. In Francia il Partito comunista è protagonista dell'esperienza del Front de Gauche. Bene quindi che il suo segretario Pierre Laurent, sia stato eletto nuovo presidente del Partito della Sinistra Europea e sia stato il candidato di tutto il Front de gauche.

Quali sono stati i temi centrali?
Naturalmente la crisi e le proposte alternative che la sinistra di classe e di trasformazione mette in campo. Nella retorica dei governi e dei tecnocrati di Bruxelles non esistono alternative ai piani di austerità, con tagli alle pensioni, alla scuola, al welfare. Queste soluzioni sono assolutamente false. Scegliere di colpire i più deboli e i diritti sociali è una scelta politica. I soldi si spendono per salvare i pescecani della finanza e del capitalismo "da casinò" e i costi si scaricano tutti sui più deboli. La politica attuale dell'Ue è criminale. Le mobilitazioni crescono, ma serve come il pane una soggettività politica capace di offrire sbocchi a queste lotte.
Sono emerse forti divergenze di prospettiva considerati i contesti nazionali, storici e sociali tanto diversi?
No. Si è registrato un consenso unanime sul documento come sulle mozioni politiche. Certo, poi ogni paese ha la sua particolarità, ma un dato estremamente positivo di questo congresso è che l'allargamento della sinistra europea compiuto in questi ann,i con l'ingresso di partiti del Nord Europa e dell'Est, ha arricchito i punti di vista, senza intaccare la capacità di trovare una comune volontà di sintesi e di proposta.

Si è delineata una strategia di breve, medio e lungo periodo?
Sì. Fra queste la proposta di una campagna comune di mobilitazione su scala europea per la creazione di un fondo per lo sviluppo sociale e il lavoro, come proposta alternativa ai fondi che invece vengono creati solo per salvare banche e finanzieri. La raccolta di almeno un milione di firme su scala continentale per dare voce a chi la crisi la subisce. Proprio per dimostrare che quanto viene presentato come ineluttabile non lo è affatto, perché esistono proposte e modalità differenti per uscire dalla crisi.

Quali sono gli elementi essenziali del documento emerso dal congresso, quelli su cui è più urgente agire nei vari paesi.
L'esigenza non più rinviabile è di passare all'azione. C'è bisogno di un salto di qualità nella capacità di iniziativa e azione politica su scala continentale del Partito della Sinistra Europea. Prima di tutto l'opposizione frontale alla politica di austerità e alle riforme annunciate del già pessimo patto di stabilità e del Trattato di Lisbona. Secondo, la necessità di rifondare profondamente le istituzioni europee per costruire un Europa sociale.

È matura l'ipotesi di uno sciopero generale europeo?
Ci vorrebbe. I tempi sono più che maturi. Per ora la Ces (Confederazione europea dei sindacati) ha avuto una prima mobilitazione il 29 Settembre e ne ha convocata un'altra per il 15 dicembre. Bene, ci saremo. Dobbiamo lavorare perché questa possibilità venga presa in considerazione. Uno sciopero generale in Italia allargherebbe il numero di paesi dove cresce il livello di conflitto sociale. Il partito della Sinistra europea è l'unico che si sta battendo contro i piani di austerità. Va aperta una interlocuzione con i sindacati europei più forte e decisa.

Che ruolo ha svolto la delegazione italiana nel congresso?
La presenza di Rifondazione è stata molto importante per una soluzione di sintesi. Nel cercare l'unità del Partito della Sinistra Europea, nel riaffermare l'obiettivo di unire tutta la sinistra di alternativa e di trasformazione, per un soggetto politico autonomo dalla socialdemocrazia europea, che come si vede nel caso della Spagna, della Grecia e del Portogallo, applica diligentemente quello che i mercati finanziari, Bce e Fmi chiedono. Incapaci di indicare una via d'uscita diversa. Esecutori e becchini delle conquiste sociali dei loro paesi. In Italia giustamente lottiamo contro Marchionne e la demolizione del contratto nazionale di lavoro. In Spagna ci ha pensato Zapatero a liquidarlo.
La Sinistra Europea esce rafforzata?
Lo spero e lo credo. Ultimamente vi era stato un appannamento, un'insufficiente capacità di iniziativa e direzione politica. Se ne è preso atto e la Sinistra europea esce dal congresso rafforzata, più unita e determinata. Ora si tratta di passare dalle intenzioni alla realtà. Rifondazione Comunista si impegna a farlo.

Liberazione 07/12/2010, pag 3

Questi non-cittadini volutamente esclusi

Alessandro Dal Lago
Chi si ricorda dei migranti saliti sulla gru a Brescia e poi rinchiusi nei Cie ed espulsi? Certo, i movimenti che li hanno appoggiati e si sono presi un po' di manganellate se ne sono ricordati. E anche tutti coloro che continuano cocciutamente a opporsi al razzismo. Ma, per il resto, questa protesta estrema e rischiosa è caduta nel rapido oblio che, così sembra, spetta a qualsiasi conflitto sociale reale nel nostro paese. E questo dovrebbe portarci a qualche riflessione in contro-tendenza rispetto alla grancassa mediale che accompagna le convulsioni del governo Berlusconi, il conflitto con Fini e così di seguito.
Il primo punto è che nell'Europa incattivita dalla crisi, e soprattutto in Italia, la questione dei migranti è oggi definita in termini di esclusione radicale, ufficiale, unanimista, bipartisan. Quando Maroni varò il decreto sulla sicurezza, quello dei sindaci sceriffi - che era evidentemente mirato alla repressione degli stranieri nei luoghi pubblici - il mitico Chiamparino "protestò" perché mancavano i soldi per attuarlo…
Nessuna riflessione degna di nota, e tanto meno strategica, sulla questione delle migrazioni è mai venuta da ambienti della cosiddetta opposizione di centro-sinistra. A parte il dissenso puramente verbale e mitissimo davanti alle iniziative xenofobe di Maroni e dei sindaci leghisti, il centrosinistra da sempre condivide la divisione degli stranieri in "buoni" (quelli che «non fanno problemi») e "cattivi" (i clandestini), senza mai sospettare o dire che oggi la clandestinità è il destino di qualsiasi straniero che perde il lavoro o la casa, che commette infrazioni minime, che resta impigliato nei controlli urbani. Ma non è una novità. Vi ricordate i governatori del centro-sinistra (compreso Vendola) che, prima delle elezioni politiche del 2006, avevano firmato per la chiusura dei Cpt (oggi Cie)? Dopo l'effimera vittoria di Prodi, l'iniziativa è caduta nel nulla…
Con la crisi galoppante e l'aumento del precariato, la tenaglia dell'esclusione si è richiusa definitivamente sugli stranieri. Se agli operai non si riconoscono più diritti, con l'assenso attivo di parte del movimento sindacale, se un po' di uova lanciate dagli studenti fanno gridare al terrorismo, che dire di queste ombre, di questi non-cittadini che ci scivolano accanto nel disinteresse, se non nel fastidio generale? E i Rom schedati? E i vigili anticlandestini di Milano? E gli stucchevoli dibattiti sulle moschee, come se il problema fosse il conflitto tra religioni - e non invece una questione elementare di diritti al movimento, alla cittadinanza e al riconoscimento? Né ci consola che altrove la xenofobia, come nelle espulsioni di Rom volute da Sarkozy, il fratellino parigino di Berlusconi, assuma una dimensione persino più grottesca e fanatica che da noi. Si tratta della variante di un processo di subordinazione, esclusione e oppressione che riguarda tutta l'Europa, questo continente velleitario, disunito e gonfio di neo-nazionalismi, incapace di fare alcunché contro la speculazione che affossa gli stati membri più deboli, ma unanime solo nel disprezzo degli stranieri.
Ma c'è una seconda riflessione che occorre fare a partire dalla memoria dei fatti di Brescia. I conflitti, persino i più disperati, estremi, sintomi di una sofferenza sociale insostenibile, svaniscono davanti allo strapotere dei media, alla riduzione dei conflitti politici a personalismi, alle misere storielle di escort, veline e balletti, all'incapacità del paese di liberarsi non solo di Berlusconi, ma dello stile politico-mediale che ha imposto al paese. Ed ecco che nessuno attacca la Lega per la xenofobia, ma perché sarebbe collusa con le mafie in qualche amministrazione locale - ciò che ha permesso a Maroni di farsi bello con l'elenchino dei suoi "successi" antimafia nella trasmissione di Fazio, così di sinistra, così politicamente corretta, così capace di prefigurare un bel governo dell'austerity - da Tremonti o Letta a Fini e Casini, magari con il sostegno benevolo di Bersani…
Che volete che importi al baraccone politico-mediale, al di là delle solite dichiarazioni di rito delle anime belle, di quattro stranieri arrampicati su una gru e prontamente espulsi dal solerte Maroni? E tutti gli altri? Quelli che l'Italia ha affidato alle cure amorevoli di Gheddafi? I morti per mare e nei deserti? Le vittime delle politiche migratorie delle legge Turco-Napolitano, Bossi-Fini, dei decreti Maroni (guarda un po', quasi tutti nomi protagonisti dei balletti politico-istituzionali d'oggi)?
C'è un silenzio assordante e mortifero sui problemi sociali che grondano sangue, fatica e sofferenza. E c'è un frastuono insopportabile che avvolge il declino della vecchia destra e il faticoso parto di quella nuova. Bisognerà ricordarsene quando saremo chiamati a esprimerci sulla maggioranza politica che dovrà governare il paese in clima di crisi e recessione, cioè sul berlusconismo senza Berlusconi.
Alessandro Dal Lago

Liberazione 07/12/2010, pag 1 e 4

Milano insiste: «Regolarizzazione per tutti»

Anche ieri presidio per protestare contro la probabile espulsione di uno dei migranti saliti sulla torre
Alessia Candito
Milano
E' un sole improbabile, nel freddo dicembre milanese, quello che illumina il presidio di Via Imbonati, dove centinaia di manifestanti si sono riuniti ieri per protestare contro l'arresto e la probabile espulsione - immediatamente invocata dal vice-sindaco De Corato - di Abdel Abderrazak, uno dei sei lavoratori immigrati che per quasi un mese si sono barricati sulla torre dell'ex Carlo Erba per dire no alla "sanatoria truffa".
Abdel è stato uno degli ultimi a scendere. Dopo ventisette giorni passati a resistere su una balaustra a 45 metri di altezza, il serio pericolo di un blocco renale giovedì scorso lo ha convinto ad accettare le cure di un medico della polizia e il trasferimento in ospedale.
«Ci hanno detto che la situazione era molto grave e abbiamo fatto di tutto per spingerlo a farsi ricoverare - racconta Najat Tantaoui, una delle leader del Comitato immigrati milanese e anima del presidio nato sotto la torre per sostenere la battaglia dei sei lavoratori - ma appena arrivato in ospedale è stato schedato, gli hanno preso le impronte e un gruppo di poliziotti ha iniziato a piantonarlo come se fosse un pericoloso omicida. Dopo neanche due ore, lo hanno trasferito al Cie, prima a via Corelli, poi a Modena».
Contro l'ennesimo sopruso della polizia e per ribadire che la lotta prosegue un corteo piccolo ma combattivo - organizzato dalla Cub e dal Comitato - si è snodato fra le vie del quartiere, fra due ali di poliziotti in assetto anti-sommossa.
Dietro lo striscione che ha aperto la manifestazione e che chiede "regolarizzazione per tutti", c'è anche Marcelo Galati, il lavoratore che dall'alto della torre di mattoni rossi ha guidato la protesta e solo giovedì ha accettato di scendere, ma non per questo - dice - «ho intenzione di smettere di lottare per una battaglia che non riguarda solo noi stranieri. Usano il razzismo per dividerci, ma lassù siamo saliti per difendere i diritti di tutti, italiani e immigrati. Noi tutti stiamo pagando la crisi, nello stesso modo».
Una lotta che non si ferma e che si è data appuntamento il prossimo 7 dicembre davanti alla Scala di Milano, dove «cercheremo anche di avere un colloquio con il presidente Napolitano, per chiedergli di condannare le azioni di questo governo e le politiche razziste della Lega».
Adesso però è anche tempo di bilanci. «Abbiamo fatto solo il nostro dovere salendo sulla torre - commenta Marcelo mentre sfila con in braccio il figlio Diego - abbiamo dimostrato, per primi noi lavoratori immigrati, che lottare si deve e si può, anche nel cuore del potere leghista». Non è la prima volta che Marcelo si trova al centro di una battaglia per difendere i propri diritti. Solo pochi mesi fa, insieme ad altri sette colleghi è salito sul tetto della Carlo Colombo, un'azienda di trafilati di rame che ha chiuso i battenti nell'hinterland milanese, per protestare contro la dismissione dello stabilimento di Agrate e la mancata ricollocazione di 38 lavoratori, italiani e stranieri. «Quella vertenza è stata importantissima e propedeutica» commenta Galati, che spiega: «In questo mese di mobilitazione abbiamo imparato molto, siamo diventati anche più coscienti delle nostre forze e delle forze di chi vuole sostenerci. C'è chi lo fa a parole e chi invece è disposto a mettersi in gioco».
Partiti, sindacati, associazioni, sono state molte le organizzazioni che nel corso di queste settimane si sono presentate in via Imbonati per esprimere la propria solidarietà, ma «non tutti si sono dimostrati in grado di andare fino in fondo. Da parte della Cgil, ad esempio, abbiamo visto molte mani tese, ma si tratta di mani vuote. E questo puoi aspettartelo da piccole realtà, non da un'organizzazione così strutturata».
E mentre il movimento di via Imbonati si riorganizza e si prepara per le battaglie future, però c'è chi in Lombardia alza il tiro e contro gli immigrati apre un nuovo fronte. Il provvedimento con cui la Provincia programmava di rispondere alla drammatica mancanza di infermieri, reclutandoli all'estero e garantendo loro alloggi nelle case popolari, è stato bloccato dalla Lega. «L'ennesima presa di posizione miope, demagogica e reazionaria» commenta un manifestante, che sottolinea che «si tratta solo del tentativo dei leghisti di serrare i ranghi adesso che si avvicinano le comunali e il governo traballa. Il problema è che a farne le spese saranno come al solito i cittadini, che nelle strutture sanitarie pubbliche non potranno avere valida assistenza».

Liberazione 05/12/2010, pag 4

«Ora tutti conoscono l'ingiustizia della sanatoria»

Brescia apripista, si ricomincia a parlare di diritti dei migranti
Laura Eduati
E' davvero finito il tempo delle gru? Con la discesa degli ultimi due migranti dalla torre di via Imbonati a Milano e la probabile espulsione per uno di loro, questo è il tema centrale degli antirazzisti italiani impegnati contro la sanatoria-truffa e in generale sulla richiesta di maggiori diritti per i migranti.
La clamorosa protesta di Brescia ha ottenuto un'attenzione mediatica internazionale; le foto di Arun, Sajad, Jimmy e Rachid sono state riprese dai media di tutto il mondo, inclusa Al Jazeera. Non importa se per il momento il Viminale non ha retrocesso di un passo e, anzi, per rappresaglia rinchiude nei Cie e rimpatria alcuni dei protagonisti dei presidii. «Salire sulla gru ha ottenuto un importante successo politico - osserva Umberto Gobbi dell'Associazione Diritti per Tutti - Ha fatto conoscere a milioni di italiani l'ingiustizia della sanatoria ed ora le rivendicazioni dei migranti si stanno saldando con quelle degli studenti, dei ricercatori, degli operai e dei movimenti». Gobbi si riferisce al presidio organizzato da "Uniti contro la crisi" che si terrà il 14 dicembre di fronte a Montecitorio: una folta delegazione di migranti bresciani sarà presente per far sapere che stare sulla gru non è una battaglia solipsistica.
A Brescia, come a Milano, le richieste dei migranti si sono scontrate con il muro opposto dai sindaci e dalle Prefetture. In entrambi i casi è stato promesso un tavolo tecnico-istituzionale, ma i rappresentanti del governo fanno sapere che non si potrà modificare il regolamento della sanatoria o accordare permessi di soggiorno ad personam. Ora le associazioni che hanno animato la lotta bresciana continuano il presidio quotidiano ai piedi della gru, e si preparano per una manifestazione l'11 dicembre.
Non si tratta soltanto dei centri sociali come il Magazzino 47 o delle comunità, ma anche di tantissimi italiani. «La gru è riuscita a risvegliare tutte le comunità straniere della città - puntualizza Iqbal Mazher, uno dei leader della comunità pakistana - E migliaia di bresciani ci hanno mostrato la loro solidarietà, e continuano a farlo». Per dire, le scuole si contendono Arun e compagni come fossero degli eroi, organizzano incontri e nella città si ricomincia a parlare ovunque dei problemi legati ai diritti degli immigrati. L'effetto-gru non è soltanto questo: le associazioni stanno raccogliendo i nominativi dei migranti truffati da finti datori di lavoro che hanno intascato grosse tangenti per presentare la domanda di regolarizzazione, seguendo il consiglio del ministro dell'Interno secondo il quale l'unica via per il momento è la denuncia delle truffe e la speranza di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Non è molto.
Tuttavia, Gobbi ricorda la storica mobilitazione del 2000, quando per 54 giorni centinaia di pakistani occuparono piazza della Loggia per chiedere una sanatoria: «Allora fu un successo, ma nemmeno in quel caso lo Stato apertamente ci diede ragione. Lo fece con delle circolari passate sottotraccia. Sappiamo che dobbiamo aspettare, la battaglia è ancora lunga».
Prospettiva rosea? Non è ottimista Driss Ennya, responsabile migranti della Cgil: «Se è vero che la gru ha portato enorme visibilità, ora è scattata la vendetta della Questura: gli agenti hanno individuato gli stranieri impegnati nel presidio e stanno passando porta a porta per controllare se sono regolari. Questo accade anche a persone che non hanno fatto nulla di male». La critica, nemmeno troppo velata, va alla modalità della lotta: rimanere quasi tre settimane appesi al cielo «è un ricatto che lo Stato non poteva accettare». La Cgil deve ancora decidere se appoggiare la mobilitazione dell'11 dicembre. La prudenza della Camera del Lavoro bresciana, sicuramente una delle realtà maggiormente impegnata per i diritti dei migranti, fa il paio con la posizione della Curia: le proteste eclatanti non portano quasi nulla di concreto.
Non può però passare inosservato il fatto che pochi, pochissimi politici hanno portato solidarietà ad Arun e gli altri. Se si fa eccezione per Paolo Ferrero e Maurizio Zipponi (Idv), gli altri hanno preferito farsi fotografare sui tetti delle università con i ricercatori e gli studenti. Come se salire verso l'alto - come avevano fatto anche gli operai dell'Innse - fosse sempre una carta vincente dal punto di vista mediatico, ma molto meno su quello politico e delle rivendicazioni. Naturalmente è ancora tutto da vedere. Ma su questo ultimo fronte i migranti truffati dalla sanatoria sono rimasti soli, appoggiati unicamente a livello locale dai centri sociali, dalle associazioni, da semplici cittadini simpatizzanti, da pochi partiti.
Basterà? Iqbal Mazhar sottolinea che «se altrove non sono saliti sulle gru è perché gli stranieri delle altre città guardano a Brescia come l'avanguardia delle lotte dei migranti». Ed è vero. La città lombarda è da sempre il laboratorio dell'integrazione degli stranieri in Italia. Ora si tratterà di vedere se le mobilitazioni, legate anche alla protesta degli studenti e degli operai, troveranno un terreno fertile.

Liberazione 05/12/2010, pag 4

Milano, via dalla torre gli ultimi due migranti

Altre iniziative dopo l'esperienza di via Imbonati

Stefano Galieni
Abdeljarat è sceso dalla torre di Via Imbonati a Milano, dopo quasi un mese, vittima di una brutta colica renale. Ieri in mattinata aveva rifiutato la visita di un medico. 32 anni, uno dei tanti truffati da un finto datore di lavoro che aveva intascato i suoi soldi e non lo aveva regolarizzato, teme di finire in un Cie e poi espulso. I dolori si sono intensificati mentre si cercava affannosamente una soluzione. Abdeljarat non ha commesso reati ma la sua pratica di regolarizzazione è stata respinta ugualmente. Il vice sindaco De Corato, ormai in campagna elettorale, aveva lamentato le modalità con cui Mahmud, il ragazzo egiziano sceso alcuni giorni fa, era stato curato e dimesso. C'è chi vorrebbe inquisire il medico che ha solo fatto il suo dovere. Abdeljarat è sceso fra gli applausi dei migranti e degli antirazzisti che erano sotto la torre in presidio permanente. A bordo di un ambulanza è stato portato all'ospedale Niguarda da dove sarà rimesso in sesto. L'altro dei due rimasti, Marcelo, operaio della Fiom, non rischia di essere espulso ma ha lottato per gli altri. È rimasto un'altra ora, il tempo di smontare la tenda in cui ha dormito sotto le intemperie ed è tornato a terra. Anche lui è stato portato in ospedale. Ma l'iniziativa messa in atto per sollevare la vergogna di una truffa legalizzata ai danni di tanti lavoratori e lavoratrici non termina. Chi l'ha organizzata intende decidere come proseguire, partendo da una assemblea che si terrà a breve sotto la torre. Malgrado la frammentazione, le difficoltà, la repressione già si preparano nuove mobilitazioni che rivendicano una soluzione equa ad un problema che riguarda decine di migliaia di migranti truffati. Il 7 altra manifestazione a Milano, l'11 a Brescia, dove prosegue un presidio ma comincia a divenire ancora più pesante e minaccioso il tentativo governativo di reprimere e intimidire. E poi il 12 a Firenze e il 18 in molte città italiane, con modalità e forme organizzative diverse, nel ventennale della Convenzione internazionale dei diritti dei lavoratori migranti che l'Italia, malgrado i diversi governi, non ha ancora ratificato.

Liberazione 03/12/2010, pag 5

Fiat, anche a Mirafiori verso l'accordo separato

Marchionne impone ai sindacati la sospensione del contratto. Oggi assemblea e sciopero indetto dalla Fiom

Fabio Sebastiani
Se c'è un modello "nuovo" che la Fiat intende portare a Mirafiori sarà il "modello Pomigliano". Non è soltanto una battuta. E a Torino se ne è avuta la conferma. Ovviamente, l'accordo sarà ancora una volta separato. Da una parte la Fiom, che ieri ha tenuto una affollatissima assemblea degli iscritti, e dall'altra Fim, Uilm, Fismic e Ugl, che hanno fatto a gara nel dichiarare come «imminente» le firme sul testo redatto dall'azienda. Sugli spalti alcuni tifosi "tesserati", il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni.
E non ci sarà nessun "secondo tempo", contrariamente a quanto accaduto a Pomigliano d'Arco. E' il leader del Fismic a dettare le durissime condizioni affinché ci sia il referendum tra i lavoratori: al primo punto c'è la firma dell'accordo di Pomigliano da parte della Fiom. Sarcastico il commento di Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Fiom. «Con piacere - afferma - dopo mesi registriamo il primo dissenso tra Di Maulo e Marchionne: Di Maulo non vuole che ci sia un referendum che Marchionne ha suggerito a tutti i sindacati. E vorrebbe far decidere i turni degli operai anche agli impiegati di Mirafiori che fanno l'orario normale».
Insomma, la "pagina bianca" di Marchionne in realtà è una "pagina sporca"; anche perché la Fiat non vuole applicare nessun contratto nazionale alla futura newco, tenendosi le mani libere per i "contratti individuali". «Le sigle sindacali che hanno concesso all'azienda contratti non certificati dai lavoratori e deroghe dovranno riflettere», aggiunge Airaudo. A questo punto la Fiom chiede la sospensione del negoziato l'apertura del confronto con i lavoratori.
Fim, Uilm e Fismic, intanto, hanno ritirato la firma dalla richiesta presentata unitariamente per le due ore di assemblea della Fiom prevista per oggi alle Meccaniche di Mirafiori. Per fare lo stesso l'assemblea la Fiom è stata costretta ad indire due ore di sciopero, dalle 9.15 alle 11.15 per il primo turno e dalle 16.30 alle 18.30 per il secondo.
Il momento è molto sentito dalle tute blu. La massa di iscritti che ieri si è presentata davanti al portone della sede della Fiom a Torino per l'assemblea degli iscritti lo testimonia ampiamente.
Il mandato che le tute blu delle Fiom hanno affidato ai propri sindacalisti è molto dettagliato: definizione di un regime di utilizzo degli impianti a partire dai 15 turni e, a fronte di esigenze produttive,disponibilità ad applicare come previsto dal Ccnl le 40 ore procapite di straordinario comandato e le 64 ore procapite di orario plurisettimanale. Il lavoratore potrà scegliere tra il pagamento in regime di straordinario o il recupero sotto forma di permessi. Utilizzo nel corso del turno della pausa mensa e dei 40 minuti di pause per ogni turno. Infine, disponibilità a prevedere modalità di utilizzo delle pause anche a scorrimento, al fine di aumentare la capacità produttiva per ogni turno, e isponibilità a definire forme e procedure di confronto preventivo e istantaneo tra le parti, «anche con l'obiettivo di ridurre e prevenire le occasioni di conflitto, a partire dall'organizzazione della produzione e dei carichi di lavoro nelle linee di montaggio».
Intanto, aumenta il quadro di frammentazione della Fiat. Le ambizioni del gruppo Volkswagen per l'Alfa Romeo, per esempio, vengono definite addirittura «concrete». A scriverlo è stato ieri il "Financial Times Deutschland". L'interesse è a tal punto che una delegazione di Wolfsburg ha già fatto un «viaggio segreto» a Milano, dove ha incontrato il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Un portavoce del gruppo, sempre secondo il giornale, ha tuttavia detto che non ci sarebbe stata nessuna delegazione.
Per quanto riguarda Termini Imerese, invece, per la quale si avvicina l'ora della chiusura così come dichiarata dalla Fiat, l'imprenditore Gian Mario Rossignolo intende produrre un mini-suv e una city-car per un totale di 35 mila auto all'anno, attraverso l'assunzione dell'intero personale diretto (1.456 lavoratori) e un investimento di circa 300 milioni di euro, 97-98 milioni dei quali come dote governativa. Avvio della produzione: 2012. Il progetto di Rossignolo, anticipato ieri da "la Repubblica" di Palermo, è inserito nella short-list che l'advisor Invitalia ha consegnato al ministero per lo Sviluppo, che comprende in totale sette proposte per la fabbrica della Fiat dove al momento 2.200 operai, tra diretti e indotto, assemblano la Lancia Ypsilon.

Liberazione 03/12/2010, pag 5

Migranti sulla torre di Milano «Le istituzioni boicottano»

Il ragazzo egiziano, sceso per un malore, dimesso dall'ospedale: per lui pronto il trasferimento in un Cie?

Stefano Galieni
Mahamud, 23 anni egiziano, 22 notti passate sulla torre "ex Carlo Erba" di Via Imbonati, sceso per un malore che ne stava mettendo a rischio la vita, è stato dimesso dal pronto soccorso dell'Ospedale S. Paolo in cui era stato ricoverato. Entrato col codice giallo, ai limiti del congelamento, è stato nutrito e riscaldato, domenica mattina stava meglio ed è potuto uscire. In tasca un invito a comparire in questura per dopodomani: se si presenta, è molto probabile che rischi il trasferimento in un Cie se non direttamente il rimpatrio.
Ma non è questo l'unico paradosso. Mahamud è sceso partendo dal presupposto che sarebbe stato innanzitutto curato, cosa che è in effetti avvenuta. Dal canto suo, la polizia si è limitata a procedere con l'identificazione di rito e a rilevargli le impronte per poi lasciarlo nella sua stanza senza piantonamento, non sussistendone le ragioni. Il medico che lo aveva già visitato sulla torre e che lavora al S.Paolo, è tornato a sincerarsi ieri mattina delle sue condizioni, ritenendo non necessario prolungare il ricovero. Eppure, ieri pomeriggio, in un comunicato stampa la questura ha ipotizzato per il medico e per tutti coloro che hanno accompagnato Mahamud, il reato di «favoreggiamento dell'immigrazione clandestina».
Dalla direzione sanitaria del pronto soccorso già hanno risposto che tale ipotesi è priva di fondamento e che curare i malati è l'obbligo primario a cui un medico non può e non deve sottrarsi. Luciano Muhlbauer, ex consigliere regionale del Prc lombardo e fra coloro che hanno seguito la vicenda, la vede così: «L'ipotesi della fuga non sta in piedi - afferma - Non c'era alcun controllo di polizia, Mahamud ha anche incrociato il posto di polizia antistante l'ingresso senza problemi. A mio avviso la questura subisce forti pressioni politiche e colui che più si sta spendendo per denigrare e far cessare la lotta degli immigrati è il vice sindaco De Corato». L'esponente del Prc fa presente un aspetto preoccupante: «Ogni volta che le associazioni antirazziste e di immigrati riescono ad aprire un tavolo di confronto con le istituzioni, in particolare con la prefettura, per affrontare i problemi e provare a risolverli, immediatamente scattano interventi che cercano di sopprimere qualsiasi spazio di interlocuzione. Io sono convinto che per sbloccare situazioni complesse, come quelle della torre ma in generale la questione della sanatoria, delle persone truffate, di coloro che potrebbero denunciare i propri sfruttatori e ottenere protezione sia necessaria la collaborazione fra le istituzioni altrimenti non se ne esce».
Muhlbauer, come tanti, è preoccupato per la sorte dei due ragazzi rimasti su, ormai da 24 giorni. La temperatura a Milano cala di giorno in giorno, la fatica comincia a farsi sentire, va trovata una via di uscita che non sia una sconfitta e che non metta a repentaglio, più di quanto non lo sia già, la salute dei due ragazzi.
Domenica a Firenze si è tenuta una affollata assemblea in cui partendo dalle lotte messe in piedi a Milano e a Brescia, si è cercato di ragionare sulle prospettive da dare ad un movimento che pur avendo carattere molto diffuso si ritrova spesso parcellizzato. Una discussione in alcuni momenti anche molto aspra da cui però sono emersi alcuni appuntamenti già definiti. La Cub di Milano sta organizzando per il 7 dicembre, in occasione della apertura della stagione della Scala di Milano, un presidio a partire dalle 15. L'11 dicembre a Brescia, dove il presidio continua nonostante non sia autorizzato, si terrà una manifestazione che cercherà di unificare le vertenze presenti soprattutto al centro nord. In alcune città si terranno iniziative il 14 dicembre per entrare ed essere presenti anche nella fase di crisi politica che si potrebbe aprire mentre per il 18 dello stesso mese, in occasione della giornata mondiale dei diritti dei e delle migranti, si organizzeranno iniziative diffuse in molte città italiane.
Intanto notizie pessime giungono dalla Agenzia Habeshia, che da anni si occupa di profughi soprattutto provenienti dal Corno d'Africa. Secondo le loro fonti circa 80 cittadini eritrei si troverebbero attualmente nel Sinai, in Egitto, quasi al confine con Israele. Erano arrivati in Libia, da lì volevano provare a raggiungere Israele ma i trafficanti che li trasportano li hanno sequestrati e marchiati a fuoco. Pretendono 8000 dollari a persona per il rilascio; secondo alcuni parenti dei rapiti, già 3 profughi sarebbero stati uccisi con un colpo di pistola perché si rifiutavano di pagare. Habeshia fa appello alla comunità internazionale e alla Santa Sede perché intervenga sul governo egiziano affinché si adoperi per porre fine a questo orrore.

Liberazione 30/11/2010, pag 6