giovedì 4 agosto 2011

Legge sulla rappresentanza, si allarga il consenso. Tra le nuove firme, Fds, Sel e Giorgio Cremaschi

Su Rappresentanza e rappresentatività si allarga, a sinistra, il sostegno alla proposta di legge di iniziativa popolare elaborata dal Forum diritti/Lavoro e presentata da alcune organizzazioni sindacali di base. Ieri al Cnel si è tenuto un convegno ("Vento di democrazia. Una proposta per il lavoro") nel corso del quale ci sono stati diversi pronunciamenti a favore. A partire da Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale Fiom, che ha firmato la proposta di legge. Nel suo intervento Cremaschi ha sottolineato la necessità di unire le forze fra le organizzazioni sindacali che praticano il conflitto.Uguale sostegno alla proposta legge è giunto da Cesare Salvi, FdS, e Alfonso Gianni di Sel.
Tra gli altri interventi, quello del costituzionalista Gianni Ferrara, che ha parlato di sindacato «come uno strumento». E quindi, tenuto a «far verificare i suoi risultati e la sua attività. Su questo si fonda il mandato».
Sono inoltre intervenuti Francesco Bilancia, prof. di diritto costituzionale; Franco Liso, prof. dell'Università la Sapienza di Roma; gli avvocati del Forum Diritti/Lavoro Carlo Guglielmi, che ha introdotto il convegno, Riccardo Faranda e Arturo Salerni; Stefano D'Errico, Coordinatore nazionale Cib-Unicobas; Giovanni Naccari, Presidente dell'Associazione per i Diritti Sociali e di Cittadinanza.


Liberazione 18/06/2011, pag 6

Da Padova a Verona, governo costretto a trattare

Immigrati Riprende vigore la protesta contro la sanatoria-truffa

Francesca Mantovani*
Il dito di Maroni non basta. La diga delle politiche discriminatorie, targate Lega-Pdl, continua a mostrare altre crepe. Sempre più profonde. L'esecutivo e le sue ultime uscite in materia - trattenimento nei Cie da 6 a 18 mesi, ripresa in grande stile delle espulsioni e altro ancora - escono per la prima volta scornate dal conflitto con le mobilitazioni di chi è stato truffato nel 2009 all'interno della cosiddetta "sanatoria colf e badanti". La lotta degli immigrati e degli antirazzisti, in corso da settimane in una mezza dozzina di città - Brescia, Milano, Padova, Verona, Massa Carrara e La Spezia, per citare le principali - ha fatto segnare ieri i primi, significativi risultati positivi.
Le novità più importanti arrivano in queste ore dal Veneto. A Padova, la mobilitazione dei migranti ha subito un'accelerazione nella nottata fra giovedì e venerdì. All'ennesima mancata risposta da parte delle istituzioni, i migranti hanno risposto occupando una gru. Come a novembre, a Brescia, per ottenere diritti sulla terra i migranti decidono di salire in cielo. Il clima, però, rispetto allo scorso autunno, è radicalmente cambiato. A Brescia, 17 giorni di durissima lotta non avevano portato ad alcuna apertura sostanziale da parte del governo, che - anzi - aveva espulso diversi protagonisti di quell'esperienza. Ieri, a Padova, è bastata una notte per riportare a più miti consigli le autorità. I cinque migranti saliti sull'infrastruttura, posta esattamente di fronte agli uffici territoriali del governo, hanno dettato la loro agenda a chi da sotto cercava ancora una volta di ridurre una protesta politica ad una questione di ordine pubblico.
«Senza risposte certe sui permessi e sulle truffe subite - hanno scandito i migranti padovani - da qui non scendiamo». Nella serata la prima apertura, con la promessa di convocare una ventina di persone che, condannate per inottemperanza all'ordine di allontanamento, si erano viste negare il permesso di soggiorno. La risposta arrivata a terra dalla gru dà il senso della determinazione e della rabbia di chi è stufo di aspettare: «Non basta. Stessi diritti per tutti, altrimenti restiamo qui». I migranti si fanno forza della sentenza del Consiglio di Stato, che ha bocciato la circolare Manganelli emanata dal governo nel 2010.
Poi in mattinata, la svolta: il centinaio di migranti euganei truffati dallo Stato verranno convocati tutti per perfezionare le procedure in Prefettura e procedere al successivo ritiro del permesso di soggiorno in Questura. Prima di lasciare la gru, i cinque hanno chiesto e ottenuto che il Prefetto annunciasse l'apertura di un tavolo. Obiettivo: affrontare il tema delle truffe, ossia di tutti quei migranti raggirati da connazionali o da cittadini italiani nell'ambito della sanatoria 2009. Al tavolo ci saranno le amministrazioni cittadine e provinciali, le forze dell'ordine, la curia e i magistrati che si stanno occupando delle inchieste scaturite dalle denunce dei migranti, oltre ai sindacati e all'associazione "Razzismo Stop" che sta seguendo la vicenda in Veneto. «Una realtà - dice Nicola Grigion, di meltingpot.org - che ha dimensioni ancora sconosciute, relazioni neppure troppo celate con la malavita organizzata e una rete di soggetti coinvolti dediti ai raggiri nei confronti degli stranieri».
Segnali positivi arrivano anche da Verona, un tempo territorio tabù per le rivendicazioni dei migranti. Sulla scorta di quanto accaduto a Padova, una trentina di persone ieri ha occupato l'Arena. I turisti in visita al monumento, scalato attraverso l'impalcatura che in questi giorni lo riveste per lavori di restauro, hanno visto sventolare per oltre un'ora lo striscione "sanatoria truffa 2009". Verso mezzogiorno, l'Arena è stata abbandonata. Non prima, però, di aver ricevuto dalla Prefettura scaligera promesse analoghe a quelle della città del Santo. A Milano, invece, l'incontro fra immigrati autorganizzati e Prefettura ha sortito l'ennesimo nulla di fatto, tanto che i migranti hanno deciso di tornare in piazza già nel pomeriggio di ieri, e lo stesso faranno nel week end. A Brescia, infine, prosegue lo sciopero della fame e il presidio permanente 24 ore su 24, nella centrale piazza Rovetta. Questa mattina, in calendario c'è un incontro con i parlamentari bresciani.
*redattrice di Radio Onda d'Urto


Liberazione 18/06/2011, pag 3

Bossi vuole lo scalpo dei migranti, loro rilanciano la lotta. Ovunque

Il nuovo decreto di Maroni Espulsioni coatte e 18 mesi nei Cie

Francesca Mantovani*
Dalla gru in centro storico a Brescia, occupata per 17 giorni, a novembre, Haroon e Jimi sono scesi ormai da diversi mesi. La loro mobilitazione, come quella di altre migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti truffati dalla cosiddetta "sanatoria colf e badanti 2009", invece, non si è mai fermata. Ogni giorno, con più rabbia e determinazione di prima. La loro lotta sembrava aver trovato uno sbocco positivo il 10 maggio scorso, quando il Consiglio di Stato aveva sconfessato il Governo. Per i giudici, la condanna per il cosiddetto reato di clandestinità non poteva impedire ai migranti che avevano presentato domanda di regolarizzazione di ottenere il permesso, come invece affermava la famigerata circolare Manganelli del marzo 2010. Tutto a posto, quindi? No. Il Ministero degli Interni non aveva infatti inviato la circolare interpretativa alle Questure. C'era voluta l'occupazione per quattro giorni del sagrato del Duomo di Brescia per ottenere, a fine maggio, il via libera del Viminale. Ritirato, però, in poche ore: la circolare era stata rimangiata da Maroni, «in attesa di nuove disposizioni». Due settimane dopo, i migranti attendono ancora che lo Stato riconosca i propri errori. Lo stesso Maroni, ieri pomeriggio, ha invece trovato il tempo di presentare in Consiglio dei Ministri un nuovo decreto legge che cerca di reintrodurre in grande stile le espulsioni coatte, triplicando nel contempo la durata delle reclusioni nei Cie: dagli attuali 6 a 18 mesi. Quella che Ferrero chiama la vendetta della Lega contro i migranti: Maroni «nel tentativo di arginare la contestazione della base leghista e di ritrovare il consenso perduto, recupera la vecchia ricetta del capro espiatorio» commenta il segretario del Prc.
Contro l'atteggiamento del Viminale, da un paio di giorni, Haroon e Jimi hanno deciso di attuare una nuova forma di protesta: sciopero della fame e della sete, mentre altre decine di migranti e di antirazzisti bresciani hanno iniziato un presidio permanente 24 ore su 24 in piazza Rovetta, a due passi dalla sede del Comune, che ieri ha autorizzato la presenza in piazza fino al 25 giugno. In calendario ora ci sono incontri, dibattiti, e molto altro ancora. La fiducia non manca, anche se «ogni volta sembra di tornare al punto di partenza», mormora un migrante sotto la canicola del presidio.
In realtà, la mobilitazione è oggi decisamente più forte di un anno fa. Presidi, cortei e lotte si segnalano nelle ultime settimane in una mezza dozzina di città italiane. A Padova, mercoledì i migranti si sono accampati insieme alle Brigate di solidarietà attiva ed alla Rete per l'accoglienza degna sotto la Prefettura. Da lì è poi partito un corteo per le vie cittadine con la promessa di un appuntamento con il vescovo. Ieri pomeriggio, invece, cinque migranti patavini sono saliti su una gru, sempre di fronte alla Prefettura, «per chiedere risposte immediate». A Verona, da nove giorni gli immigrati truffati stazionano ininterrottamente davanti alla chiesa di San Niccolò. A Milano, dopo un presidio mercoledì in piazza Oberdan gli immigrati autorganizzati hanno strappato per questa mattina, venerdì, un incontro in Prefettura. Nel pomeriggio ci sarà un nuovo appuntamento di piazza, a San Babila, mentre nel week end i migranti andranno a chiedere spiegazioni in piazza XXIV maggio, davanti a una sezione della Lega Nord. Infine Massa Carrara, dove ormai da 47 giorni va avanti la mobilitazione iniziata con l'occupazione del Duomo cittadino e proseguita con una presenza costante in piazza. Mercoledì sera un'affollata assemblea cittadina, aperta alle forze politiche e sociali della città, ha aderito al corteo organizzato per questa mattina nella vicina città di La Spezia, sempre sugli stessi temi. Nonostante Maroni, nonostante Pontida, i migranti quindi si organizzano, e puntano a resistere un minuto in più dell'Esecutivo. «Siamo ancora tutti sulla gru - sintetizzano dal presidio di Brescia, quello al momento più affollato -. Siamo tutti clandestini. E siamo stanchi di esserlo. Pretendiamo di poter tornare a tenere i piedi ben saldi sulla terra che ci appartiene».
*Redattrice di Radio Onda d'Urto


Liberazione 17/06/2011, pag 7

Fincantieri, proposte per un nuovo piano nazionale: oggi dibattito ad Ancona con la Fds

Ritirato il piano lacrime e sengue (chiusura degli stabilimenti di Sestri Ponente e Castellamare di Stabia, ridimensionamento di Riva Trigoso e taglio di 2.500 posti), la situazione di Fincantieri è tutt'altro che risolta. A due tavoli regionali, uno ligure e uno campano, è stato demandato il compito di cercare soluzioni. Di questo si parlerà oggi ad Ancona, nell'incontro organizzato dalla Fds: "Fincantieri. Un problema per l'Italia: alcune proposte dal basso, a sinistra". All'appuntamento (presso il circolo operaio Germontari, via Colle Verde, 2 - loc. Grazie, ore 15), partecipano esponenti politici del Prc, sindacalisti Fiom, Rsu, docenti universitari, operai Fincantieri. Partecipa Massimo Rossi, portavoce Fds.


Liberazione 17/06/2011, pag 7

Anche il ministero dalla parte degli operai

Candy «Siamo contrari alla delocalizzazione»

Matteo Gaddi
La lotta dei lavoratori della Bessel Candy di Lecco comincia a sortire qualche risultato. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha duramente bocciato la decisione dell'ing. Fumagalli di chiudere lo stabilimento lombardo di lavastoviglie per spostarne la produzione in Cina. «Il Ministero dello Sviluppo Economico ha ribadito con fermezza la contrarietà a questa strategia di delocalizzazione che avrebbe conseguenze molto negative non solo per i lavoratori ed il territorio direttamente coinvolti, ma per l'intero Paese»: recita così il comunicato dell'incontro del 9 giugno. Con la fissazione di una nuova data, il 27 giugno, per riprendere il confronto e arrivare ad un accordo per il «mantenimento delle attività produttive e dell'innovazione di prodotto secondo i nuovi canoni richiesti dal mercato».
Da qui al 27, quindi, si moltiplicano le iniziative per convincere la proprietà ad abbandonare il vicolo cieco della delocalizzazione: «Questa vicenda dimostra che nella maggior parte dei casi le aziende che investono nei Paesi asiatici non lo fanno per presidiare un possibile mercato di sbocco delle merci prodotte, ma solo per rincorrere il costo del lavoro più basso e, spesso, privo di diritti», spiegano gli operai in presidio. Che nel frattempo sono in produzione per due settimane al mese e le altre due in cassa integrazione; ma questa pesante decurtazione salariale non li ha fatti desistere dal confermare uno sciopero a scacchiera che prevede la sospensione del lavoro per due ore al giorno.
Candy, quindi, produrrebbe in Cina per poi importare gli elettrodomestici da vendere sui mercati occidentali. Costo del lavoro cinese; costo del prodotto occidentale: ecco la ricetta per fare profitti.
In Cina, infatti, non venderebbe una sola lavastoviglie prodotta: altroché internazionalizzazione delle imprese.
L'azienda, al momento, non ha mostrato l'intenzione di desistere; un atteggiamento frutto di scelte compiute negli ultimi anni che l'hanno portata a cessare progressivamente le produzioni di elettrodomestici: frigoriferi (spostati in Repubblica Ceca), lavatrici (in Cina), asciugatrici e altri prodotti. Dal 2005 in azienda è risultata prevalente la logica commerciale rispetto a quella industriale: una scelta imposta da Aldo Fumagalli che ha anche fortemente ridisegnato l'assetto societario nonché le prospettive di (non) sviluppo.
Anche sulle lavastoviglie, il principale prodotto dello stabilimento lecchese, i numeri non tornano: «Candy occupa una fascia di mercato pari a 350.000 pezzi, ma noi attualmente ne produciamo solo 160.000: una parte delle 200.000 mancanti viene già realizzata da un terzista cinese». La continua riduzione dei volumi realizzati nello stabilimento in provincia di Lecco, arrivato a produrre anche 240.000 pezzi, era dovuta proprio a questo: la produzione è stata progressivamente spostata in Cina, a favore di Midea Group, un terzista che lavora anche per altre aziende come Bosch e Siemens.
Il prodotto cinese tuttavia presentava evidenti problemi di qualità ai quali la proprietà Candy ha risposto in modo chiaro: anziché reinternalizzare le produzioni, da un anno ha ceduto anche l'intera progettazione ed il lay-out del prodotto a Midea. Fumagalli sostiene che i costi di produzione non consentono di conseguire risultati economici positivi; «In realtà il Bilancio del Gruppo Candy è in attivo, ma la proprietà guarda solo alla divisione specifica» lamentano i lavoratori. Che aggiungono: «Negli ultimi anni sono mancati progetti e investimenti veri; gli unici che sono stati fatti sono quelli che hanno aumentato la produttività».
Alla Bessel, infatti, la produzione di una lavastoviglie è passata da 75 a 43 minuti. Sono stati fatti investimenti sul prodotto (meno pezzi, minor tempo di montaggio) e di processo (è stata automatizzata una parte della produzione); con l'unica finalità di aumentare la produttività; non per realizzare strategie industriali di lungo periodo. Tutta la parte delle presse è stata automatizzata; si è realizzata la "pulizia dei tempi"; sono aumentati i ritmi di lavoro. Con l'unico risultato di ridurre il personale: «Se nel mio reparto prima eravamo in 15 o 16, adesso lavoriamo in sei» ci dice un operaio. Solo il controllo delle Rsu sull'organizzazione del lavoro e la tenuta dei rulli frizionati (linee di montaggio che vengono attivate dai lavoratori) hanno consentito di contenere i danni, che comunque non sono mancati come testimoniano le malattie professionali che segnano molti lavoratori e lavoratrici.
Ad essere a rischio non sono solo i dipendenti diretti della Bessel, ma anche l'indotto e i fornitori di componenti: «E' vero che una buona parte di questi ormai vengono dall'estero, ma rimangono comunque imprese italiane che ci riforniscono». Anche queste imprese seguiranno la sorte delle lavastoviglie e si sposteranno in Cina? Forse sì, visto che la Regione Lombardia, governata dalla Lega e dal Pdl, continua a finanziare la cosiddetta "internazionalizzazione" delle imprese lombarde. Con la continua moria di attività e di posti di lavoro sul territorio lombardo. Mica male per i leghisti, candidatisi a ruolo di "sindacato del territorio".


Liberazione 17/06/2011, pag 7

Pisa. Cobas: «Le multe per legge non devono ripianare i bilanci»

Pisa Pubblica amministrazione

Federico Giusti
I Cobas del pubblico impiego si fanno promotori di una campagna per utilizzare i proventi del codice della strada non per i bilanci delle amministrazioni.
La Corte dei Conti è recentemente intervenuta in materia di risorse destinate all'assistenza della polizia municipale
L'articolo 208 del D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285 stabilisce che i proventi delle sanzioni amministrative per le violazioni previste dal codice della strada siano devoluti al Comune o alla Provincia quando l'accertamento è realizzato dalla polizia municipale o della Provincia
Una quota del 50 per cento dei proventi spettanti è destinata ad alcune finalità quali il miglioramento della circolazione sulle strade, il potenziamento della segnaletica stradale, i piani urbani ed extraurbani del traffico, interventi a favore della mobilità ciclistica.
In tempi di tagli agli enti locali, un uso virtuoso di questi soldi avrebbe una doppia valenza sociale e di incremento salariale per il personale.
La denuncia arriva dai Cobas del pubblico Impiego che contestano da una parte le ordinanze dei sindaci come strumento repressivo.
Uno degli epiecntri della protesta è a Pisa dove le ordinanze "antiborsoni" del sindaco Filippeschi hanno creato un clima di tensione con i migranti che sbarcano il lunario vendendo accendini e souvenir. Proprio in questi giorni alcuni commercianti, sostenuti dalla destra, hanno invocato nuovi interventi repressivi "contro i venditori abusivi".
La sentenza della Corte dei Conti (426 del 9 ottobre 2000) ha ammesso la possibilità di destinare questi proventi anche alla previdenza integrativa del personale di polizia municipale, ma - dicono i delegati Cobas - visti i risultati della previdenza integrativa pensiamo sia un'arma a doppio taglio. I rendimenti medi annui rispettivamente del 2,51% (Cometa) e del 2,69% lordi (Fonchim). Il Tfr, invece, ha reso negli stessi anni al netto di tutte le spese anche quelle fiscali più del 3% medio annuo garantendo capitale e un rendimento minimo anno per anno dell'1,5% più il 75% del tasso d'inflazione calcolato dall'Istat. Quindi quale uso dei proventi delle multe? Misure e interventi per accrescere la sicurezza stradale, per migliorare le condizioni lavorative del personale attraverso progetti incentivanti, assunzioni di vigili stagionali, acquisto di mezzi di lavoro più moderni ed efficienti, avvalersi insomma degli strumenti di legge per migliorare le condizioni lavorative del personale della polizia municipale e provinciale.


Liberazione 16/06/2011, pag 11

Lavoratori portuali una rete per battere la privatizzazione

Porti Italia

Matteo Gaddi
Le recenti lotte dei portuali italiani hanno rilanciato l'esigenza di disporre di uno strumento di organizzazione e collegamento delle loro iniziative. Nasce per questo la Rete Nazionale dei Lavoratori Portuali che già al momento della sua costituzione si è data un impegnativo programma di lavoro che sta dentro un obiettivo di carattere generale: il superamento della privatizzazione dei porti italiani e della brutale segmentazione del lavoro nelle catene logistiche.
Ma la Rete non è uno strumento di generica propaganda: i portuali, abituati alla concretezza, si sono dati da subito punti precisi rispetto ai quali organizzare specifiche vertenze.
Ecco quindi che si parla di salario di mancato avviamento, di sicurezza nei Porti, di contratto unico dei lavoratori portuali, di lotta all'autoproduzione, di tariffa unica e di contrasto agli elementi di frammentazione e precarizzazione del ciclo portuale.
Si tratta di titoli e parole d'ordine che non si limitano all'enunciazione del problema, ma che lo analizzano e ne prospettano possibili soluzioni concrete.
Alcune sono a portata di mano, altre da costruire nel tempo. Sul tema della sicurezza, ad esempio, nei principali Porti italiani, come Genova e Trieste, già esistono Protocolli per la Sicurezza, tutti nati a seguito di lotte durissime esplose come conseguenza di eventi drammatici come morti sul lavoro o incidenti gravissimi. Ma il più delle volte i Protocolli sono rimasti sulla carta, i rappresentanti dei lavoratori della sicurezza privati di risorse e di possibilità di operare, le aree dei terminalisti sono tornate ad essere off limits per i controlli.
Saranno proprio i terminalisti i principali interlocutori della Rete: i nuovi padroni dei Porti post-privatizzazione anziché migliorare l'efficienza degli scali non hanno fatto altro che dar vita ad una competizione sfrenata tra Porti (anche quelli situati a pochi km di distanza) e, addirittura, all'interno degli stessi Porti. Una concorrenza giocata tutta attraverso la frammentazione del ciclo portuale, l'esternalizzazioni di funzioni, la compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori, la concorrenza al ribasso sulle tariffe e quindi sul costo del lavoro.
Per questo si rende necessario definire obiettivi concreti che contrastino questa concorrenza al ribasso: ad esempio stabilendo una tariffa minima a livello nazionale (al di sotto della quale non è possibile scendere) in grado di remunerare adeguatamente il lavoro (come da Ccnl) e coprire i costi di gestione dei soggetti che svolgono attività e servizi portuali in modo da evitare che vengano continuamente "strangolati" dai terminalisti.
E ancora, per contrastare la frammentazione e segmentazione del ciclo (alla quale corrispondono decine di contratti diversi per lavoratori che sostanzialmente svolgono le stesse mansioni) si rende necessaria l'applicazione del Contratto Unico per tutti i soggetti che operano in Porto, indipendentemente dalla loro funzione e ruolo.
La tutela del lavoro portuale non può che passare attraverso il contrasto alla "autoproduzione" (che produce un duplice effetto negativo: il sovraccarico di lavoro per il personale di bordo delle navi, con conseguenti ricadute sulla sicurezza, la sostituzione dei lavoratori dei porti con evidenti ricadute sull'occupazione) e i tentativi di operare ulteriori frammentazioni del ciclo portuale attraverso la logica di esternalizzazioni e appalti.
Obiettivi precisi, quindi, da raggiungere con una forma organizzativa molto "larga": alla Rete, infatti, possono aderire tutte quelle realtà locali liberamente costituite che si riconoscono negli obiettivi e che si impegnano attivamente a sostenerli.
Una pratica dell'obiettivo, insomma, come nella tradizione concreta dei portuali.


Liberazione 16/06/2011, pag 11

Black out conti correnti e pacchi, shock annunciato

Poste Italia

Il sistema informatico di Poste negli ultimi giorni è andato totalmente " in tilt": code interminabili, operazioni rese difficili per la lentezza esasperante dei computer, bollettini in scadenza ICI e utenze varie non pagabili, pensioni non riscuotibili e pensionati disperati in interminabile attesa dei pochi spiccioli che permettono loro di sopravvivere. E' successo anche che lavoratori sportellisti di Poste hanno anticipato del denaro per permettere loro di fare un po' di spesa.
Per ora sembra rientrata la catastrofe informatica che ha, di fatto, collassato il sistema, una task force di specialisti IBM è intervenuta dagli Stati Uniti e dal Canada per risolvere i problemi che il software americano ha creato.
Ma come è potuto succedere tutto questo? Un "attacco informatico" fatto da pericolosi hacker?, server centrali sabotati? Virus?
No! Niente di tutto questo, "semplicemente" una nuova applicazione software di IBM e HP denominata SDP per la gestione della sportelleria (pagamenti, incassi ecc.) ha sostituito quella vecchia. Un'operazione che altre aziende fanno normalmente dopo averne sperimentato la validità e l'affidabilità.
Già nella fase sperimentale si sono verificate diverse anomalie prontamente segnalate dai lavoratori e denunciate da alcuni sindacati, sottovalutate dall'Azienda che, anzi, accusava i lavoratori di " remare contro".
L' Ad Massimo Sarmi e i top manager di Poste certamente non potevano mettere in discussione "l'esclusivo" legame che lega l'Azienda ( 100% di proprietà dello Stato) e l'IBM; un legame iniziato nel 2005 con un contratto da 12 milioni di euro e cresciuto nel tempo fino ad arrivare ad un contratto di 150 milioni di euro per la nuova applicazione.
La Corte dei Conti potrebbe chiedersi come mai alla gara d'appalto ha partecipato solo l'IBM? Possibile che in Italia e nel mondo non esistano altre aziende produttrici di software applicativi?
Possibile che gli esperti informatici dipendenti di Poste non siano in grado di testare nuove applicazioni?
E qui sorge il secondo problema, anzi "il problema" principale.
Poste fino ad un decennio fa aveva il più grande CED d'Italia e forse d'Europa, ma la logica di esternalizzare i servizi ha colpito in profondità, al punto che, oggi, anche le buste paga dei dipendenti sono gestite in service.
L'esternalizzazione ha colpito anche quei servizi propri di ogni azienda postale: telegrammi, pacchi, raccomandate, zone di recapito commerciali.
Il risultato di ciò è un totale caos annunciato per l'appunto. Come si può, per esempio, affrontare l'apertura del mercato del recapito ai privati, avvenuto l'01/01/2011, con il taglio di 7000 postini? E' evidente che all'Azienda non interessa tale servizio.
Cosa dire poi dell'avvenuta dematerializzazione dei bollettini premarcati senza che l'utenza sia stata informata adeguatamente, magari con spot pubblicitari?. Ci sono stati segnalati casi in tutta Italia in cui molti utenti avendo come ricevuta il bollettino per intero, hanno pagato per errore due e anche tre volte senza che il sistema software segnalasse alcuna anomalia.
E' evidente che a Poste non interessa difendere questo servizio dalla concorrenza, anzi non gli interessano più tutti i servizi tradizionali che finora ha svolto.
Poste nel corso degli anni è diventata una azienda che produce utili da capogiro ( più di un miliardo di euro nel 2010), ma non è più l' azienda che conoscevamo, è una banca, è un'assicurazione, è un gestore di telefonia mobile, ecc., il tutto condito con una strategia commerciale estremamente aggressiva nei confronti dei " clienti " e pagando stipendi da fame ai propri dipendenti (1200 euro medi al mese).
Non come quelli pagati agli oltre 600 dirigenti, con cifre che superano di cinque o sei volte lo stipendio medio dei lavoratori postali e con carriere
" sfolgoranti" spesso discutibili, dovute ad amicizie politiche e/o sindacali di ferro.
Per questo il caos Poste è per noi annunciato, nel 2006 come Rifondazione presentammo in un convegno il progetto di una nuova azienda, la chiamammo non a caso "la fabbrica dei servizi".
Nel 2011 il vento del liberismo estremo non soffia più e il suo rappresentante al governo non ha più niente da dire al Paese.
Riproporremo ai cittadini e ai lavoratori un'azienda che ponga al centro della sua missione i servizi, una fabbrica per l'appunto che sappia aggiornare quelli tradizionali e crearne di nuovi, un'Azienda Postale Bene Comune.
Coordinamento Nazionale Poste Prc


Liberazione 16/06/2011, pag 11

E dopo il licenziamento la paura di non trovare un altro posto di lavoro

Tuttitalia Golden Lady

Carmine Tomeo
La vertenza sulla chiusura della Golden Lady di Gissi (Ch) si sta spostando dall'ambito locale a quello nazionale, dopo la presentazione della richiesta di "area di crisi" per la Valsinello, da parte della Regione Abruzzo al ministero dello Sviluppo Economico.
I rischi di delocalizzazione del sito produttivo di Gissi, le lavoratrici ed i lavoratori dello stabilimento lo cominciarono a sospettare quando tir carichi di merce "made in Serbia" ritornavano dalla Francia e dall'Inghilterra, dove era stata venduta. I prodotti realizzati non erano conformi agli standard minimi richiesti e così nello stabilimento di Gissi si doveva rimediare a quei disastri.
Ma evidentemente l'azienda fa due conti: considera la probabilità di errore e la gravità che ci si può attendere in base a vari parametri aziendali e considera i costi di quegli errori. Valuta così che le perdite dovute alle difettosità sono ricompensate e superate dalla riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto e trova perciò comunque vantaggioso trasferire le produzioni. Filodoro, Omsa, Golden Lady: uno ad uno gli stabilimenti italiani chiudono e le produzioni si trasferiscono dove più conviene per realizzare profitti. Il sacrificio sull'altare della competitività basato sul costo del lavoro si paga a Faenza, si paga a Gissi con licenziamenti di molte centinaia di lavoratrici e lavoratori.
Intanto, la lotta per mantenere il posto di lavoro si carica del peso della paura di non trovarne un altro. Se sei riconoscibile come "quella che alza la testa" rischi di non trovare impiego. E così alla Golden Lady di Gissi, ad esempio, su quasi 400 lavoratrici e lavoratori ad essere attivi sono poco più di una ventina. Perché c'è «paura. Paura di non trovare altro. Paura di ritorsioni. Siamo anche a questo punto: sotto ricatto» confessa una lavoratrice.
C'è la speranza che ogni iniziativa in più aiuti a far crescere il numero degli attivi in difesa del posto di lavoro e ad abbattere il muro dell'informazione per raccontare il dramma di molte centinaia di lavoratrici e lavoratori del gruppo Golden Lady. E' anche per questo che su iniziativa congiunta delle sigle sindacali e dopo il coordinamento nazionale del gruppo, sono stati programmati sit in con volantinaggio informativo nelle città di Faenza, Ravenna, Mantova, Roma, Milano, Firenze, Teramo e Chieti nella giornata del 9 luglio prossimo. Di iniziative ce ne saranno sicuramente altre. Perché, dicono le lavoratrici ed i lavoratori più attivi, spronando tutti gli altri, «si deve lottare. Fino in fondo».


Liberazione 30/06/2011, pag 11

382 famiglie chiedono aiuto la regione tace

Gissi (Ch) Golden Lady

Carmine Tomeo
Il grido di aiuto delle lavoratrici Golden Lady. Ma la Regione Abruzzo non sente. Parliamo del futuro di 382 lavoratrici e lavoratori. Bisogna essere precisi, perché precisamente per ognuno di loro, per ognuna delle loro famiglie, per ognuno dei loro figli, quello che sta avvenendo da molti mesi alla Golden Lady di Gissi (Ch) è un dramma. Il dramma della chiusura dopo due anni di cassa integrazione ordinaria, un altro anno in straordinaria ed ora in deroga. Fino al 21 novembre prossimo, giorno della definitiva chiusura dello stabilimento. Giorno in cui Golden Lady smetterà definitivamente la sua produzione in Val Sinello per continuare in Serbia.
Chi in questi anni ha lavorato in Golden Lady ricorda le accuse di assenteismo che venivano rivolte loro dall'azienda, che significa dire, nella Fiat di Marchionne o nella Golden Lady a Gissi, scarsa produttività, poca redditività. E come spesso accade, quelle accuse sono le premesse delle intenzioni di delocalizzare la produzione dove lavoratrici e lavoratori vengono pagati meno ed hanno meno diritti. A quelle accuse le lavoratrici ed i lavoratori non rispondevano seppure risultavano essere chiaramente ingiustificate. Accuse mai «contestate per paura di ritorsioni, dovevamo stare zitte e non rispondere a tutti gli articoli di giornale che ci infamavano», racconta Graziella Marino, tra le più combattive dello stabilimento e creatrice del gruppo facebook "Dipendenti Golden Lady ancora per poco", dove raccoglie e aggrega informazioni e anima la lotta per il «lavoro che sta a dire dignità». «Se un tempo il lavoro femminile era una scelta - continua Graziella - lavorare al giorno d'oggi è una reale necessità per campare. Lo stipendio pieno è di circa 1000 euro, la cassa integrazione è circa il suo 70%» E ci sono casi in cui dello stabilimento Golden Lady siano dipendenti moglie e marito, con figli e mutuo da pagare. «La nostra voce è un grido di aiuto».
Una voce che anche giovedì 9 giugno le lavoratrici ed i lavoratori Golden Lady hanno cercato di far sentire agli amministratori regionali, nel corso dell'incontro che si è tenuto nelle stanze della Regione Abruzzo, per tentare una soluzione alla chiusura dello stabilimento. Ma a discutere con i sindacati ed i vertici aziendali non c'erano né il presidente della regione Gianni Chiodi, né l'assessore al Lavoro Paolo Gatti. Una conferma dell'immobilismo degli amministratori regionali nelle politiche del lavoro, anche in situazioni di emergenza.
Un vertice dal quale non è emerso niente di significativo. Dopo le proposte di qualche mese fa di trasformare lo stabilimento in un centro commerciale e quella di convertire la produzione al settore fotovoltaico, entrambe cadute nel vuoto, giovedì l'incontro tra azienda, amministratori regionali e sindacati si è risolto con la dichiarazione categorica di Golden Lady: chiusura a novembre. Unica concessione l'affidamento della gestione della chiusura ad una agenzia specializzata in riconversione e ricollocamento di siti produttivi dismessi. Da parte della Regione Abruzzo la volontà di riconoscere (finalmente) la Val Sinello area di crisi.
Davvero troppo poco per 382 lavoratrici e lavoratori tormentati da un pensiero costante: come fare per andare avanti.


Liberazione 16/06/2011, pag 10

La battaglia contro la precarietà si può vincere nonostante Tiraboschi

Bergamo Multiservices

Mauro Rossi
La complicata vicenda dei collaboratori della Isonzo Multiservices si è conclusa con un accordo di stabilizzazione lo scorso 23 maggio 2011. In quella data è stata finalmente raggiunta presso la sede di ConfCooperative Bergamo l'intesa tra Nidil-Cgil, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e la coop Isonzo Multiservices sulla stabilizzazione degli oltre 400 soci collaboratori a progetto impiegati nelle 14 filiali sparse nel Nord Italia.
Sin dall'autunno 2009 Nidil e Filt di Bergamo avevano chiesto per i lavoratori che svolgono mansioni di corrieri e spedizionieri per aziende del calibro di Dhl e per altri committenti secondari, la stabilizzazione e l'applicazione del Contratto nazionale della Logistica, Trasporto merci e Spedizioni. Nel corso della trattativa le richieste sono poi state condivise anche da Cisl e Uil e, a seguito della sindacalizzazione di altre unità locali nel nord Italia, negli ultimi mesi la trattativa si era spostata sul piano nazionale. Era stato anche indetto uno sciopero per il 18 maggio, successivamente sospeso in seguito alla comunicazione dell'azienda, che riapriva il confronto superando le rigide logiche degli incontri precedenti.
Nell'incontro del 23 maggio si è raggiunto un accordo che prevede la trasformazione scaglionata dei soci collaboratori a progetto in soci lavoratori subordinati con contratto a tempo indeterminato e con l'applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) "Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni".
Le unità produttive di Bergamo, Crema e Verona saranno coinvolte nella prima tranche di trasformazioni che avverrà, a seguito di un accordo territoriale che ne definirà i dettagli, tra il giugno e il dicembre 2011. Ci saranno successivamente altri 4 scaglioni semestrali per la trasformazione dei contratti nelle altre unità operative, che si concluderanno fra il luglio e il settembre 2013.
Nell'accordo si dà la possibilità, per i lavoratori giovani con età inferiore ai 29 anni, di utilizzare l'apprendistato ma tenendo conto dell'anzianità di collaborazione (che pertanto verrà considerata come parte di apprendistato già compiuto).
Ricordiamo che per i collaboratori dell'Isonzo l'Ufficio vertenze della Cgil di Bergamo aveva vinto due cause (di cui una in appello) proprio sulla contestata legittimità dei contratti di collaborazione a progetto per la mansione di corriere e sulla contestata legittimità della certIficazione di tali contratti operata dalla Commissione di certificazione dell'Università di Modena, presieduta dal noto professor Michele Tiraboschi, consulente del ministro Sacconi. Le sentenze hanno contribuito certamente e positivamente nella trattativa apertasi con l'azienda.
L'accordo firmato è un ottimo risultato per gli oltre quattrocento lavoratori con contratto a progetto che, attraverso questa progressiva stabilizzazione, escono dall'area grigia della precarietà, vedendo quindi riconosciuti, anche per loro, i diritti previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Questo accordo sconfessa l'abitudine dell'attuale governo di interpretare con "manica larga" i limiti imposti dalla legge sull'utilizzo del contratto a progetto. Inoltre, in un periodo di forti divisioni, è da sottolineare la positiva unità sindacale costruita nella vertenza. Non dimentichiamo che in Isonzo Multiservices vigeva un accordo separato sui contratti a progetto. Oggi siamo ad un accordo unitario che garantirà l'uscita dalla precarietà a oltre 400 lavoratori, oltre a costituire un precedente per tutte quelle aziende del settore spedizioni che hanno utilizzato e utilizzano lo stesso tipo di contratto.


Liberazione 16/06/2011, pag 10

Precari da cancellare

"Si scrive innovazione, si legge precarietà". E' questo lo slogan con il quale, pochi giorni fa, ci siamo presentati davanti al ministro Renato Brunetta durante il "Convegno nazionale sull'innovazione" organizzato al Macro di Roma. Abbiamo chiesto la parola; ce l'hanno concessa, ma come abbiamo cominciato a porre la questione della precarietà all'interno della pubblica amministrazione, soprattutto in quegli enti che si dovrebbero occupare di lavoro e combattere la crisi occupazionale, Brunetta ha girato i tacchi definendoci "l'Italia peggiore". Siamo gli "in-dipendenti precari per la PA", e rappresentiamo le varie figure professionali precarizzate di alcuni enti parastatali come Italia Lavoro, Formez, Sviluppo Lazio. Non ci sentiamo per niente l'"Italia peggiore", anzi. Il titolare della Funzione pubblica dovrebbe riflettere bene sulle parole che ha usato. Di fatto, siamo noi che mandiamo avanti in molti luoghi di lavoro la "macchina dello Stato". Il caso di "Italia Lavoro" è emblematico: al 31 dicembre del 2010 su circa mille addetti ben 633 sono "collaboratori". E in molti casi occupano posti di responsabilità e svolgono un lavoro di direzione e di progettazione. Spesso le nostre relazioni e le nostre ricerche vengono firmate da altri. Siamo, insomma, dei professionisti.
Quelle in cui lavoriamo sono aziende che si muovono con un compito istituzionale strategico, ma con culture organizzative e di gestione delle risorse umane assolutamente privatistiche, consentendo assunzioni senza concorso, a chiamata diretta, un largo impiego di contratti atipici, un affidamento spregiudicato di consulenze esterne con procedure poco o affatto trasparenti.
Generano precarietà, instabilità, disoccupazione, disperdendo elevate competenze e professionalità proprie di lavoratori che con passione sono fidelizzati agli obiettivi dichiarati di sostegno ai diritti di cittadinanza sociale. Si tratta per questo di mission tradite, sia nella distanza tra obiettivi dichiarati ed interventi realizzati e perseguiti, sia nella non cura del destino di chi vi lavora.
L'arrivo del Collegato lavoro ha finito per far esplodere le contraddizioni. Molti precari hanno sottoscritto la famosa lettera con la quale reclamano i diritti. E cosa è accaduto? Semplice, è passata la più odiosa delle discriminazioni: niente rinnovi a chi ha leso la "maestà" della pubblica amministrazione.
Vi ricordate dei lavoratori/trici di Italia Lavoro licenziati con rescissione unilaterale del contratto in essere tramite raccomandata a casa e senza preavviso, ormai più di due mesi fa, per aver osato tutelare i propri diritti sul posto di lavoro, nel pieno utilizzo delle norme vigenti (art. 32 della L. 183/2010, Collegato lavoro)? Protestammo platealmente davanti al ministro Maurizio Sacconi e alcuni furono reintegrati, questa volta con un sms.
La consideriamo una vittoria significativa, frutto di una mobilitazione collettiva, condivisa passo dopo passo, con la paziente volontà di ricomporre le frammentate soggettività rimaste con un colpo di spugna senza reddito, luogo di lavoro, identità professionale, e con la passione e la rabbia di chi pensa che la dignità non può essere ricomposta così con la stessa tempestività, tramite sms.
Ma non possiamo fermarci. E pensiamo di estendere la nostra lotta anche ad altre aziende.
Noi precari al servizio della PA, consapevoli della specificità di ogni nodo della rete, siamo riusciti a costituirci come corpo collettivo, rompendo l'isolamento e la frammentazione tipica della nostra condizione di ‘liquide soggettività', costruendo spazi connettivi orizzontali e luoghi fisici di incontro ed elaborazione politica che oltre alla vertenzialità delle singole lotte siano in grado di coagulare nuove soggettività, di restituire loro la parola, di confliggere e cospirare.
Una ribellione sana, il cui obiettivo è far saltare la pratica di un "servizio pubblico" che in realtà sta diventando sempre di più una "cosa loro". Gruppi di potere, consorterie, filiere politico-affaristiche prive di scrupoli, apparati di tutti i generi, spacciano per interesse della collettività ciò che è solo il loro mero obiettivo privato. E il lavoro professionale ne viene completamente investito, in un clima di forti ricatti, colpi bassi, frammentazione dei singoli lavoratori, arrivismo sociale della peggior specie. In una parola, azzeramento dei diritti.
Quello che stiamo difendendo con la nostra lotta non è soltanto il posto di lavoro ma una precisa idea di servizio pubblico in cui le risorse, le intelligenze e le professionalità vengono messe a frutto perché sia tutta la società ad avvantaggiarsene. Spesso, invece, ciò a cui siamo costretti ad assistere è un impiego molto discutibile, se non addirittura uno sperpero della ricchezza pubblica. Spesso, la nostra professionalità potrebbe apportare valore aggiunto, ma di questo non sembra importare nulla a nessuno. La politica, e certi ranghi della pubblica amministrazione, preferiscono girare la testa dall'altra parte.
Queste pratiche ormai non sono più occultabili. La sete di potere ha finito per rendere il fenomeno del precariato abnorme. Al contrario di quello che sostiene lo stesso Brunetta, nella pubblica amministrazione ci sono situazioni in cui la percentuale di "atipici" sfiora il 50% degli organici. Si è mai chiesto il ministro come è possibile che i progetti vengano comunque portati in porto in una situazione così poco equilibrata. La risposta è perché noi siamo la parte "migliore dell'Italia".


Liberazione 16/06/2011, pag 9

Dal 9 aprile agli Stati Generali della precarietà

http://noprecari.wordpress.com/

«Non c’è più tempo per l’attesa». Per questo un’intera generazione, quella “precaria”, ha deciso di «prendersi spazi e alzare la voce»: il 9 aprile in oltre trenta piazze in tutta Italia c’è stata la prima, grande giornata di mobilitazione nazionale che vedrà manifestare chi ha lavori precari o sottopagati, chi non riesce a pagare l’affitto, chi chiede un mutuo e non glielo danno, chi non trova lavoro e chi passa da uno stage all’altro. Questo è il “vostro” spazio aperto da Liberazione.

www.liberazione.it

Spettacolo Riparte da Roma la protesta contro i tagli. Teatro Valle occupato dai precari

Teatro Valle occupato ieri dai precari dello spettacolo. Il "collettino "lavoratrici e lavoratori dello spettacolo autorganizzati", protagonista dell'iniziativa ha dichiarato di voler rimanere almeno tre giorni. "Come l'acqua, l'aria ora la cultura", e "Riprendiamoci il Valle", sono gli slogan degli striscioni installati all'interno. La protesta è contro i tagli alla cultura e contro le mancate risposte del Governo. Con questa azione, gli occupanti lanciano un appello a tutti i cittadini, agli artisti e a tutti i singoli lavoratori per un impegno comune sul futuro del Valle e dell'arte in Italia. L'appello è stato già firmato da cento intellettuali e artisti, da Andrea Camilleri a Toni Servillo, Ascanio Celestini, Fausto Paravidino, Emma Dante, Filippo Timi, Valerio Mastandrea, Anna Bonaiuto.


15/06/2011, pag 4

Contratti la Uil disdetta il protocollo del ’93. Adesso strada spianata per la rappresentanza

L'avevano annunciato, e l'hanno fatto. La Uil ha disdettato la concertazione, alias "protocollo del '93". Con una lettera al Governo, al ministero del Lavoro e alle parti sociali, il segretario generale Luigi Angeletti ha formalizzato la fine «di ogni possibile equivoco» tra il vecchio modello e il nuovo, nato dall'accordo separato del gennaio 2009.
L'atto serve a dare una spinta alla nuova fase, caratterizzata dalla ricerca di un accordo sulla rapprsentanza. Su questo tema ci sarà un incontro la la fine di questa settimana e l'inizio della prossima. A fare da "coordinatore" è la presidente di Confindustria Emma Marcegalia, intenzionata a far rientrare la Cgil nel giro del confronto sul nuovo patto sociale. E a sua volta impegnata nel tentativo di tenere dentro l'associazione la Fiat. Il punto sul quale continuano ad insistere gli imprenditori è quello della esigibilità, ovvero del divieto di sciopero. Una volta firmato il contratto non può più essere messo in discussione da una protesta sindacale. E chi lo fa, come ha fatto scrivere Sergio Marchionne in "Fabbrica Italia", è passibile di licenziamento.
Il ministro Maurizio Sacconi, intanto, è pronto ad inserire l'altro pezzo del progetto, la fine del contratto nazionale; «dando agli accordi aziendali il potere di regolare tutti gli aspetti che riguardano l'organizzazione del lavoro».
Tanta fretta si giustifica in relazione al fatto che il 18 giugno inizia a Torino il procedimento contro la Fiat intentato dalla Fiom per comportamento antisindacale. Sacconi ha già dichiarato che in caso di sentenza negativa è pronto ad intervenire con una legge.


14/06/2011, pag 5

Sacconi distingue tra lavoratori di serie A e di serie B. Contratti, in arrivo una legge reazionaria

«Un lavoratore iscritto al sindacato e uno che non è iscritto non sono uguali». Di chi sono queste parole? Di un ministro della Repubblica, che risponde al nome di Maurizio Sacconi. L'illuminato ex-socialista non discute di tessere ma di legge sulla rappresentanza. Il suo obiettivo è chiaro: bypassare il referendum sui contratti. E così dopo la "fascistissima" legge a suggello dei contratti aziendali che ne garantirebbe, come la chiama lui, la cosiddetta "sovraordinazione" ecco arrivare un'altra chicca: la distinzione tra lavoratori iscritti e non iscritti. «Hanno lo stesso diritto a relazionarsi con la controparte le organizzazioni che firmano e quelle che non firmano un accordo?», aggiunge Sacconi intervenendo alla Festa Nazionale della Cisl a Levico Terme in provincia di Trento. Evidetemente sta preparando una legge basata sul principio del "potere del ceto sindacale". «Il metodo associativo è superiore al metodo elettivo - aggiunge - veniamo da una cultura comunitaria, c'è prima la società e poi lo Stato», ha concluso il ministro strappando l'applauso della platea. Intanto, Emma Marcegaglia, sempre più stretta tra Fiat e Confindustria, cerca di salavarsi in corner: «Una legge solo nel caso in cui non si riesca a fare un accordo interconfederale con tutte le parti», così risponde all'ipotesi avanzata dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, su un eventuale intervento legislativo in caso non si raggiunga un accordo tra le parti sull'esigibilità dei contratti.


Liberazione 12/06/2011, pag 5

«Siamo alla fine del contratto nazionale e della democrazia»

Gianni Rinaldini «La Cgil non può votare quell'avviso comune»

Fabio Sebastiani
Stando a quanto scrivono i giornali siamo vicini a una nuova svolta nell'attacco al contratto nazionale.
Siamo all'accelerazione. Le parti sindacali saranno convocate a metà della prossima settimana per definire, o con un accordo tra le parti o con un avviso comune, le questioni relative alla rappresentanza e all'erga omnes dei contratti e le relative forme di validazione.
Vogliono implementare l'accordo separato del 2009 soprattutto per quel che riguarda le deroghe. Faccio presente che nell'accordo separato dei metalmeccanici le deroghe sono previste su tutte le materie. L'obiettivo è quello di arrivare alla possibilità di sostituire il contratto nazionale con i contratti aziendali. Che è in sostanza quello che chiede la Fiat, ma che in realtà è scritto nella relazione della Marcegaglia all'assemblea della Confindustria. Evidentemente, la Fiat ha chiesto tempi più rapidi, preoccupata da quello che può essere l'esito della denuncia presentata dalla Fiom.

Addio al contratto nazionale, quindi, attraverso l'estensione del modello Fiat.
Siamo di fronte a una operazione che chiude la partita sulla validazione degli accordi ricalcando il modello di relazioni sociali e sindacali degli Stati Uniti. Ovvero, non c'è più il contratto nazionale. L'azienda decide su cosa gli conviene fare e sulle forme di validazione. Una operazione non solo antidemocratica ma di salvaguardia delle burocrazie sindacali e padronali. E' ridicolo oggi pensare che, con tutto quello che sta succedendo non solo in Italia ma nel mondo, i lavoratori e le lavoratrici non abbiano il diritto di votare su quel che li riguarda. Alla faccia di quelli che parlano di innovazione e di cambiamento, secondo i quali a Cgil e la Fiom, sarebbero un elemento di conservazione. E' vero l'opposto, perché gli imprenditori hanno in mente solo i loro interessi.
Credo che qualsiasi ipotesi che non preveda il riconoscimento del contratto nazionale, l'erga omnes e il voto dei lavoratori e delle lavoratrici è non solo inaccettabile ma rappresenta una aggressione alla democrazia nei luoghi di lavoro.

Non mi sembra che il Comitato direttivo nazionale abbia dato un mandato a firmare un impianto del genere.
La Cgil non ha alcun mandato per firmare un accordo del genere, perché abbiamo deciso altre cose, che prevedono la certificazione e/o referendaria del voto dei lavoratori. E la certificazione non può che essere il referendum. Di fronte al precipitare della situazione gli organismi direttivi dovranno essere inevitabilmente convocati. Del resto, credo che non sfugga a nessuno che questo governo sia stato sostenuto da Cisl e Uil. Un quadro nettamente diverso da quello del '94 quando l'opposizione sociale creò le premesse per la caduta dell'esecutivo. Siamo l'unico paese europeo dove non c'è stata nessuna iniziativa di opposizione. C'è una specificità in Italia che riguarda l'atteggiamento di Cisl e Uil.

Quindi, firmando l'accordo il governo riprenderebbe fiato.
Se è un accordo come quello che si preannuncia non c'è dubbio che il governo riprenderebbe fiato. Sarebbe paradossale che la Cgil arrivasse a condividere una ipotesi di quella natura dove c'è lo zampino della Fiat, e che prevede di far fuori la Cgil. Credo che la Cgil non la firmi.

Nessuno ne parla, ma il congresso della Cgil si chiuse con un documento in cui si parlava di aumento del salario.
Non si discute solo sulla Fiat ma si arriva al sistema complessivo che riguada tutti i lavoratori. Il quadro cambia completamente, e quindi anche la parte sul salario.
La prima questione che avrà di fronte la Cgil è quali iniziative produrre. Anche perché si parla di mettere in campo una legge. Saremmo di fronte alla crisi dello spirito stesso della Costituzione.

Se si andasse ad una nuova rottura sindacale il centrosinistra sarebbe in difficoltà...
Anche a livello politico la questione della democrazia è un elemento di discrimine. Lo dico anche rispetto ai partiti. Primarie e non primarie eccetera, alla fine gli unici che non possono votare sono i lavoratori sul loro contratto. Vale più di cento documenti questo elemento nel rapporto con i lavoratori. E questo la dice lunga su quale modello si sta pensando rispetto al lavoro. Rimane un punto centrale, l'idea di uscire dalla crisi rilanciando lo stesso modello sociale che ha portato alla crisi, quello degli Usa, la demolizione dei diritti e delle tutele fino al superamento del contratto nazionale lungo un percorso dove la cosiddetta modernità vuole dire che la competitivtià di una azienda è rispetto ad un unico valore assoluto, il mercato.


Liberazione 11/06/2011, pag 5

Fincantieri, Napolitano pranza con gli operai: «Patrimonio da non disperdere»

Insolito invito a pranzo per una delegazione dei lavoratori Fincantieri dei tre stabilimenti liguri. Gli operai, a Porto Venere per consegnare una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che era lì per pertecipare alla festa per i 150 anni della Marina militare, sono stati invitati dal Capo dello Stato a unirsi a lui per il pranzo. Fincantieri? «E' un patrimonio da non disperdere». Solo una battuta alle tv locali con cui il presidente risponde ai cronisti che gli rivolgono una domanda sul futuro dell'azienda. Il Capo dello Stato, poi, nel pomeriggio ha fatto visita ai cantieri della Oto Melara, fabbrica di armi, del gruppo Finmeccanica alle porte di La Spezia.


Liberazione 11/06/2011, pag 5

Candy, una delocalizzazione che non ha né capo e né coda

Lecco tra diretti e indotto a rischio 400 posti di lavoro

Matteo Gaddi
E' la volta delle lavastoviglie Candy, prodotte a Santa Maria Hoè, in provincia di Lecco.
L'azienda annuncia la decisione di delocalizzare la produzione in Cina: 204 dipendenti diretti (tra i quali 26 coppie sposate) e almeno altrettanti nell'indotto sono a rischio.
In questo caso, la proprietà comunica unilateralmente l'intenzione di chiudere lo stabilimento lecchese Bessel, che produce lavastoviglie per la Candy, spostandone la produzione in Cina, dove gli stipendi più bassi e le condizioni di fornitura consentirebbero di risparmiare 19 euro a pezzo.
Una impostazione irricevibile per i lavoratori e per i sindacati che immediatamente organizzano una risposta all'altezza della sfida: assemblee, sciopero, presidio continuo ai cancelli dello stabilimento.
Ma soprattutto dimostrano una straordinaria capacità di mobilitare il territorio a difesa dei posti di lavoro: un documento sottoscritto dai sindaci della zona chiede esplicitamente all'impresa di assumersi le proprie responsabilità e, in subordine, chiama in causa gli imprenditori brianzoli affinché valutino l'ipotesi di acquisire lo stabilimento per mantenere l'occupazione.
Le intenzioni della Candy verranno misurate nel corso di più incontri che le organizzazioni sindacali, forti della risposta dei lavoratori e del territorio, sono riuscite a metter in piedi: Regione Lombardia, Governo, istituzioni locali ne discuteranno in questi giorni per definire interventi concreti in grado di scongiurare una chiusura che si rivelerebbe drammatica, sia per il territorio sia per i destini più generali del settore dell'elettrodomestico.
In gioco, infatti, ci sono i destini di un intero settore industriale.
Indesit, Electrolux, Merloni: sono i nomi delle principali imprese che in Italia negli ultimi anni hanno realizzato pesantissimi interventi di ristrutturazione e ridimensionamento occupazionale.
La crisi Candy rischia di dare un ulteriore colpo all'industria dell'elettrodomestico. "Vogliamo sentire proprio questo dal Governo: vogliamo sapere cosa intende fare per mantenere e qualificare questo settore in Italia o, al contrario, se pensa che l'elettrodomestico debba essere prodotto solo all'estero, nei Paesi a basso costo del lavoro", spiega Diego Riva della Fiom di Lecco. Che prosegue: "per difendere questo stabilimento siamo disposti a discutere nel merito di un progetto industriale, ci dicano quali sono le condizioni: ne discuteremo per arrivare a formulare anche proposte su energia, ricerca, nuovi prodotti".
Quello che non è accettabile è impostare una discussione che abbia al centro esclusivamente il tema dei costi, rispetto ai quali, a causa dei differenziali salariali e normativi esistenti, l'Italia non può che uscire perdente dal confronto con Paesi come Cina, Turchia, India, Est Europeo.
Candy dispone già di stabilimenti in Spagna, Francia, Repubblica Ceca, Russia, Turchia e Cina: "messi sempre in concorrenza tra loro dal punto di vista della produttività - spiegano i lavoratori in presidio - con la promessa che i migliori siti sarebbero stati mantenuti. ".
La stessa concorrenza che la Candy gioca anche all'interno dei Paesi: nel caso dell'Italia tra lo stabilimento di Santa Maria e quello di Brugherio, sempre in Brianza. Per quest'ultimo stabilimento, qualora la vertenza in corso non venisse affrontata a livello di Gruppo, gli stessi rischi di chiusura sono destinati a riproporsi in tempi brevi.
Una degli aspetti più rilevanti da sottolineare è che la Candy non ha un Bilancio in rosso; nonostante la crisi degli ultimi anni ha chiuso in sostanziale pareggio: "se ne va in Cina non per fermare presunte perdite di bilancio, ma per guadagnare ancora di più".
Con la delocalizzazione della Candy verrebbe meno l'ennesimo prodotto che si fa vanto del marchio di "Made in Italy" come ricordano in maniera pungente gli striscioni al presidio: un "Made in China" che cancellerebbe decenni di esperienza, professionalità, impegno del territorio e delle istituzioni a sostegno di queste produzioni.
Non va dimenticato, infatti, che anche questa fabbrica è stata attivamente sostenuta, non da ultimo, dai decreti Tremonti sugli eco-incentivi per la rottamazione degli elettrodomestici.
Come nel caso delle moto Yamaha, quindi, anche le vendite di elettrodomestici sono state spinte dagli eco-bonus e, ancora una volta, dopo aver ottenuto risultati vantaggiosi, le multinazionali non si fanno problemi ad abbandonare il Paese.
In assenza di una legge contro le delocalizzazioni, dovremo convivere a lungo con questo drammatico problema.


Liberazione 09/06/2011, pag 6

Fiom, estate in festa per i 110 anni pensando all'autunno caldo

Tute blu Lunga serie di incontri e dibattiti tra Milano, Bologna, Siracusa e Torino

Fabio Sebastiani
La Fiom compie 110 anni. Magari a qualcuno saranno sfuggiti anche i "cento", ma certo che questo traguardo "rosso vivo" è tutto da festeggiare: per tutta l'estate, dal 16 giugno a metà settembre.
Misura dell'antico e rincorsa del moderno con la piazza virtuale di dialogo, un socialnetwork tematico per «parlare di lavoro e lavoratori». Sarà una sorta di facebook per le tute blu, che si chiamerà "FiomNetWork". Non si fanno mancare niente le tute blu della Cgil. Tra le altre iniziative, anche la prima serata pubblica di Michele Santoro, "orfano" della Rai e un dibattito che vede riuniti, per la prima volta da anni, i leader di sinistra e centro sinistra (Fds, Idv, Sel, Pd) insieme al segretario generale della Fiom, Maurizio Landini.
"La Fiom in festa", questo il titolo dell'iniziativa, si compone di una serie di incontri a Bologna (16-19 giugno) e a Milano (24-26 giugno). Poi ancora, a Siracusa (2 luglio) a Pomigliano (16 e 17 settembre), a Padova (dal 16 al 18 settembre) e a Torino. L'idea di un social network dedicato nasce dall'esigenza «di maggior confronto, di discussione, circolazione delle informazioni, di fare qualcosa di più rispetto al solo sito internet perchè possa anche essere un elemento di dialogo», dice Landini. Sarà un luogo di incontro virtuale dove «si parla di lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori, dei loro diritti dentro e fuori la fabbrica, della democrazia nei luoghi di lavoro, del contratto nazionale e della contrattazione aziendale».
Michele Santoro star d'eccezione per una serata che affronti il problema del lavoro e dei diritti (17 giugno, villa Angeletti). La serata curata da Santoro «sarà coordinata da Serena Dandini e Vauro», racconta il leader della Fiom Landini, che ha presentato ieri la festa nel corso di una conferenza stampa, e tra gli ospiti «ci saranno Marco Travaglio ed il procuratore antimafia di Palermo Antonio Ingroia, oltre a diversi esponenti del mondo dello spettacolo e della cultura. Vuole essere - aggiunge Landini - una serata che abbia una sua forza significativa. Lo spirito dell'incontro, come per tutti gli eventi organizzati dell'ambito della Festa della Fiom è quello di «sviluppare i temi che nell'ultimo anno sono stati al centro della discussione», come quelli «dell'attacco ai diritti, alla democrazia, al contratto , ed all'esistenza stessa del sindacato» denunciati dalla Fiom e di attualità «nell'ultimo anno a partire dal caso degli accordi separati con Fiat».
L'attualità non manca. A cominciare dal vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei "per cui un'impresa deve poter scegliere tra contratto nazionale e aziendale". Per Landini rappresentano «un attacco all'idea stessa del contratto e delle relazioni sindacali che non ha precedenti». «Mi sembra singolare - aggiunge il leader della Fiom - che Confindustria sostenga le azioni della Fiat perchè siamo in presenza di una azienda che non solo esce da Confindustria ma non vuole applicare i contratti e le leggi». E al segretario della Uil, Luigi Angeletti, che dalle colonne del "Sole 24 ore" ha annunciato la disdetta dell'accordo del '93, la Fiom risponde: «Disdire l'accordo del '93 equivarrebbe a cancellare le rsu e tornare alle rsa. La differenza è sostanziale; significherebbe avallare quanto accaduto in Fiat e cancellare la massima espressione della appresentanza». «Le rsa sono nominate e non votate dai lavoratori. Cancellare le rsu significherebbe dunque avallare quanto accaduto in Fiat. Ed è grave», aggiunge.
La Fiom non intende mollare, quindi. Ed anzi, già che c'è si dichiara anche pronta a riaprire il dossier Termini Imerese. «Vogliamo risposte», dichiara Landini. I cosiddetti "impieghi alternativi" di Sicilfiat stanno via via spegnendosi. A tutt'oggi delle sette proposte presentate ancora non si vede nulla di concreto. C'è una richiesta unitaria di incontro che giace al ministero dello Sviluppo economico da 20 giorni «ed alla quale non c'è stata ancora alcuna risposta». Per Landini «non è possibile aspettare settembre, ottobre, novembre, per vedere cosa accadrà a dicembre», scadenza per la quale «è prevista la chiusura di Termini Imerese con tre mila lavoratori tra diretti e indotto».


Liberazione 08/06/2011, pag 5

L'illegittimo impedimento di Marchionne

Giorgio Cremaschi
Così, dopo le leggi personali a favore Berlusconi, su una delle quali votiamo domenica, avremo anche le leggi aziendali. Quello che si sta preparando a sostegno della Fiat di Sergio Marchionne è una legge tesa ad evitare che la magistratura condanni la Fiat. L'amministratore delegato della Fiat è persino più bravo di Silvio Berlusconi nel vendere fumo e nel rispondere con accuse di lesa maestà a chiunque gli chieda notizie un pò più precise sui suoi reali progetti. Nello stesso tempo sta maturando gli stessi sentimenti del presidente del consiglio verso i giudici. Il 18 giugno a Torino si apre il processo relativo alla denuncia della Fiom sulle Newco di Pomigliano, Mirafiori e Bertone. Esse sono assolutamente illegittime ed estranee a qualsiasi regola italiana ed europea. Se il tribunale dovesse - come prevedono tanti esperti - condannare la Fiat, tutto il castello dei suoi accordi separati crollerebbe. Cisl, Uil e Ugl, sollecitate dall'azienda, si sono subito presentate in tribunale contro la Fiom. Ma evidentemente a Marchionne questo sollecito servilismo non basta. Egli sa che l'accordo è a rischio e per questo ha chiesto alla Confindustria, al governo, ai sindacati complici una legge che lo metta al riparo dai giudici. Abbiamo appreso da varie interviste e dichiarazioni di questi giorni, che tutti i chiamati all'ordine, da Bombassei a Sacconi, da Bonanni ad Angeletti, hanno sollecitamente sbattuto i tacchi. Così si prepara un "avviso comune" nel quale tutti i firmatari degli accordi illegittimi in Fiat chiedono al governo di renderli legali per legge. Si apre così l'inaudita possibilità che il contratto nazionale venga abolito per legge dal governo Berlusconi, con il consenso di Cisl e Uil. Quanto sta avvenendo attorno alla Fiat è la dimostrazione che per rovesciare davvero Berlusconi e il suo potere bisogna anche travolgere il modello sociale e politico liberista e corporativo che l'ha sinora sostenuto. In questi stessi giorni i dati sugli infortuni mortali sul lavoro ci dicono che, contrariamente agli annunci del governo e dell'Inail, i morti sono aumenti quest'anno del 20 per cento. L'orario di lavoro in Italia è, secondo un istituto internazionale, tra i più alti al mondo, ben trecento ore in più all'anno della Germania. Eppure la Confindustria, il governo, Cisl e Uil parlano solo di produttività del lavoro e pensano di ottenerne ancora di più scardinando il contratto nazionale.
Mentre nel nostro Paese incombono i tagli drammatici alla spesa sociale che Tremonti ha concordato in Europa, per certi palazzi politici, sindacali e padronali il voto amministrativo, la mobilitazione dei cittadini, i referendum, sono tutti eventi di cui non si deve in alcun modo tener conto. Continuano tutti a vivere attorno ad Arcore. Il 13 giugno voteremo per l'acqua pubblica e contro il nucleare. E per abolire il legittimo impedimento che tiene Berlusconi lontano dai giudici. Ma a questo punto saremo chiamati ad esprimerci anche contro chi, dopo le leggi ad personam, vuole quelle ad aziendam. La liberazione dal berlusconismo e dal sistema di potere che sinora l'ha sostenuto, è solo cominciata. I Sì al referendum sono ancor più necessari oggi anche per questa ragione. Perché si vuole ancora far pagare tutti i costi della crisi al mondo del lavoro. E perché si vuole ottenere l'impunità per legge dalle violazioni dei diritti. Si usa il potere pubblico per difendere i propri affari privati. Per questo il Sì domenica vale ancora di più.


Liberazione 08/06/2011, pag 1 e 5

Auchan a Roma la protesta della Cub contro il lavoro domenicale. «Condizioni di lavoro peggiori»

«No al lavoro domenicale e alla drastica riduzione dell'indennità di malattia, sì al rispetto e alla tutela dei diritti dei lavoratori del commercio». Con questo slogan diversi dipendenti dell'ipermercato Auchan di Casalbertone hanno scioperato ieri davanti al centro commerciale. «Il nuovo Ccnl del commercio, firmato dai soliti sindacati concertativi Cisl e Uil e appoggiato dal silenzio della Cgil, di fatto peggiora in maniera drastica le già difficili condizioni dei lavoratori del settore - dichiara il segretario provinciale della Flaica Cub, Giancarlo Desiderati - È diventato obbligatorio per tutti il lavoro domenicale e il pagamento dell'indennità in caso di malattia è stato ridotto al lumicino».


Liberazione 05/06/2011, pag 3

«Se non ci sono stati incidenti è stato solo grazie alla calma degli operai»

L’odissea delle tute blu in una città superblindata che li ha respinti

«Se abbiamo ottenuto questo risultato è stato grazie a voi». Maurizio Landini parla nel piazzale della stazione Ostiense. Sono le due del pomeriggio. Arriva direttamente dalla trattativa al ministero dello Sviluppo dove poco prima Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, ha ritirato il taglio di 2.500 posti di lavoro. Davanti a lui, mille e cinquecento metalmeccanici di Sestri Ponente e Riva Trigoso. Schierati, con in mano le bandiere della Fiom e l'immancabile striscione dei rappresentanti sindacali, non si perdono una parola, pronti a zittire qualsiasi voce sopra le righe. Il "risultato", e i ringraziamenti, se li prendono tutti. Stavolta se le cose sono andate liscie lo si deve a loro, al loro self control.
Ce l'hanno messa tutta per fargli perdere la pazienza, a cominciare dal questore che li ha bloccati sotto un sole cocente tra il Circo Massimo e il Colosseo circondati da due densi cordoni di carabinieri e guardia di finanza in assetto antisommossa.
Senza contare, poi, l'improvviso cambio di percorso del corteo (originariamente doveva essere da Termini a via Veneto, sede centrale del minitero dello Sviluppo), lo spostamento del tavolo di confronto nella sede periferica dell'Eur, "per motivi di ordine pubblico", la separazione dai "cugini" di Castellammare di Stabia, vittime, a loro volta, della deviazione dell'arrivo da Termini ad Ostiense. Qui sono stati ricevuti con i lacrimogeni già innestati.
E' stata questa l'accoglienza della Roma "politica", intenta a leccarsi le ferite della batosta elettorale "Milano-Napoli", alle tute blu venute a difendere il loro posto di lavoro. Una accoglienza caratterizzata anche dal "chiassoso silenzio" della Cgil, che a Roma ha una segreteria e un comitato direttivo. Da che cosa si sono fatti distrarre?
Ma loro, le tute blu, reduci da quasi dieci giorni di mobilitazioni tra Castellammare e Genova, Marghera e Monfalcone, non si sono persi d'animo. «Fincantieri non si tocca, la difenderemo con la lotta», hanno urlato per tutto il corteo. Qui e là, tra i mille cartelli che ripercorrono la lunga storia della cantieristica italiana di Riva Trigoso e di Sestri, ognuno con la data di "battesimo" di una nave differente, anche quelli più ironici dal tono: «Bono, non ce l'ho con te, ma con tua madre», rivolto all'Ad di Fincantieri.
Davanti al Colosseo la tensione sembra non sciogliersi mai. Le tute blu si sentono prese in giro. E all'indirizzo delle forze dell'ordine non mancano gli slogan al grido di "servi dei servi". Qualcuno cerca anche di convincere i militari che per la magra busta paga di 1.200 non gli conviene sporcarsi le mani con i "fratelli" lavoratori.
La notizia del ritiro del piano "lacrime e sangue" arriva al momento giusto. Si torna indietro per lo stesso percorso fatto all'andata.
«Il loro comportamento è stato irreprensibile - commenta Alessandro Pagano, che per la Fiom sta seguendo la cantieristica -. In una situazione di inutile tensione».
«Lo stralcio della proposta di Bono - dirà il segretario del Prc Paolo Ferrero - è la vittoria degli operai di Fincantieri che per mesi hanno presidiato i canteri chiedendo il pieno rilancio del comparto navale in Italia».
Fa. Seba.


Liberazione 04/06/2011, pag 2

Fincantieri ritira i tagli Ora la parola alle regioni

Dal governo nulla sul piano industriale. Si tornerà a discutere a Roma

Fabio Sebastiani
La Fincantieri ritira il piano "lacrime e sangue" lasciando che siano i tavoli regionali a proseguire il confronto. Poi, alla fine del giro, si tornerà a discutere con il Governo. Il risultato politico della mobilitazione di Fiom, Fim e Uilm, c'è tutto. E di fronte a Fabrizio Cicchitto, che "pretende" spiegazioni dall'Ad Giuseppe Bono, i lavoratori sbandierano l'azzeramento dei tagli di 2.500 posti di lavoro.
Il tentativo dell'esecutivo è chiaro: "delegare" alle amminsitrazioni locali la formulazione e l'applicazione degli accordi di programma. Politica industriale? Per ora non se ne parla proprio. La confusione del dopo elezioni nell'esecutivo ha avuto un certo peso. Così come la mancanza di una direzione chiara e l'applicazione della solita ricetta del "lasciar fare".
Eloquenti, a questo proposito, le parole dell'amminsitratore delegato Giuseppe Bono.
«Io sono una persona che si assume le sue responsabilità - ha detto -, ma con gli attacchi subiti da tutte le parti, da destra e sinistra, anche la mia forza viene meno. Ritiro il piano e spero che così si possano stemperare le tensioni sociali ed esorcizzare la crisi mondiale». «Auspichiamo - conclude sarcasticamente l'ad di Fincantieri - che da domani possano arrivare navi in quantità». «Il governo ha preso atto e apprezzato la decisione» di Fincantieri, ha commentato il ministro Paolo Romani, annunciando che già dalla prossima settimana partiranno specifici tavoli di confronto con le Regioni interessate (Liguria e Campania) per la definizione di adeguate soluzioni industriali. È stato inoltre deciso che presso il ministero del Lavoro apre un tavolo per la definizione delle necessarie proroghe degli ammortizzatori sociali, cantiere per cantiere. Romani ha infine ricordato la collaborazione dell'Ue per il rilancio del settore. Ma per il momento non c'è nulla di significativo.
Siamo lontani da quel rilancio del comparto che avrebbe bisogno di risorse infrastrutturali e investimenti. Per Pietrangelo Pettenò, della Federazione della sinistra del Veneto, il rilancio della cantieristica potrà venire solo investendo sulle cosiddette «autostrade del mare». «L'Italia ha due naturali «autostrade del mare», il Tirreno e l'Adriatico - spiega - che potrebbero risolvere tanti problemi che affligono il nostro Paese come il traffico e l'inquinamento. Auspichiamo che il Presidente Zaia e la Giunta smettano di occuparsi solo di strade, cemento e asfalto e rilancino i progetti di «autostrade del mare», sinora rimaste confinate nei cassetti della Regione e nei «libri dei sogni».
Cautamente soddisfatti i sindacati. «Ora bisogna lavorare per dare una prospettiva vera a quello che è stato concordato», chiede il leader della Fiom Maurizio Landini. Il ritiro del piano deciso oggi è «un atto importante, ma il problema adesso è di non abbassare l'attenzione», aggiunge Rocco Palombella (Uilm). La Cisl parla di «passo avanti importante», ma è sempre pronta, ad avanzare lo scambio tra occupazione e diritti, così come è avvenuto per la Fiat. Per l'Ugl da qui si deve «partire per parlare del futuro del Gruppo e della navalmeccanica». Soddisfatti anche i Governatori della Liguria Burlando e della Campania Caldoro.
Per il segretario del Prc Paolo Ferrero, il ritiro del Piano di ristrutturazione di Fincantieri «è un primo passo nella risoluzione della crisi della cantieristica italiana». «È una sconfitta per gli uomini di Confindustria e delle ricette iper-liberiste a base di casse integrazioni, tagli al personale e dismissioni degli impianti - aggiunge -. Adesso - conclude - è necessario che tutti gli attori istituzionali, governo compreso, redigano ad un piano industriale credibile per il rilancio dell'intero settore industriale».


Liberazione 04/06/2011, pag 2

La lezione di Fincantieri

Roberta Fantozzi
Hanno dovuto superare mille ostacoli i lavoratori di Fincantieri. L'ultimo è stato quello di non rispondere alla provocazione della gestione della piazza ieri a Roma. Spostata dal governo la sede dell'incontro per impedire evidentemente che il "fastidioso rumore" della denuncia e della lotta operaia occupasse il centro della città, mentre i lavoratori di Castellammare presidiavano l'Eur, per quelli venuti in massa soprattutto dalla Liguria, la giornata di ieri è stata una specie di Odissea tra vie blindate da uno spiegamento grottesco di forze dell'ordine, mai così tante per una manifestazione di lavoratori.
E' in questo clima, specchio insieme della debolezza e della pericolosità del governo Berlusconi, che è arrivata la notizia del ritiro del piano di Fincantieri. Una vittoria della lotta e dell'unità operaia, di una mobilitazione che ha attraversato tutti gli stabilimenti e i territori, sottraendosi alla logica di chi, come la Lega, ha lavorato sulla difesa di un sito produttivo contro l'altro, riproponendo la consueta divisione e messa in competizione dei lavoratori e dei territori. Una vittoria conquistata anche attraverso la mobilitazione dei diversi livelli istituzionali locali e di interi settori sociali, a fianco dei lavoratori.
Il passo indietro di Fincantieri è la presa d'atto dell'insostenibilità della situazione che si sarebbe venuta a creare in assenza di risposte positive. Il campo è dunque sgombro da quel piano irricevibile che con la riduzione di quasi un terzo dei lavoratori diretti, la chiusura di due stabilimenti e il drastico ridimensionamento di un terzo, prefigurava in realtà lo smantellamento dell'intero comparto della cantieristica navale nel nostro paese. Un piano che, per altro verso, annunciava interventi pesantemente peggiorativi sulle condizioni di lavoro e i diritti sindacali, in un settore in cui esternalizzazioni, appalti e sub-appalti, mettono già oggi in discussione la sicurezza e la salute dei lavoratori. Il campo è sgombro e la lotta paga. Ma sulla vicenda di Fincantieri quello che si è compiuto oggi non è che un primo passo. E si tratta ora non solo di tenere alta l'attenzione, ma di costruire un vero e proprio cambio di rotta.
Fincantieri può e deve essere il terreno su cui far ripartire una proposta di politica industriale che difenda l'occupazione, le competenze e le capacità produttive degli stabilimenti per produrre beni e servizi socialmente utili.
L'assenza totale del governo Berlusconi e di Confindustria sul terreno delle politiche industriali, altra faccia della medaglia di un modello produttivo e sociale tutto giocato sull'azzeramento dei diritti del lavoro, va rovesciata nella capacità di rimettere a tema il "cosa, come, per chi produrre", e quale tipo di intervento pubblico mettere dunque in campo, a partire da un'azienda che è una delle poche ancora in mano pubblica. E' una discussione non banalizzabile in poche righe e a cui è necessario rispondere con specifici momenti di discussione, ma certo appare del tutto condivisibile il ragionamento avanzato da Guido Viale qualche giorno fa. Il nostro paese che dispone, per "natura" di due straordinarie autostrade del mare, è invece uno dei paesi caratterizzati da una pesantissima distorsione, con il 65% del trasporto merci su gomma.
E' un modello di trasporto che produce costi sociali elevatissimi e che impatta pesantemente sull'ambiente sia in termini di consumo di energia che di emissioni di gas serra. La riconversione del nostro sistema di trasporti, la capacità di mettere in campo un piano socialmente e ambientalmente sostenibile per la mobilità delle persone e delle merci, è un obiettivo di straordinaria portata. Che potrebbe dare lavoro per molto tempo alla cantieristica navale, evitando di continuare a dilapidare risorse pubbliche in progetti sbagliati e dannosi come la Torino-Lione o il Ponte sullo stretto, con il loro costo di quasi 20 miliardi a carico dello Stato.
Saremo con i lavoratori di Fincantieri con il realismo necessario a dare risposta prima di tutto alla salvaguardia dell'occupazione, ma anche con la consapevolezza che oggi più che mai è necessario mettere in campo progetti di lungo respiro, un nuovo intervento pubblico per difendere insieme lavoro, produzioni, ambiente.


Liberazione 04/06/2011, pag 1 e 2

Roma, la protesta non si oscura. Tocca alle tute blu Fincantieri

Oggi il corteo nella capitale contro il piano di tagli di 2.500 posti di lavoro

Fabio Sebastiani
Più di mille lavoratori dalla Liguria; almeno 500 da Castellammare di Stabia; e poi decine di delegazioni dagli altri siti Fincantieri. Saranno più di duemila tute blu domani, tra stazione Termini e via Molise, sede del ministero dello Sviluppo, a gridare la loro protesta contro il piano di espulsioni firmato da Bono & Co. Tra loro anche molti dipendenti delle ditte di subappalto, amministratori locali e sindacalisti. Gran parte della mobilitazione a Roma è stata finanziata grazie alla sottoscrizione che i lavoratori sono andati raccogliendo in questi giorni. E' più di una settimana che sono in strada, impegnati in mobilitazioni di tutti i tipi, dai blocchi stradali al presidio dei comuni, dai cortei ai sit davanti ai siti produttivi. Eppure l'energia non è diminuita. E' questo che avrà consigliato il Governo a spostare la sede del tavolo di confronto dalla sede centrale del ministero in una delle tante sedi all'Eur? Le tute blu fanno paura.
Una «provocazione», l'ha definita Bruno Manganaro della Fiom Cgil di Genova «perché‚ c'è un merito dell'incontro, ma c'è anche un merito del diritto a manifestare». L'incontro si svolgerà alle ore 12, in viale Boston 25, mentre i privi arrivi dei due treni speciali dal Nord e dal Sud, saranno tra le nove e le dieci. «I lavoratori percepiranno questa scelta - prosegue Manganaro - come un volere oscurare e ghettizzare la loro manifestazione, il governo si assume una responsabilità enorme con questa scelta». «Questa decisione - ha commentato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella - sicuramente non agevola la trattativa. Ci rendiamo conto che ci sono esigenze di ordine pubblico, ma le manifestazione dei metalmeccanici non hanno mai creato difficoltà». È una scelta «inopportuna che rischia di esasperare ulteriormente gli animi dei lavoratori Fincantieri e di inasprire l'impatto mediatico e sociale di questa già difficile vertenza», gli ha fatto eco Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl.
Secondo Sergio Olivieri, segretario della federazione ligure di Rifondazione Comunista - Federazione della sinistra, infine, lo spostamento è un «atto di occultamento delle questioni sociali». «Il Governo - prosegue - vuole impedire che gli operai della Fincantieri manifestino nel centro di Roma. Si vuole cioè impedire l'esercizio di un diritto democratico sancito dalla Costituzione e che i lavoratori italiani si sono guadagnati con le lotte e con il sangue».
I temi sul tavolo, come ricorda il responsabile per la cantieristica della Fiom, Alessandro Pagano, devono essere in continuità con ciò che i sindacati sono andati discutendo dal 2009 con Fincantieri, ovvero le prospettive del settore della navalmeccanica. Del resto, non è che i temi manchino da questo punto di vista. Non si può infatti tacere che ciò che ha portato allo stallo in Fincantieri è stata la scelta della "monoproduzione" delle navi da crociera. Il discorso, quindi, andrebbe riaperto sulle altre tipologie di produzione. Insomma, non si parla di ristrutturazioni fuori dell'orizzonte della politica industriale. E' per questo che è chiamato in causa il Governo, non come mediatore tra le parti ma come soggetto che dovrebbe dire qualcosa.
Guido Viale, ieri, sulle colonne del "manifesto" ha rimesso in campo l'ipotesi delle "autostrade del mare", verso cui far confluire le risorse dei due megaprogetti dell'alta velocità in val di Susa e del ponte sullo Stretto di Messina.
Intanto, qualche segnale positivo arriva sempre dal settore delle navi da crociera. Nei giorni scorsi Fincantieri si è aggiudicata un ordine dal gruppo crocieristico statunitense Carnival per la costruzione di una nave da crociera destinata al brand inglese P&O Cruises. La nave, che entrerà in servizio nel marzo 2015, ha una capienza di 3.611 passeggeri e sarà l'ammiraglia della flotta di P&O Cruises e la più grande realizzata per il mercato britannico. Nuovo lavoro potrebbe arrivare anche da Tirrenia. Il presidente di Moby Lines Vincenzo Onorato, che attende l'assegnazione ufficiale della compagnia regionale Toremar e con la cordata "Cin" sta per finalizzare l'acquisto di Tirrenia, propone infatti, in un'intervista a Il Secolo XIX, l'idea di lanciare un patto con gli altri armatori che rileveranno le altre società regionali e stipulare un contratto per la costruzione di 12 navi in serie per rinnovarne la flotta. In gioco c'è anche il rinnovo della flotta di Tirrenia, che «non è solo necessario. Si impone», ha detto Onorato, sottolineando che «la chiusura dei cantieri sarebbe una tragedia autentica». Per Fincantieri si muove anche Bruxelles: il vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, ha scritto al presidente della Bei Philippe Maystadt chiedendo che siano modificate le regole dei finanziamenti legati al settore della cantieristica, in modo da consentire la possibilità di ottenere fondi anche quando, come accade all'azienda triestina, la nave costruita opererà fuori dall'Ue.


Liberazione 03/06/2011, pag 6

Uscire dalla crisi, cooperare!

Gianni Tasselli
Lotta per il lavoro: uscire dalla crisi, cooperare! E' quello che hanno pensato alcuni operai toscani che in questi mesi hanno investito le loro liquidazioni per rilevare le attività della propria fabbrica, produttiva seppure a rischio chiusura a causa di una borghesia senza prospettive, impotente e tesa esclusivamente al proprio interesse privato.
Solo i lavoratori, d'altronde, possono intuire le possibilità di mantenere un mestiere di qualità, competitivo sul mercato per prodotti o servizi, stimato dai clienti storici e lottare quindi contro l'assurdità di vederlo espatriare. Nessuna cooperativa delocalizza l'attività perché sia i soci sia i consumatori hanno bisogno del lavoro e dei servizi sul territorio.
Ricostruirsi una prospettiva di vita e di lavoro è il primo e il più alto momento della lotta, i toscani sono già a buon punto dell'impresa. Superare l'attuale crisi economica, imparando a distinguere alternative alle fallimentari esperienze fin qui vissute, è un'impresa sulla quale val la pena di scommettere tutte le energie, di credere come volano per il futuro.
Nell'immaginario collettivo oggi l'azienda non è più la fonte sicura di lavoro e sempre più spesso non vi corrisponde stabilità economica. Ormai "l'impresa" è nuda (e anche la Confindustria è nuda), non ha più alcuna credibilità sociale. La crisi mondiale impone la ricerca di nuove soluzioni per l'occupazione.
Da qualche mese una pagina internet del gruppo cooperatori Prc-Se è diventata un mezzo utile a tante persone per chiedere informazioni rivolte a costituire una cooperativa. Tanti i contatti, molteplici le situazioni, luoghi quanto mai diversi (dalla Lombardia alla Calabria, passando per Lazio ma anche Veneto), unico l'obiettivo di una cinquantina di persone circa: scoprire uno strumento che consenta loro la responsabilità lavorativa, per essere artefici e gestori esclusivi della propria vita e del proprio lavoro ritornati così complementari. Dalla fabbrica di biscotti alla cooperativa di fotografi, dai servizi di manutenzione a quelli turistici e di spettacolo è incredibile la varietà di idee e di possibili progetti che la gente immagina di organizzare, nonostante l'assenza di un qualsiasi supporto concreto e accessibile per realizzarli.
Il sindacato ha dimenticato il metodo o forse lo spirito con il quale aveva dato vita alle prime cooperative di lavoratori. Le strutture associative come Legacoop e Confcooperative spesso non riescono ad essere sufficientemente vicine alla gente e a sostenere una rete di comunicazione così capillare. Tuttavia queste centrali possono orientare con consulenze e aiutare con convenzioni, prestando notai, commercialisti specializzati e sfoltendo le incombenze d'inizio attività. Anche il fondo mutualistico nazionale CoopFond favorisce la nascita e la crescita delle iniziative cooperative con prestiti agevolati e consulenze: riconosciuto il risultato ottenuto con le cooperative di Libera, sorte dai beni confiscati alle mafie.
Agevolazioni e indicazioni tecniche sulla pagina internet del Prc-Se per avere alcune fondamentali certezze di partenza: per costituire una cooperativa è indispensabile che i soci siano almeno 3 persone fisiche, che il capitale sociale di una cooperativa sia definito in considerazione del progetto e delle sue finalità considerati i limiti di legge che vanno da un minimo di 25 euro a un massimo di circa 75mila per socio, che ci sia piena consapevolezza delle responsabilità specifiche degli Amministratori legate alla gestione dell'impresa nonostante il capitale sottoscritto sia l'unico di cui rispondono i soci (a differenza delle società di persone in cui la responsabilità è illimitata).
Vorrei tuttavia ricordare che lo spirito della cooperativa è esaustivamente espresso dalla Costituzione italiana che all'art. 45 recita: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata...».
La cooperativa è una forma d'impresa ottimale per i gruppi di persone che si uniscono con finalità che non prevedono unicamente la suddivisione degli utili come nelle società, ma piuttosto puntano al consolidamento dell'attività di lavoro. Aprire una cooperativa significa dare vita ad un'attività economica o imprenditoriale, qualsiasi sia il settore, con uno scopo mutualistico e di fatto la sua forma giuridica garantisce ai soci sicurezza e vantaggi ma, al tempo stesso, imprime all'impresa principi di solidarietà socialmente utili alla comunità presente e, a venire, quindi ai giovani. Fondamentale il rispetto dei contratti collettivi di lavoro e la libera scelta di partecipare dei soci, senza costrizione di sorta: il venir meno di questi principi è indice di cooperative spurie, cooperative evidentemente finte e utili solo a mascherare l'intermediazione di manodopera.
Dalla percezione confusa delle cooperative purtroppo nascono i giudizi errati di molti compagni: se le cooperative spurie vanno sciolte o, nell'interesse dei lavoratori, ricondotte ai principi sopra citati, il senso critico non può essere generalizzato. Il qualunquismo, che fa di tutte le erbe un fascio, non è degno dei comunisti che, come i lavoratori toscani, dovrebbero intuire le possibilità della cooperazione, prima fra tutte la capacità per lavoratori e consumatori di gestirsi un fare alternativo, liberati dal vecchio sistema di sfruttatori e di capitalisti. Un altro lavoro è possibile!


Liberazione 02/06/2011, pag 12

Un Bene Comune da liberare. Dal basso e da sinistra

Roma Sciopero Metropolitano

Contro una "città sbilanciata". Per continuare nel percorso di Roma Bene Comune. Per contribuire al successo del primo Sciopero Metropolitano. Per respirare quell'aria frizzantina portata dal vento di cambiamento che spira da Milano a Napoli. Scegliete voi "il motivo" per il quale lunedì 30 maggio è stato fondamentale scendere in piazza, a Roma, in occasione dello sbarco in Consiglio comunale del bilancio 2011 marca Alemanno. «Lacrime e sangue» la definizione più utilizzata per il bilancio da lavoratori, precari, senza casa, migranti, operatori sociali e del mondo della cultura.
Personalmente, il motivo che mi ha portato in piazza è stato quello di mostrare come, anche nella città vittima dei governi Alemanno e Polverini, esiste qualcosa, in basso a sinistra, che sta delineando un futuro migliore del presente. Esiste qualcosa che non guarda ai giochi politici, a un centrosinistra sempre più appiattito sull'immagine salvifica di Nicola Zingaretti.
Esiste una Roma Bene Comune che da un anno ha saputo raccogliere istanze, vertenze, lotte - sociali e metropolitane - intorno a un rete aperta a tutti e da tutti: sindacati di base - Usb, Cobas, Orsa, Usi - movimenti, comitati per i "Sì" ai referendum del 12 e 13 giugno ma anche forze politiche anticapitaliste - Federazione della Sinistra e Sinistra Critica.
E' stato quasi inevitabile, quindi, unirsi - e il caso ha voluto che fosse nel giorno dei ballottaggi - per occupare la piazza del Campidoglio. Nonostante il caldo, nonostante fosse un lunedì pomeriggio, un grazie allo sciopero a livello cittadino indetto dai sindacati di base, un po' per la capacità di mobilitazione delle forze che compongono la rete, ma soprattutto per il radicamento territoriale della rete stessa, sono state oltre 10mila le persone che dal Colosseo, attraversando il Circo Massimo e Bocca della Verità, si sono riunite sotto la statua del Marco Aurelio per una grande assemblea popolare.
Ogni intervento, che fosse "di movimento" o "politico", è giunto alla medesima conclusione: dopo Milano liberata dal trio Moratti-Formigoni-Berlusconi, dopo Napoli liberata dal duo Bassolino-Iervolino e scampato il pericolo Lettieri-Cosentino, è arrivato il momento che Roma si liberi di Alemanno. Il sindaco è in difficoltà. Lo abbiamo capito con il rimpasto di giunta che ha consegnato, a gennaio, il Bilancio in mano a Capitalia (con Lamanda assessore) e Scuola e Famiglia in mano alla Chiesa (con De Palo - presidente Acli - nominato assessore). Ne abbiamo avuto conferma con gli Stati generali di febbraio che hanno consegnato Roma in mano ai vari Regina (Unindustria), Abete (Bnl), Della Valle, Sabelli e Colaninno (Alitalia). Con il Bilancio 2011, ne stiamo avendo il terzo indizio - e tre indizi fanno una prova: Roma è una città sempre più in mano ai privati, ai poteri forti, alla rendita. Noi invece vogliamo affermare che Roma è un Bene Comune da liberare. Dal basso e da sinistra.
Da. Nal.


Liberazione 02/06/2011, pag 11

400 posti a rischio tra i pulitori ferroviari

Pisa Addetti alle pulizie dei treni

Federico Giusti
I pendolari in arrivo o partenza dalla stazione ferroviaria di Pisa sono stati accolti per un paio di giorni da un variopinto presidio degli addetti alle pulizie dei treni di Pisa, Livorno e Lucca: 400 posti di lavoro in Toscana a rischio dopo il cambio di appalto.
La ditta vincitrice, la Partenope, ha mandato a casa 400 lavoratori, in Toscana, che a partire dall'arrivo delle lettere di licenziamento (il 26 maggio) hanno "occupato" il binario 1 della stazione organizzando un presidio permanente. I lavoratori, organizzati dalla Filt-Cgil, hanno inscenato varie proteste presidiando la sede della Camera di Commercio (il report annuale dell'economia locale conferma la crisi), il palazzo della Provincia (ricevuti dalla Giunta che ha chiesto l'immediato intervento della Regione Toscana).
La Cgil giudica inaccettabile l'assenza di clausole sociali che salvaguardino questi 400 posti di lavoro e i delegati Cgil denunciano il tentativo di scatenare «una guerra tra poveri, tra i lavoratori degli appalti e quelli della Partenope».
Ma la posta in gioco è ben altra e a spiegarcelo sono alcuni lavoratori con maggiore anzianità di servizio: «La alta percentuale di sindacalizzazione tra i pulitori (tutti Cgil), la presenza di condizioni lavorative, contrattuali e retributive migliorate nel corso degli anni dalla contrattazione sindacale, la paura della ditta vincitrice dell'appalto di ritrovarsi a gestire lavoratori determinati e consapevoli dei loro diritti».
Solidarietà ai lavoratori è arrivata dal Prc e dai Cobas. Maurizio Bini, consigliere comunale di Rc e ferroviere dell'Orsa, in Consiglio comunale (assente e silente il sindaco del Pd Filippeschi, più interessato a porre divieti alle manifestazioni che alle sorti degli operai pisani) ha chiesto «quali iniziative si intende intraprendere nei confronti di Trenitalia e della Regione Toscana, titolare del contratto di servizio con la stessa Trenitalia, al fine di scongiurare il ricorso a questi licenziamenti ed al ripristino del contratto di lavoro per i lavoratori interessati».
Dal canto loro i Cobas chiamano direttamente in causa Trenitalia «che in qualità di committente dovrebbe intervenire per il rispetto delle clausole sociali salvaguardando i posti di lavoro». Trenitalia per i Cobas «manifesta la sua politica di ostacolo alla sicurezza dei passeggeri e dei ferrovieri, una politica che poi si riproduce verso i lavoratori degli appalti, sfruttati e mal pagati».
Nella tarda mattinata di sabato arriva al presidio della stazione la notizia che tutti si auguravano:una volta tanto: Trenitalia si muove nel verso giusto e revoca l'appalto alla Partenope per inadempienze contrattuali. Il segretario della Filt-Cgil, Goffredo Carrara, è soddisfatto ma attento: «La mobilitazione ha pagato, ma teniamo alta l'attenzione».
I lavoratori tornano a casa ma sono pronti a riprendere le iniziative di lotta nei prossimi giorni, i Cobas e i movimenti antiproibizionisti esprimono la loro solidarietà ai lavoratori dai microfoni del camion che sfila vicino alla stazione in occasione del Canapisa nel soleggiato pomeriggio di sabato 29 maggio.


Liberazione 02/06/2011, pag 11

La storia di Sandro, licenziato perché pretendeva la sicurezza di lavoratori e viaggiatori

Roma Tiburtina Trenitalia

Si è svolta il 25 maggio a Roma la prima assemblea nazionale dei ferrovieri che chiedono il reintegro di Sandro Giuliani, il capotreno dell'impianto di Roma Tiburtina licenziato lo scorso 21 gennaio perché applicava scrupolosamente i regolamenti ferroviari che tutelano la sicurezza dei lavoratori e dei viaggiatori.
Giuseppe Carroccia ha illustrato le proposte operative del comitato - nato immediatamente dopo il licenziamento - che prevedono la costituzione di una lista di solidarietà che mensilmente verserà un contributo per aiutare economicamente Sandro, mentre le spese legali verranno sostenute dalla cassa di solidarietà dei ferrovieri sorta dopo i licenziamenti di Dante e dei ferrovieri di Report.
Si è chiesto inoltre alle organizzazioni sindacali, che hanno espresso solidarietà a Sandro (tutte tranne Cisl, Uil e Ugl), di inserire nelle piattaforme il reintegro di Sandro e la sospensione dei provvedimenti disciplinari emanati con intenti intimidatori.
Infine si propone di effettuare assemblee in tutti gli impianti delle principali città per arrivare a una iniziativa di protesta nazionale per il prossimo autunno. Sia alla Regione Lazio che alla Camera sono stare depositate interrogazioni e mozioni per il reintegro da FdS, Pd, Sel, Idv.
Sandro Giuliani ha raccontato la vicenda di cui è stato protagonista precisando che i responsabili aziendali erano a conoscenza del modo in cui operava (presenza sul locomotore accanto al macchinista e chiusura delle porte dalla cabina), modalità con la quale per dieci anni si è lavorato, come testimoniano le oltre duecento firme raccolte in pochi giorni tra i lavoratori. Per la stessa Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria il posto del capotreno è in cabina. Infatti nella lettera di licenziamento non si fa nessun esplicito riferimento a fatti, ma si cita soltanto la rottura del rapporto di fiducia, motivazione con la quale si può licenziare chiunque per qualsiasi motivo.
Il professor Giovanni Alleva che assiste legalmente Giuliani ha evidenziato tutti gli elementi incongrui del licenziamento e ha illustrato la causa in corso verso oltre centocinquanta macchinisti e capotreno toscani che sono stati sanzionati perché non avevano accettato l'accordo che dal 15 maggio 2009 ha introdotto l'agente solo, sostenendo che vi è una forte similitudine con la vicenda che ha portato la Fiom ha vincere legalmente la causa sulla inapplicabilità del contratto per i propri iscritti.
Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale Fiom, ha ricordato la storica sentenza di Torino che condanna la Tyssen Krupp e ha spiegato come le scelte di Marchionne e Moretti tendono non solo a schiacciare i lavoratori ma a selezionare gruppi dirigenti incapaci di far crescere le aziende.
Paolo Ferrero, dopo aver dato la propria disponibilità a contribuire alla cassa, ha voluto ricordare l'importanza di questi momenti di resistenza che valorizzano il ruolo delle persone, la loro irriducibilità alla condizione servile a cui il capitalismo e il berlusconismo vorrebbe ridurle.
Fabrizio Tomaselli dell'Usb ha dato la disponibilità a qualsiasi iniziativa di lotta si vorrà prendere, incluso lo sciopero, ricordando le lotte dei lavoratori Alitalia.
Maria Nanni, capotreno di Lucca, ha ricordato la strage di Viareggio e il sostegno che va dato anche agli apprendisti a cui Trenitalia non ha voluto confermare il contratto.
Di Lisio dell'Orsa Lazio ha chiesto maggiore coordinamento nelle azioni di protesta, mentre Mariani ha proposto di introdurre il reato di licenziamento doloso.
Dante De Angelis, che per aver solidarizzato coi licenziati di Melfi sta scontando 10 giorni di sospensione, concludendo i lavori ha innanzitutto voluto testimoniare la sofferenza individuale che si prova dopo un licenziamento e ha dato appuntamento per le prossime iniziative. L'iniziativa "Un treno carico di stress" si è svolta a Firenze il 30 maggio per fare una ricerca sul campo con la somministrazione di questionari per dare un ruolo attivo ai lavoratori nella valutazione del rischio, la battaglia per evitare l'introduzione dell'Ivu, i turni individuali al posto di quelli collettivi nonché le inaccettabili proposte aziendali sull'orario di lavoro.
Comitato per il reintegro di Sandro Giuliani


Liberazione 02/06/2011, pag 11