Il 22 giugno si votava al referendum sull'accordo Fiat: il clima pesante, le pressioni e quel dvd patetico. E il risultato-svolta
Pubblichiamo un'anticipazione dal libro "Pomigliano non si piega. Storia di una lotta operaia raccontata dai lavoratori" che sarà presentato domani presso il circolo Prc Fiat Auto-Avio di Pomigliano a partire dalle 10,30.
Ciro D'Alessio*
I primi giorni di giugno (2010, ndr), poco prima dell'incontro alla sede di Confindustria a Roma, tenemmo un'assemblea in fabbrica nella quale ancora, nonostante tutto, reggeva un'esile parvenza di unità. Da quell'assemblea si uscì con una posizione unitaria: in nessun caso si sarebbero fatti accordi al di fuori del Ccnl (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro).
Ma come troppi di noi sospettavano, bastò veramente poco per venir meno all'impegno preso con i lavoratori. Si narra di telefonate sospette ai segretari di Fim e Uilm e delle lacrime di uno di essi quando il responsabile Fiat disse che in quel momento non avrebbe accettato nessun accordo separato senza il coinvolgimento della Fiom e che bisognava fare un referendum per dare una parvenza democratica al ricatto che stava proponendo.
Quando le delegazioni scesero si capì subito che qualcosa era cambiato; notammo infatti che le delegazioni degli altri sindacati si dileguavano in tutta fretta ed evitavano l'assemblea improvvisata da Landini per spiegare come erano andate le cose. In quell'assemblea il nostro segretario ci spiegò bene che niente sarebbe più stato come prima, che la Fiom era intenzionata a dare battaglia fino alla fine pur di difendere i lavoratori di Pomigliano e di tutt'Italia. In quel momento incrociai lo sguardo dei miei compagni e capii che eravamo pronti a dare tutto in quella battaglia.
Nei giorni successivi, in fabbrica, l'aria divenne pesante. Sentivamo che i vari capi e capetti ci guardavano male, si formavano spontaneamente gruppi di operai che discutevano animatamente della situazione. Cercavamo sempre e comunque di far valere le nostre ragioni e quando i nostri avversari non riuscivano a contrastarci nel merito della questione, ci accusavano di essere un'espressione del passato, residui di un sindacalismo morto e dicevano che il nostro atteggiamento ci avrebbe portato ad essere licenziati.
Sostenevano che noi difendevamo i fannulloni e gli assenteisti, quando si trattava invece di difendere il diritto alla malattia, il diritto a poter dire no, ad avere la possibilità di contrastare qualsiasi abuso dell'azienda tramite lo sciopero, anche se questo comporta perdere, in un periodo di crisi, una parte del già misero salario.
Ci continuavano a chiedere chi o cosa ce lo faceva fare e insistevano che presto o tardi la Fiat ce l'avrebbe fatta pagare. Forse il momento più difficile di quei giorni non fu il difendersi dai nostri avversari, ma da quelli che credevamo essere nostri alleati. Come quando i delegati delle altre organizzazioni sindacali iniziarono a girare per le linee distribuendo il comunicato della Cgil regionale che invitava a votare sì.
Questo fu il clima che abbiamo respirato in fabbrica fino al 22 giugno, giorno del referendum. Quella mattina mi svegliai prima, erano circa le quattro e, mentre mi facevo il caffè, pensavo a mille cose, come sarebbe andata, cosa sarebbe stato poi, ecc. Sapevamo bene tutti che la sfida che ci aspettava era durissima, non potevamo aspettarci niente, l'azienda aveva messo in campo tutte le sue risorse, e nei giorni precedenti al referendum si erano susseguiti annunci in televisione. La Fiat aveva anche organizzato una marcia col patrocinio del comune di Pomigliano sulla falsariga di quella del 1980 a Torino, i cui partecipanti erano principalmente delegati di Fim, Uilm, Fismic e Ugl con le rispettive famiglie, impiegati, capi ed esponenti della politica di destra campana. Ma il risultato fu irrisorio, circa duecento partecipanti, e scatenò fra l'altro una reazione contrariata da parte degli operai, che si sentirono presi in giro e offesi dalla falsità della manifestazione…
Politici, sindacalisti, Chiesa, gente comune, tutti a favore del sì, tutti consapevoli che si sarebbero peggiorate notevolmente le condizioni di lavoro della gente, ma l'importante era l'investimento; avevano imparato tutti la storiella a memoria: «Bisogna salvare l'occupazione». E' paradossale, se si pensa che eravamo stati noi, come operai più combattivi e coscienti, ad essere stati per tre anni in prima fila per difendere il nostro posto di lavoro, anche perché noi, a differenza di Marchionne, non possiamo andarcene in un altro paese. Per di più eravamo noi che, esponendoci di più in prima persona, rischiavamo il posto per difendere i diritti di tutti i lavoratori.
Il 22 giugno, arrivati fuori dai cancelli c'era tanta gente venuta fin lì per portare solidarietà in quel momento così particolare. L'aria all'interno era diversa quella mattina, non si sentiva il solito rumore, quel rumore che mette i brividi, il rumore della fatica delle giornate passate ad inseguire una macchina mentre ti spacchi la schiena.
Arrivati sulle linee c'erano decine di sedie ed un televisore, sembrava di essere tornati ai tempi della rieducazione (il famoso piano Marchionne). Appena incontrai i colleghi iniziammo inevitabilmente a parlare del referendum, e mi accorsi subito che l'esito di quella giornata forse non era già scritto.
[…] Cominciò la proiezione del dvd, si vedevano scene patetiche, lavoratori che facevano domande al direttore e il direttore con sorriso gioioso che rispondeva. Si andava dal «si potrà scioperare?» al «guadagneremo di più?» Ma evidentemente quella fu una mossa sbagliata, sentivo i miei colleghi parlare e commentare ironicamente quelle scene pietose.
[…] Arrivò l'ora delle votazioni e ci avviammo verso il seggio e passo dopo passo mi convincevo sempre più che qualcosa di grande poteva accadere. La fila era lunghissima, la gente cercava di non far trasparire cosa sarebbe andata a votare e c'era tanta paura. I delegati delle altre organizzazioni erano stati messi a guardia dei seggi e dispensavano le ultime raccomandazioni o le ultime minacce.
Ma lo stesso facevamo noi, continuando a gridare forte il nostro dissenso e a spiegare perché era fondamentale ribellarsi al ricatto. Ci sentivamo gli occhi addosso, c'erano proprio tutti, dal direttore, ai gestori, ai capi, tutti lì a far sentire la loro presenza, ma noi non temevamo niente e nessuno, sapevamo che quella era una battaglia che andava combattuta, sapevamo che ci guardavano, che ci conoscevano, e che forse un giorno avrebbero presentato il conto, ma non ce ne importava, eravamo intenzionati a fare il nostro dovere fino in fondo.
Una delle cose che non dimenticherò mai di quel giorno fu quello che mi disse un delegato della Fim Cisl un attimo prima di votare. Mi disse: «Oggi avrete un'enorme sconfitta e domani, con la coda fra le gambe, verrete a firmare». Lo guardai e gli risposi che quel giorno era solo l'inizio. Quando il voto finì tornammo al lavoro, stava finendo la giornata di lavoro, ma la nostra di giornata era appena iniziata.
[…] La sera accesi il computer e misi il telegiornale per seguire l'esito dello spoglio. Le prime notizie non erano confortanti, dal momento che alla prima urna erano usciti 98 sì su 100 schede. D'improvviso sentii un pizzico di delusione, ma dopo qualche telefonata con i compagni che erano dentro si seppe che quella era l'urna degli impiegati. Subito si riaccese la speranza che niente era perduto. Sul gruppo "Pomigliano non si piega", da noi creato su Facebook, si susseguivano i messaggi di solidarietà di persone che scrivevano da tutte le parti d'Italia; poi, all'improvviso, la svolta: mano a mano che si procedeva con lo spoglio, i numeri dei no aumentavano sempre di più: 100, 200, 300 e ogni aggiornamento aumentava l'entusiasmo, si susseguivano le telefonate e gli sms tra noi.
[…] Era chiaro che quel risultato poteva riaprire la partita, che si poteva invertire la rotta. La classe operaia tornava al centro della scena politica, Pomigliano dimostrava che si poteva vincere, che esisteva ancora la classe operaia. Come poi risulterà in seguito, dal referendum poteva cominciare una nuova stagione per il conflitto di classe e la riscossa operaia. Se Torino 1980 era ricordata come la più grande sconfitta, Pomigliano 2010 poteva essere ricordata in futuro come l'inizio di una nuova epoca di conquiste operaie. […]
*operaio Fiat Auto di Pomigliano D'Arco
Liberazione 06/03/2011, pag 6
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Non un libro sugli operai, ma un libro degli operai. Non la testimonianza di una lotta ormai conclusa, ma la cronaca viva, vera, talvolta cruda, di una battaglia ancora in corso. Domani, mentre il manager con il maglioncino sarà impegnato nel lancio della sua Newco - termine ultimo del ricatto iniziato con il referendum - a Pomigliano i lavoratori faranno sentire la propria voce.
Dal 22 giugno dello scorso anno, giorno in cui un 36% di no ha mandato in fumo i sogni plebiscitari di Marchionne, sul destino di quella fabbrica e della Fiat in generale hanno parlato e scritto tutti. Economisti, politici, giornalisti, dirigenti sindacali, filosofi, uomini di spettacolo hanno disquisito su Pomigliano, il suo presente e il suo destino. Nessuno di loro però, in una fabbrica si è mai sporcato le mani.
In Pomigliano non si piega. Storia di una lotta operaia raccontata dai lavoratori a parlare sono i protagonisti di quella battaglia che, come ha ribadito più volte il segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini, ha segnato un punto di svolta nel conflitto operaio in Italia. Senza quel voto, non ci sarebbe stata la grande manifestazione del 16 ottobre 2010, che dopo anni ha posto il conflitto operaio come pietra angolare della costruzione dell'opposizione. Senza quel voto, non ci sarebbe stato il 46% di no al referendum sull'accordo di Mirafiori. Senza quel voto, forse, non sarebbe mai partita la campagna per lo sciopero generale. La vita in fabbrica, i reparti confino, la realtà quotidiana della catena, il significato del ricatto imposto dalla Fiat, la costruzione - paziente, quotidiana - della battaglia che ha aperto la diga del conflitto operaio in Italia: a prendere la parola sono i lavoratori della Fiat di Pomigliano d'Arco e dell'indotto, che in questi anni, attraverso il circolo del Prc Fiat Auto-Avio, hanno costruito un sistematico intervento politico in fabbrica e nella Fiom-Cgil. Lavoratori che oggi non temono di porsi all'altezza della sfida lanciata dal management Fiat. Anzi. Agli attacchi feroci di Marchionne, promettono di rispondere colpo su colpo, già da domani, lunedì 7 marzo.
Alessia Candito
Liberazione 06/03/2011, pag 6