mercoledì 15 giugno 2011

La lotta per Fincantieri non si ferma

Mauro Solari*
Sestri Ponente si è stretta attorno ai suoi cantieri navali.
Impressionante vedere venerdì mattina i negozi chiusi con una adesione pressoché totale alla serrata indetta dall'Ascom a difesa del cantiere. Impressionante anche perché da quanto ricordo, abitando a Sestri fin da bambino, non c'è mai stata una simile adesione. Certo, nella storia di Sestri non è la prima volta che una parte del commercio sia solidale con gli operai, ma bisogna risalire a molti anni fa. Nella scelta dei commercianti sestresi vi è anche la paura della realizzazione dei nuovi centri commerciali già previsti nel Puc nelle aree ex-Finsider, nonché nelle aree che verranno liberate dal trasferimento agli Erzelli delle aziende del polo elettronico. Ma, credo, vi sia anche la consapevolezza che una città come Genova non può vivere di solo terziario e che l'ennesimo attacco alle sue industrie (non dimentichiamo Elsag e Selex) è un attacco al tessuto sociale che nonostante tutto fa di Sestri ancora un luogo di aggregazione e di convivenza positiva.
Scontata, ma non troppo dopo decenni di politiche individualiste, la partecipazione della popolazione sestrese, che ha riempito piazza Baracca come non si vedeva da anni.
Ascoltati i vari relatori al comizio con fischi alla Marta Vincenzi che paga le sue ambiguità, la sua arroganza e la "verosimiglianza" del fatto che fosse stata preventivamente informata da Bono delle sue intenzioni di chiudere il cantiere.
Mi ha fatto impressione vedere sfilare nel corteo gli operai del cantiere in cui si vedevano facce prevenienti da tutto il mondo (indiani, sub-sahariani, slavi), a testimonianza di un processo positivo di integrazione che qui è una realtà. Ricordo l'intervento di un ex-operaio di 91 anni che ha rivendicato, con l'orgoglio tipico della vecchia classe operaia genovese, le capacità professionali e tecniche presenti nei cantieri «quando insegnavamo ai tedeschi a costruire le navi» e di quando nel '48 la borghesia tentò di indebolire la classe operaia inventando i sindacati di comodo Cisl e Uil.
Infine come non notare il fatto che mentre il corteo sfilava a fianco della linea ferroviaria i macchinisti ferrovieri lo salutavano coi fischi dai locomotori a testimonianza di una solidarietà di classe che nonostante tutto sta ancora tenendo.
Che dire: certo la lotta sarà ancora lunga e credo abbiamo fatto bene come partito ad essere presenti con le nostre posizioni politiche: rilancio dei cantieri tramite investimenti pubblici finalizzati ad un nuovo modo di trasporto delle merci e delle persone, che privilegi il trasporto su acqua e su ferro, realizzando finalmente le "autostrade del mare" di cui si discute da anni senza fare nulla.
*circolo "Rovatti" Prc/FdS Sestri Ponente-Genova


Liberazione 29/05/2011, pag 11

Non c’è un futuro in Fincantieri spiega Landini (Fiom): se si riduce la capacità produttiva

«Non c'è un futuro in Fincantieri se si riduce la capacità produttiva dello stabilimento. Per questo motivo il piano proposto da Fincantieri non è accettabile». Così il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. «C'è bisogno di investire su ricerca, innovazione e differenziazione delle attività - ha sottolineato Landini - Da tempo chiediamo a Governo che si apra un tavolo dove si rendano esplicite le proposte al livello europeo, al livello nazionale e al livello regionale per un progetto unico per il quale noi siamo pronti a fare la nostra parte». E oggi la vertenza dello stabilimento di Castellammare di Stabia approderà allo stadio Romeo Menti. Un "giro di campo" prima dell'andata dei play off per la serie B, tra la Juve Stabia ed il Benevento.


Liberazione 29/05/2011, pag 5

Grande adesione popolare alla lotta dei lavoratori Fincantieri

Genova, Castellammare, Marghera Mobilitazione in tutto il gruppo

Fabrizio Salvatori
Su Fincantieri, per ora, l'unica cosa certa è che le tute blu si mobilitano. E' accaduto anche ieri a Sestri Ponente, a Venezia e in Campania. Dall'altra parte, dalla parte del Governo, la confusione regna sovrana. Il ministro Maurizio Sacconi, nel tentativo di chiarire cosa intenda fare l'esecutivo, ha tirato fuori dal cappello un non meglio precisato "modello Pomigliano". Che fantasia, pero! Il messaggio, lanciato in una intervista al Mattino, è chiaro: dopo l'incoraggiamento di Federmeccanica a Fincantieri cresce tra gli imprenditori la voglia di "menar le mani". E Sacconi, così come in altre occasioni, non fa che suonare la grancassa.
Al di là di questo, ieri a Genova è stata la giornata della mobilitazione generale per la vertenza Fincantieri. Commercianti, studenti, taxisti e gente comune hanno preso parte alla grande manifestazione di Sestri Ponente per dire no alla chiusura dello stabilimento cantieristico. In corteo, quasi diecimila persone: oltre ai lavoratori della Fincantieri e delle altre aziende a rischio occupazione, come Selex, Ericsson, Navalmeccanica, anche circa 50 taxisti della Cooperativa Taxi, alcune ambulanze, i commercianti che hanno operato la serrata generale per oltre tre ore e un gruppo di studenti. Il corteo, guidato dalla Fiom e dalla Rsu di Fincantieri, salutato da commercianti, studenti e residenti del quartiere, si è fermato davanti ai cancelli dello stabilimento che, con il piano industriale "lacrime e sangue", rischia la chiusura. Prosegue inoltre, a oltranza, il presidio dei varchi al cantiere di Riva Trigoso, i cui lavoratori stanno effettuando scioperi articolati. Per il 3 giugno si annunciano migliaia di tute blu a Roma.
Tre le ore di sciopero, invece, alla Fincantieri di Venezia. «È inaccettabile - rileva Luca Trevisan, segretario della Fiom di Venezia - che il piano di Fincantieri si basi solo su tagli di personale, previsto anche per Venezia, e chiusure con il contestuale blocco degli investimenti e la ricaduta della produttività sulle sole spalle dei lavoratori». La mobilitazione si è fatta sentire anche a Marghera, dove il traffico è impazzito per alcune ore.
Commercianti solidali anche a Castellammare di Stabia, dove hanno aderito compatti alla serrata indetta dall'Ascom, in solidarietà con i lavoratori del cantiere navale che il piano industriale di Fincantieri ha deciso di chiudere. Anche il mercato è rimasto deserto, nessun ambulante ha messo in mostra le sue mercanzie, solo le farmacie hanno assicurato il servizio di emergenza tenendo le serrande abbassate per metà. La città, quindi, ha risposto con partecipazione alla disperazione delle duemila famiglie colpite dalla mancanza di lavoro che si prefigura dal 2013, dopo il completamento della commessa di due pattugliatori assicurati dal Governo.
I lavoratori della Fincantieri di Castellammare ieri sono tornati a bloccare, in entrambe le direzioni, sulla strada statale 145 "Sorrentina" tra i Comuni di Castellammare di Stabia e Vico Equense .
«Il modello Pomigliano non è assolutamente esportabile», ha replicato il segretario nazionale della Cgil Vincenzo Scudiere al ministro Sacconi. «Il punto di riferimento può essere l'accordo che abbiamo sottoscritto ieri per la realizzazione del progetto sulla chimica verde a Porto Torres», ha aggiunto. «Continuiamo a considerare l'accordo di Pomigliano un fatto non esportabile - spiega il sindacalista - a differenza di quanto sostiene il ministro che non perde occasione per riproporlo ogni volta che ne ha la possibilità, come in questo caso a proposito della situazione drammatica della Fincantieri». Oltre Pomigliano, osserva Scudiere, «ci sono decine di accordi sottoscritti unitariamente per risolvere crisi e problemi occupazionali: proprio ieri infatti ne abbiamo sottoscritto uno, alla presenza dello stesso ministro Sacconi, per quanto riguarda la chimica verde. A quanto pare - conclude - il ministro se lo è già dimenticato».
Ad insistere per la soluzione dura sono 192 dirigenti della Fincantieri che hanno scritto una lettera aperta in cui sostengono che per l'azienda non ci sono «ricette miracolose. «Le linee del nuovo piano industriale presentato dall'azienda ai sindacati - sostengono - sono le migliori e le uniche possibili». La presa di posizione del managment è molto esplicita fino al punto da sentirsi «profondamente offeso» del clamore suscitato dalla decisione di Fincantieri. «Tutto questo - sottolineano - ci risulta essere solo un tentativo di banalizzare una situazione complessa e nota da anni a cui il management e l'amministratore delegato, insieme all'azienda tutta, stanno faticosamente cercando di porre rimedio». «Le linee presentate alla nostra controparte naturale, ovvero il sindacato dei metalmeccanici, risultano - sostengono i dirigenti - essere le migliori possibili per consentire il mantenimento ed il rilancio del capitale umano e tecnologico di Fincantieri. Si è avviato quindi un confronto ed un dialogo nella sede propria con l'intento di pervenire possibilmente a soluzioni condivise».
Sul fronte dell'Ue l'incontro tra il commissario europeo Tajani e i sindacati confederali ha prodotto solo alcuni preliminari, peraltro tutti formali. Altri incontri sono in programma al parlamento di Bruxelles.


Liberazione 28/05/2011, pag 5

Transport di Alstom vende a rischio gli stabilimenti italiani partono i primi licenziamenti

Solo in Italia, il comparto Transport di Alstom (8 stabilimenti italiani per 2.600 dipendenti) vede a rischio licenziamento 55 persone a Savigliano, 40 a Bologna e 40 a Guidonia, mentre 62 dipendenti dello stabilimento di Verona sono a rischio trasferimento. Un totale di 280 dipendenti italiani è a rischio per il solo settore Transport, ai quali si aggiungono i 35 ingegneri del settore Alstom Power di Sesto San Giovanni. Tra Alstom e sindacati era stato definito un accordo, a livello europeo, che prevedeva strumenti alternativi ai licenziamenti, ma adesso il Gruppo non intende rispettarlo. Il confronto proseguirà il 16 giugno, nella sede di Assolombarda.


Liberazione 28/05/2011, pag 5

Opposizione sociale metropolitana possibile

A Roma la protesta dei precari della rete Reddito

Daniele Nalbone
«I precari non vogliono sconti». «Noi la Gerit non la paghiamo». Il tutto condito da lancio di ortaggi e uova. Così, tra slogan e striscioni, ieri mattina circa duecento precari della rete Reddito per tutti hanno "assaltato" la sede di Roma della Gerit/Equitalia, in viale Palmiro Togliatti, «uno dei luoghi simbolo di questa crisi» spiegano gli attivisti, accompagnati nel blitz dalla rete Roma Bene Comune. Manifestare contro quella che viene definita dai precari, dai parasubortinati, dai senza casa «un'agenzia dello strozzinaggio legalizzato che oggi, attraverso una normativa di emergenza, è addirittura autorizzata dal Governo a entrare direttamente sui nostri conti correnti e congelare le poche disponibilità finanziare, a pignorare i nostri beni» è il modo "precario" di avvicinarsi alla data del 30 maggio. Quel giorno il bilancio comunale della Giunta Alemanno, un bilancio «lacrime e sangue», sbarcherà in consiglio: «tagli ai servizi essenziali per 125 milioni di euro» spiegano dalla Federazione della Sinistra di Roma «aumenti di tasse e tariffe per 300milioni, privatizzazioni e ricorso ai capitali privati per trasformare la carenza di fondi in occasione di arricchimento dei soliti noti». Per questo la rete Roma Bene Comune (movimenti, sindacati di base, Federazione della Sinistra, Sinistra critica) darà vita, lunedì, a una grande manifestazione che dal Colosseo (partenza alle 15) raggiungerà la piazza del Campidoglio dove si terrà una grande assemblea cittadina. Non solo. Per dare il "benvenuto" al bilancio 2011 l'Unione sindacale di base, i Cobas e altre sigle del sindacalismo di base hanno indetto una giornata di "sciopero metropolitano": lunedì 30 maggio incroceranno le braccia i lavoratori di Atac (azienda trasporti), Ama (rifiuti), Acea (acqua ed energia) «e di tutte le aziende che rientrano nel piano della Holding Roma Capitale deliberato dalla Giunta Alemanno». In questa nuova holding, società con socio unico Roma Capitale, saranno raggruppate le quote detenute dal comune nelle società di servizi pubblici locali: Ama (100%), Atac (100%), Acea (51%), Investimenti (22,5%), Centro Agroalimentare Romano (31%), Centro ingrosso fiori (20%), Eur (10%). In aggiunta, il Comune inserirà nella holding anche le società di servizi strumentali «strettamente necessari per il perseguimento delle finalità istituzionali»: il 100% di Risorse per Roma, Aequa Roma, Roma Metropolitane, Servizi Azionista Roma, Roma Servizi per la Mobilità, Ze'tema. Ciliegina sulla torta, alla Holding Roma Capitale saranno conferite, alla voce «non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali», anche le partecipazioni in aziende "calde" come Aeroporti di Roma e Centrale del Latte, le cui quote saranno successivamente dismesse. Inevitabile, quindi, una protesta dal basso come quella proclamata dalla rete Roma Bene Comune e rilanciata dalle forze di opposizione che siedono in Campidoglio: «il nostro obiettivo» ci spiega Fabio Nobile, consigliere regionale FdS, spiegando il percorso della rete Roma Bene Comune «è costruire un'idea diversa di città: più libera, più giusta, più sostenibile, più solidale. Il tutto, in opposizione al progetto di bilancio comunale "da società privata", contro gli attacchi al lavoro e allo stato sociale, e ovviamente in preparazione degli appuntamenti referendari del 12 e 13 giugno». Insieme ai dipendenti della futura Holding Roma Capitale si asterranno dal lavoro i dipendenti Usb del Pubblico Impiego capitolino, dei nidi e delle scuole di infanzia, delle cooperative sociali, dei canili comunali, della ricerca. I motivi di questa mobilitazione "sindacale" sono evidenti e si sono palesati anche nell'assemblea di martedì scorso organizzata da Roma in Action e alla quale hanno partecipato forze politiche (Sel, FdS, Pd), sindacali (Cgil) e sociali (Roma social pride, Città Altra Economia, Cultura bene comune): «il 30 maggio potreremo in piazza l'opposizione a un bilancio» ci spiega Bartolo Mancuso di Roma in Action «che disegna una città accentrata, privatizzata e impaurita, alla quale vogliamo contrapporre la nostra idea di Roma città pubblica, decentrata e solidale». Inevitabile, quindi, trovare nel 30 maggio la data ideale per la prima sperimentazione di "sciopero metropolitano": «lunedì sarà il punto di arrivo di una sperimentazione lunga un anno, iniziata proprio con la protesta contro il bilancio 2010» ci spiega Paolo Di Vetta dei Blocchi Precari Metropolitani. «In questo anno è nato un "laboratorio indipendente" tra movimenti, sindacati di base, realtà autoconvocate, partiti della sinistra che ha portato 15mila persone a manifestare sotto la Regione Lazio, sei tra attivisti e sindacalisti a occupare il tetto di "palazzo Polverini" per due settimane , e che ha dato vita - in occasione degli Stati Generali della Città - alla rete che ha preso il nome di Roma Bene Comune. Una rete che, oggi, si configura con le caratteristiche dell'opposizione sociale metropolitana possibile».


Liberazione 27/05/2011, pag 8

Fincantieri, governo fermo. Tocca al commissario Ue

Mobilitazioni oggi la protesta a Sestri Ponente

Fabrizio Salvatori
«Fino a che non si trovano soluzioni condivise i cantieri non si chiudono». E' al limite della banalità la dichiarazione del ministro Paolo Romani ieri, al terzo giorno di mobilitazioni. Indice di debolezza e di poca lucidità. «Ci mancherebbe anche che senza un piano condiviso e contrattato con i sindacati si procedesse alla chiusura dei cantieri», gli risponde, a tono, il capogruppo democratico nella commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. Il tentativo dell'esecutivo è, per ora, quello di calmare gli animi. Ieri è stata bloccata di nuovo la Circumvesuviana a Pompei. E negli altri siti produttivi le tute blu hanno continuato chi a sciopero e chi a presidiare.
Gli animi non si calmano schioccando le dita. Tanto meno lo può fare Romani, già sfiduciato dai lavoratori ancor prima di iniziare. Oggi, intanto, è in programma l'incontro dei sindacati confederali con Antonio Tajani, commissario ai Trasporti, sceso da Bruxelles per venire in soccorso di Silvio Berlusconi. In mano non ha quasi nulla, se non un po' di ammortizzatori sociali. Di confortante c'è solo la presenza di alcuni tecnici, ai quali andrà il compito di cercare gli appigli giusti nel pacchetto "Leadership 2015".
II più attivi rimangono, per il momento gli amministratori locali, soprattutto quelli liguri. Oggi a Sestri Ponente ci sarà lo sciopero e la manifestazione nella piazza centrale (piazza Baracca). A portare la solidarietà fattiva sarà un po' tutta la cittadinanza, a cominciare dai commercianti che hanno deciso di abbassare le saracinesche per due ore. Senza trucco e senza inganno, la lotta per salvare i duemila e cinquecento posti di lavoro sta prendendo una piega "territoriale". Al sindadacato, invece, il ruolo di collante nazionale. A Riva Trigoso la mobilitazione, per esempio, è ad oltranza. E il controllo dei cantieri è completamente in mano ai lavoratori. La Fiom ha addirittura espresso la «propria soddisfazione» per la «grande partecipazione» del territorio. Al presidio, soprattutto di notte, sono presenti molti cittadini. Il sindaco di Genova ha ribadito il concetto dello sciopero generale per una «lotta sacrosanta».
Sempre sul fronte sindacale, infine, la Cgil chiede una «correzione radicale» del piano Fincantieri. Gli ossimori del segretario nazionale della Cgil Vincenzo Scudiere stonano con la difesa di Fincantieri da parte del presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, che parla di una ristrutturazione «dura ma necessaria». «Ora è necessario - ha aggiunto il presidente degli industriali metalmeccanici - che la trattativa prosegua tra azienda e sindacati nelle sedi naturali di confronto. Interventi esterni sulla vicenda, spesso non documentati e demagogici, potrebbero risultare dannosi al raggiungimento di risultati concreti per l'azienda e I lavoratori». Gli imprenditori temono sia il peso della mobilitazione territoriale, appoggiata sin qui senza condizioni dagli amministratori locali, che il ruolo che potrebbe giocare l'Europa.
Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, fa capire come l'obiettivo di Fincantieri non sia affatto quello della trattativa. Un confronto, sottolinea la Cgil, è in piedi da anni. Perché non è stata utilizzato quella per risolvere i nodi? «Adesso pensano di scaricare le conseguenze dei loro errori sugli operai e loro famiglie. È un atteggiamento sbagliato», dice Camusso. «Molte crisi aziendali - conclude - ci hanno insegnato che anche situazioni difficili possono essere affrontate in altro modo, senza dare fuoco alle polveri o cercando l'imbarbarimento delle relazioni sociali. Non si risolvono i problemi dell'azienda scaricando tutto sui lavoratori».


Liberazione 27/05/2011, pag 5

La lotta dei portuali triestini vince sui ricatti dei padroni

Trieste accordo tra Autorità portuale e imprenditori

Matteo Gaddi
La lotta paga. I portuali triestini, dopo sei giorni di sciopero che hanno completamente bloccato lo scalo della città giuliana, hanno vinto il primo round di una durissima, e ancor lunga, battaglia: nessuno di loro resterà senza lavoro.
Dopo lunghe e difficili trattativa i sindacati hanno sottoscritto con l'Autorità Portuale e imprenditori un accordo articolato in due fasi. La prima deve rispondere alla situazione di emergenza venutasi a creare con la messa in liquidazione della Cooperativa Primavera che occupa 98 persone e con il licenziamento di 8 portuali di Ideal Service: si procederà attraverso l'allargamento del bacino del "lavoro portuale temporaneo" attualmente esistente a Trieste.
Questa soluzione tampone dovrebbe consentire di avviare un percorso per arrivare alla costituzione di una vera e propria Agenzia del Lavoro (il comma 5 dell'articolo 17 della Legge sui Porti) in grado di assorbire i lavoratori dipendenti della cooperativa Primavera ed eventualmente anche di altri soggetti. Si tratta di una strada difficilissima lungo la quale i portuali triestini incontreranno il Ministero dei Trasporti a cui compete approvare la soluzione individuata.
Ma nel frattempo i lavoratori del Porto di Trieste festeggiano la loro vittoria: un risultato reso possibile da una grande solidarietà tra portuali a prescindere dalle imprese di appartenenza. Ai cancelli c'erano i lavoratori di tutte le imprese nelle quali è stato frammentato il lavoro portuale a Trieste. Dove i padroni hanno frazionato il lavoro, la lotta ha ricompattato in maniera mai vista prima i portuali, tutti decisi a non mollare. Il risultato conseguito è assai importante soprattutto se si tiene conto del pesante attacco a cui sono stati soggetti i portuali in questi giorni.
Addirittura è stata agitata la minaccia che le compagnie di navigazione avrebbero spostato le loro rotte sulle vicine Koper e Rijeka. Ma stavolta la solidarietà operaia è stata più veloce dei piani del capitale: portuali sloveni e croati hanno raggiunto Trieste per manifestare solidarietà ai portuali in lotta e, soprattutto, per sottoscrivere un documento con il quale i lavoratori dei tre paesi adriatici si impegnano ad evitare forme di concorrenza tra loro.
I portuali sloveni si riconoscono nella lotta dei colleghi triestini anche dal punto di vista della segmentazione: "Da noi i portuali rimasti alle dipendenze dello Stato sono tutelati dal contratto nazionale; ma quelli dipendenti dalle imprese private vivono condizioni di schiavismo: ricevono dai 2 ai 5 euro all'ora, arrivano anche a 420 ore di lavoro al mese e sono costretti a fare anche tre turni consecutivi".
Addirittura i principali terminalisti di Trieste si sono spinti ad attaccare le richieste dei lavoratori bollandole come un "tentativo di riportare i porti al vecchio monopolio della Compagnia". Ma di quale monopolio stiamo parlando?
Potrebbe spiegarcelo Samer Shipping che dispone di ben 4 autorizzazioni in altrettanti terminal nel solo Porto di Trieste parte delle quali concentrate nelle stessa tipologia di servizio (traghetti).
Oltre ad aver acquistato Seaway e parte della società Minerva. E forse, a proposito di monopoli, avrebbe qualcosa da dirci anche Maneschi che al tempo stesso è agente generale di Evergreen Italia, terminalista al Molo VII con TMT, proprietario di una quota della cooperativa Primavera e di una quota della Minerva. Oltre che della Compagnia di Monfalcone.
In questi anni si è perseguita nel Porto di Trieste la compressione del costo del lavoro anche arrivando a strangolare quelle imprese che cercavano di applicare il contratto nazionale di lavoro.
Tra queste, appunto, la Primavera che applicando correttamente il contratto nazionale e le disposizioni in materia di sicurezza si è trovata con il Bilancio in rosso a causa di una tariffa ormai insufficiente a coprire i costi vivi: "se la compagnia, prima del 2005, operava con una tariffa di 20,6 euro; adesso dopo anche aver tolto i mezzi meccanici, la tariffa pagata dai terminalisti è crollata a circa 6 euro: con queste cifre reggere è impossibile per chiunque".
Una soluzione per superare la frammentazione del lavoro portuale e fornire maggiori garanzie salariali e sociali ai portuali era stata avanzata proprio dalla Primavera con uno specifico Piano Industriale che avrebbe messo assieme quattro cooperative in grado di ricevere lavoro da due terminalisti. Il progetto non ha ricevuto risposta. Molto meglio lasciar morire queste realtà per poter disporre in maniera ancor più libera del lavoro portuale.
Per questo la battaglia al Porto di Trieste sarà ancora dura e lunga.
I "muli" hanno vinto la prima tappa, ma presto saranno di nuovo nel mirino. Non vanno lasciati soli.


Liberazione 27/05/2011, pag 5

«L'unità degli operai si può costruire e la rivolta ai Cantieri lo dimostra»

Bruno Manganaro della segreteria della Fiom di Genova

Fabrizio Salvatori
Fincantieri sta diventando una vicenda simbolo, perché da una parte c'è la globalizzazione e, dall'altra, la responsabilità del Governo che oltre a non dare alcun indirizzo di politica economica qui ha le mani in pasta.
Sì, la vicenda ha al centro un'azienda globalizzata di proprietà del Governo, un'azienda leader europeo se non mondiale, che in assenza di nuove idee e nuovi progetti ha tentato di vivacchiare seguendo solo la strategia finanziaria. Due anni fa tentò addirittura la via della borsa, un modo come un altro per arraffare un po' di soldi e non porsi interrogativi sulla rotta da seguire. Stavolta, insomma, non è colpa dell'imprenditore privato ma chiama in causa chi dovrebbe in qualche modo dirigere un paese e una comunità e comunque far andare una politica industriale che ha ricadute sulla vita di decine di migliaia di persone. In più, in Fincantieri ci sono i lavoratori di cinquanta nazionalità di migranti.

Nel taglio con il quale la dirigenza di Fincantieri sta affrontando questa vicenda si potrebbe leggere una drammatizzazione un po' sopra le righe. Perché?
C'è anche questo, certo. Perché nei fatti ci sono amministratori delegati legati alla politica. Non c'è solo il bieco padrone, ma anche chi è molto attento alla politica. Da un lato non ammette le sue reponsabilità, dall'altra cerca la via della drammatizzazione per far intervenire il Governo.

La Lega sta pescando un po' nel torbido con questa ricerca della frammentazione tra siti produttivi del Nord e quelli del Sud.
Alla fine quando c'è una crisi il rischio di dividersi è fortissimo. E questo la Lega lo sa. Però poi qualche antidoto tra i lavoratori ancora esiste. E quindi lo sciopero è stato di tutti e compatto anche se non tutti rischiano allo stesso modo.

E' da anni che Fincantieri segue una politica di forte deregulation...
La sua flessibilità se l'è costruita portando i lavoratori che costano meno in Italia, dove su 8500 diretti il doppio sono informali delle ditte di appalto. A Sestri Ponente su 800 diretti ce ne erano 2.500 delle ditte di appalto. L'altro giorno erano in corteo con noi, alla testa del corteo.

Che cosa è accaduto che in un gruppo leader mondiale decida di chiudere uno stabilimento e mezzo?
Il gruppo dirigente da un lato ha guardato alla finanziarizzazione, ha inseguito altri mercati esteri ma, dall'altro, ha perso il controllo della produzione perché per esempio, ha esternalizzato la progettazione. Insomma, hanno pensato all'oggi e non al domani con in più il fatto che il Governo si è completamente disinteressato delle prospettive. Alla fine si sono ridotti ad un solo prodotto, la nave da crociera, e a un solo cliente, la Carnival.

Elettroencefalogramma piatto?
C'è stasto chi ha pensato di lanciare idee e progetti. Un dirigente come Duccio Valori aveva già formulato un preciso grido di allarme, ma purtroppo la politica, sia del centrodestra che del centrosinistra si è disinteressata alla cantieristica. Se oggi le cose forse potrebbero cambiare lo dobbiamo alla mobilitazione dei lavoratori. A me ha colpito la dichiarazione di un esperto dell'Università di Trieste, che ha parlato, a proposito dell'Eni, di energia da navalizzare. E' quello che stan tentando di fare gli altri paesi.

Qual è stato il ruolo dell'Europa, quello di un grande ammortizzatore sociale?
L'Europa è sicuramente responsabile perché ogni paese è andato per conto suo. Ognuno ha cercato di inventarsi qualcosa per salvare i propri cantieri. Sono nate delle direttive in Europa che dicono che diventa obbligatorio per tutte le navi avere nuovi mezzi di propulsione e di sicurezza e di essere ambientalmente compatibili. Solo che questi rimangono buoni propositi. La realtà è che gli investimenti non decollano. E purtroppo su questo c'è anche un ritardo del sindacato europeo. In questo settore, poi, è palese. Da cosa deriva? Un po' le storie sindacali diverse, tra vecchia e nuova Europa, e un po' per il meccanismo della concorrenza.

Il dato che colpisce di più in questi giorni è la determinazione dei lavoratori.
C'è una ragione in parte anche soggettiva. I lavoratori hanno bisogno di un gruppo dirigente che ci provi. E in questi giorni abbiamo provato a mettere insieme lavoratori diversi. E' quello che ha fatto la Fiom. La cosa che è successa a Sestri Ponente, per esempio, è che sono scesi in piazza proprio tutti. Il corteo delle tute blu dei cantieri si è incrociato con i lavoratori dell'Ansaldo energia, e della Piaggio. Si sono abbracciati e si sono riconosciuti.


Liberazione 26/05/2011, pag 5

Fincantieri, contro il piano tutte le tute blu del gruppo

La mobilitazione ieri scioperi e cortei in tutti i siti produttivi

Ieri è stato il giorno della solidarietà per i lavoratori di Sestri Levante e Castellammare di Stabia. Una solidarietà che arriva da Palermo, dalle Marche, da Monfalcone, da Muggiano e, ancora, da Marghera. Se Fincantieri pensava di isolare e colpire questi due siti produttivi, così come nei programmi della Lega che fin dalle prime ore ha cominciato a tessere il filo della frammentazione tra Nord e Sud, dovrà rifare i suoi conti.
La sollevazione è generale. A scendere in campo contro il piano di Fincantieri è stata anche la chiesa. Il presidente della Cei e arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco. «Abbiamo una battaglia da sostenere - ha detto il suo portavoce -. Non si può azzerare la cultura della cantieristica ligure. Da parte nostra c'è la metteremo tutta, non faremo mancare il nostro aiuto». La Cei, da parte sua, è ancora più esplicita. Monsignor Giancarlo Maria Bregantini in una dichiarazione alle agenzie parla di «collera dei poveri». «Prepariamoci», aggiunge in modo sibillino.
I lavoratori, intanto, l'aiuto se lo danno da soli. A Marghera (Venezia), si è svolta un'assemblea dei lavoratori che hanno attuato due ore di sciopero. Nei cantieri di Monfalcone (Gorizia), Muggiano (La Spezia) e Palermo, durante le assemblee è stato deciso di proclamare scioperi di sette o otto ore e di organizzare cortei per le vie cittadine. «In particolare, a Palermo e a La Spezia i lavoratori - spiega Alessandro Pagano, responsabile cantieristica della Fiom nazionale - si sono diretti in corteo verso le rispettive sedi prefettizie, mentre a Monfalcone sono stati ricevuti in Municipio. Ad Ancona, i lavoratori in corteo hanno raggiunto la sede della Regione Marche dove una delegazione è stata ricevuta dal Presidente che ha assunto impegni relativi alla vertenza in atto».Proseguono intanto le iniziative a Riva Trigoso e a Castellammare di Stabia. Nel cantiere ligure, il presidio ai cancelli va avanti senza soluzione di continuità. A Sestri Ponente venerdì prossimo ci sarà uno sciopero di due ore. I lavoratori invaderanno il centro del paese. E con loro ci saranno i commercianti che hanno deciso di abbassare le saracinesche in segno di solidarietà.
I lavoratori di Castellammare presidiano in modo permanente il Municipio e hanno effettuato volantinaggi sulla statale Sorrentina e nelle stazioni della ferrovia Circumvesuviana. Il sindaco ha chiesto l'intervento dell'esercito. Infine, per la giornata di oggi 26 maggio i sindacati e la Rsu hanno proclamato uno sciopero di due ore dei lavoratori dello stabilimento Isotta Fraschini di Bari.
Il tono dei comunicati sindacali dopo la vasta e dura mobilitazione dei lavoratori di ieri e l'altro ieri, è nettamente cambiato. La Direzione nazionale della Uilm ha rigettato il piano chiedendo soprattutto investimenti. Raffaele Bonanni ha smesso i panni della trattiva a prescindere per vestire quelli del sindacalista "aspro". È vero - ha detto - abbiamo una concorrenza spietata, ma perchè dobbiamo abbandonare questo versante produttivo che fa tanta identità per gli italiani stessi?». «Fincantieri - ha concluso - che è controllata dallo Stato, non può giocare al massacro come sta facendo e deve sapersi reinventare, deve sfidare il sindacato a trovare sistemi di organizzazione del lavoro più efficienti, deve però anche osare di più per trovare acquirenti e soluzioni innovative».
A parlare di "piano da modificare" è addirittura il ministro Maurizio Sacconi. «Modificare il piano industriale di Fincantieri in modo che siano salvaguardati i siti produttivi e l'occupazione», ha detto ieri ribadendo l'impegno del Governo sulla vicenda. «Il Governo ha seguito da sempre la vicenda Fincantieri - ha detto ricordando la caduta della domanda della navalmeccanica - bisogna lavorare a un piano industriale che salvaguardi i siti produttivi e l'occupazione».
Fa. Sal.

Liberazione 26/05/2011, pag 5

«Vergogna, ci state ammazzando». Operai in piazza a Genova, 8 feriti

Marco Veruggio
Genova
Cronaca di un tentato omicidio annunciato, quello della cantieristica italiana. Così si potrebbe titolare il piano industriale presentato lunedì dal Gruppo Fincantieri. Chiusura completa dei cantieri di Genova e Castellamare, riduzione drastica a Sestri Levante, in tutto 2500 esuberi, un dipendente diretto su quattro, il grosso in Liguria e Campania, il resto negli altri stabilimenti. Senza contare gli effetti sull'indotto. E poi un intervento "marchionnesco" su pause, riposi, turni, premi, diritto di sciopero, che toccherà anche i cantieri formalmente al riparo (per ora) dalla "cura dimagrante".
A Genova i lavoratori sono stupiti e arrabbiati e ci sono momenti di tensione davanti alla Prefettura, otto lavoratori sono stati feriti durante la carica della polizia, mentre a Riva Trigoso veniva occupata l'autostrada e invasa pacificamente una scuola, raccogliendo la solidarietà degli studenti. Si aspettavano una ristrutturazione pesante, non la chiusura.
Rabbia contro il governo e il ministro Romani, che ai sindacati non propone all'inizio neanche un incontro, ma chiede di «stare tranquilli che nessun cantiere verrà chiuso». La Lega dà lezioni di federalismo: in Liguria chiede le dimissioni di Giuseppe Bono, l'amministratore delegato di Fincantieri, mentre il giorno prima Castelli a Genova spiegava che gli esuberi «sono colpa del mercato». Ciascuno a difesa del proprio serbatoio elettorale e tutti contro tutti.
Ma i lavoratori chiedono anche un intervento serio delle istituzioni. Il Sindaco Vincenzi, pochi giorni fa annunciava di avere in tasca un accordo con Fincantieri per rilanciare Sestri, grazie ai finanziamenti pubblici per il "ribaltamento a mare", ma lunedì arriva l'annuncio della chiusura. Possibile che nessuno avesse subodorato i piani di Bono? D'altra parte i lavoratori nel dicembre 2009 avevano occupato per cinque giorni lo stabilimento non solo per protestare contro la cancellazione, in alcune città, di un premio di produzione, ma anche perché avevano capito che si trattava di un segnale premonitore.
E oggi siamo al dunque. Bruno Manganaro, segretario della Fiom, esce dalla Prefettura riferendo le parole del ministro Romani e dichiara: «Ci stanno prendendo in giro, ma noi di qui non ce ne andiamo». Sotto un caldo torrido i lavoratori restano per ore, all'ora di pranzo giunge la disponibilità a un incontro per il 3 giugno. Ma a quel punto le parole contano poco «l'attenzione che ci presta il governo l'abbiamo capita davanti alla prefettura», aggiunge Manganaro riferendosi con amara ironia alle manganellate prese. Mancano pochi minuti alle 16 quando giunge il fax che ufficializza l'appuntamento, per quel giorno i lavoratori torneranno a farsi sentire.
I cantieri navali nel mondo oggi utilizzano solo il 65% della propria capacità produttiva e resistono alla crisi solo dove c'è l'intervento pubblico. Sarkozy ha finanziato una commessa Msc ai cantieri STX-France. Merkel ha fatto megainvestimenti strutturali ai cantieri Meyer Werft. Obama offre a Fincantieri di produrre navi nei cantieri americani assumendo manodopera locale. Invece una commessa Carnival a Fincantieri segna il passo per problemi di finanziamento. Per questo in Liguria Rifondazione dice: «Servono investimenti pubblici e nuove produzioni. Germania e Francia lo hanno fatto. Perché noi no?». Segue la proposta di un coordinamento nazionale di tutti gli enti locali coinvolti, per chiedere il ritiro del piano industriale e investimenti pubblici ed evitare che i lavoratori dei diversi cantieri vengano messi in concorrenza tra loro. I lavoratori scioperano compatti in tutta Italia. I partiti "amici" farebbero bene a seguire il loro esempio.


Liberazione 25/05/2011, pag 3

Fincantieri, esplode la rabbia dei lavoratori Incontro il 3 giugno

Fabrizio Salvatori
Il Comune di Castellammare di Stabia rivoltato come un calzino, la statale Sorrentina bloccata in due diverse riprese, Genova, attraversata dalla protesta delle tute blu contro la prefettura, ad un passo dallo sciopero generale chiesto addirittura dallo stesso sindaco, Marta Vincenzi; e infine il casello autostradale di Sestri Levante bloccato dalla protesta dei lavoratori. E senza contare Ancona che, pur non immeditamente coinvolta, ha espresso tangibilmente la propria solidarietà. Solidarietà nel capoluogo ligure, anche dai lavoratori di Ansaldo Energia, Piaggio Aero Industries, Ilva e Selex Communications.
E' questo il "No" al piano di ristrutturazione "lacrime e sangue" della Fincantieri. Il bilancio non si chiude qui, però. Per il momento il iminstro Paolo Romani ha trovato l'escamotage di un incontro fissato il 3 giugno, ma non servirà certo a ridurre la tensione. I lavoratori hanno già fatto sapere però che a quel tavolo lui non lo vogliono vedere nemmeno dipinto. A quel tavolo ci vogliono i big, ovvero Giulio Tremonti o Gianni Letta. Le questioni da discutere sono della massima importanza. Stavolta il Governo non se la può cavare con una pacca sulla spalla come con Fiat. Intanto, a mobilitarsi sulla partita della cantieristica è la Commissione europea. Il vicepresidente dell'esecutivo comunitario, Antonio Tajani, ha assicurato che sarà fatto tutto il necessario per mette in campo gli strumenti di cui l'Europa dispone, in primo luogo il "Fondo europeo di aggiustamento per la globalizzazione". Da questo Fondo potrebbero venire aiuti per alcune decine di milioni di euro per fronteggiare l'emergenza occupazione.
La chiusura di due cantieri, più il ridimensionamento di un terzo stabilimento, che in totale fa circa 2.551 esuberi, pesano. Il piano prevede la chiusura dei cantieri di Castellammare di Stabia (Napoli) e Sestri Ponente (Genova), e il ridimensionamento di Riva Trigoso (Genova). Per quest'ultimo è previsto il mantenimento della parte meccanica e il trasferimento (insieme ad una parte dei dipendenti) della costruzione navale militare a Muggiano (La Spezia). La chiusura dei due stabilimenti (non viene considerato esubero lo spostamento di lavoratori da Riva Trigoso a Muggiano), riguarderà 1.400 lavoratori. Mentre gli altri 1.150 esuberi interesseranno gli altri siti del gruppo. Complessivamente 2.551 esuberi, pari al 30% della forza lavoro attualmente impiegata nel Gruppo (8.500 persone in 8 cantieri). Di questi però, precisa l'azienda, alcuni accetteranno la mobilità interna, altri gli incentivi all'esodo, altri la cig. Dal conteggio sono ovviamente esclusi gli addetti dell'indotto.
Questi numeri, ha spiegato Bono ai sindacati, servono a far fronte ad una situazione drammatica: a livello mondiale la domanda armatoriale, dal 2007 al 2010, ha subito un crollo del 55%; in Europa in trent'anni la quota di mercato complessiva della domanda armatoriale è crollata dal 30% al 4% e in 2 anni (2008-2010) si sono persi 50 mila posti di lavoro (circa il 30% della forza lavoro). Quello che non dice Bono è che quello di Fincantieri più che un "pianoù" è una "pezza" in pura chiave difensiva. Da questo punto di vista la situazione sembra del tutto simile a quella della Fiat: totale incapacità dell'azienda a far fronte alla competitività in termini di innovazione. Da qui l'utilizzo dello strumento più immediato, il costo del lavoro. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom l'ha definito un piano «inaccettabile», evidenziando la «pericolosa assenza del governo». Anche il segretario nazionale della Uilm, Mario Ghini, chiede di riprendere il tavolo al ministero dello Sviluppo e definisce non accettabile un piano in cui la soluzione del rilancio di Fincantieri passi attraverso la riduzione dei siti e la riduzione occupazionale. Boccia il piano anche la Fim («rinunciatario») che chiede un «cambio di impostazione». Raffaele Bonanni, invece, ha subito colto l'occasione per riproporre il "modello Fiat", ovvero trattativa a partire dal "ricatto occupazionale". Di tutt'altro segno ilgiudizio della Fim-Cisl di Genova. «Quello che ci hanno presentato - ha detto il segretario generale Claudio Nicolini - non è un piano industriale ma una vera e propria dichiarazione di guerra, da demolire da cima a fondo».
Sale intanto la preoccupazione non solo tra i lavoratori dei siti a rischio, ma anche tra gli amministratori locali. Alcuni di loro, in un primo tempo, avevano interpretato il piano Fincantieri come positivo: il Governatore della Liguria Claudio Burlando lo ha definito «inaccettabile» convocando subito un vertice per decidere le iniziative da prendere; il Governatore campano Stefano Caldoro ha chiesto un tavolo con il Governo e punta ad un'intesa che possa salvare Castellammare.
«Esprimo il nostro pieno appoggio alla lotta dei lavoratori Fincantieri - ha detto il segretario del Prc Paolo Ferrero -. Il piano della Fincantieri è inaccettabile per la chiusura di due cantieri e i pesanti e negativi effetti occupazionali che produce». «Il governo invece di mandare la polizia a pestare gli operai - ha proseguito - dovrebbe intervenire su Fincantieri per bloccare il piano obbligando l'azienda a presentarne un altro». «Per parte nostra - ha concluso - stiamo dando e daremo una mano agli operai in tutti i modi per impedire la chiusura dei cantieri ed imporre il ritiro del piano».


Liberazione 25/05/2011, pag 2

«No alla guerra delle braccia» I lavoratori bloccano il porto

Trieste I sindacati costretti allo sciopero. La solidarietà dei portuali genovesi

Matteo Gaddi
I lavoratori bloccano il porto di Trieste, le organizzazioni sindacali si vedono costrette a proclamare lo sciopero generale dei portuali triestini e in risposta alle agitazioni dello scalo triestino, arriva la solidarietà dei portuali genovesi con messaggi di sostegno alla lotta dei loro colleghi e compagni.
I porti italiani tornano ad infiammarsi, ad accendere la miccia è la vicenda della messa in liquidazione della Cooperativa Primavera che opera nel porto di Trieste nell'ambito di quello che in gergo portuale è "l'articolo 16": cioè lavori di carico e scarico delle navi, trasbordo, deposito, movimento merci e altri servizi portuali. Operazioni e servizi svolti a favore dei terminalisti: i nuovi padroni dei porti post-privatizzazione che, operando in regimi di semi monopolio e senza essere soggetti ad alcun controllo pubblico, possono permettersi di dettare legge negli scali italiani. A partire, ovviamente, dal fronte del lavoro, da sempre nel mirino di chi intende spazzare via diritti e tutele per allargare a dismisura i propri profitti.
Se nel porto di Genova il nemico principale dei padroni delle banchine è la storica Compagnia Unica, a Trieste, l'elevata frammentazione del lavoro ha già creato un terreno favorevole ad ulteriori giri di vite. Infatti, anche quel poco che era rimasto della Compagnia Portuale è stato spazzato via dall'offensiva dei terminalisti che ora dispongono del controllo più assoluto sul "lavoro temporaneo" (articolo 17) avendo essi stessi costituito la società Minerva che si occupa delle prestazioni da rendere nei "picchi di lavoro". E dove non arrivano direttamente, i terminalisti scelgono di strangolare gli altri soggetti che organizzano il lavoro nel porto in modo da imporre le condizioni che loro stessi stabiliscono. Si tratta principalmente delle cooperative, autorizzate ad operare nello scalo triestino da una legge risalente al 1931 e che, prive di qualsiasi sostegno da parte di chi (autorità portuale in primis) dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione delle normative, si vedono costrette a sopravvivere quotidianamente in una selvaggia "guerra delle braccia".
La concorrenza è spietata: nel porto di Trieste sono autorizzate ad operare 34 imprese di operazioni e servizi portuali; essendo in sovrannumero i terminalisti possono metterle in concorrenza tra loro premendo per l'abbassamento delle tariffe. Cioè per abbassare il costo del lavoro e cancellare diritti e tutele. E' proprio questo l'elemento centrale su cui si gioca la quotidiana "guerra delle braccia": nonostante esista una tariffa per le operazioni portuali deliberata dall'autorità portuale, i terminalisti cercano in ogni modo di abbassarla mettendo in concorrenza i lavoratori tra loro. Chi accetta di subire gli abbassamenti tariffari imposti dai terminalisti lavora; gli altri no.
E' stato proprio il meccanismo di compressione del costo del lavoro a segnare il destino della Cooperativa Primavera che occupa 98 dipendenti: il fatturato della Cooperativa nei primi due mesi del 2011 è stato di 640mila euro a fronte di costi pari a 670mila. Questo perché la Cooperativa Primavera applica correttamente il contratto nazionale di lavoro: a dimostrazione del fatto che le tariffe pagate dai terminalisti sono ampiamente insufficienti a garantire stipendi così come previsto dal contratto nazionale. Per questo, il consigliere regionale di Rifondazione Igor Kocijancic era intervenuto sul tema con una interrogazione urgente.
Sono i quattro terminalisti principali (Maneschi, Tmt-Gruppo Gavio, Samer e Pacorini) a decidere le condizioni di lavoro nel porto di Trieste, senza che chi deve controllare la corretta applicazione della tariffa e delle condizioni di sicurezza muova un dito per garantire il rispetto di quanto stabilito.Succede così che non tutti i soggetti operanti in porto applichino il contratto nazionale; che dilaghi il lavoro nero; che le condizioni di sicurezza siano quantomeno preoccupanti. «Nel 2006 bloccammo il porto per quattro giorni - spiegano i portuali - a seguito di un grave incidente: ottenemmo in Prefettura un documento sulla sicurezza: quelle carte sono state prontamente chiuse in un cassetto e sono largamente inapplicate».
Per questo i portuali triestini non si fidano più di accordi e protocolli d'intesa destinati a rimanere soltanto sulla carta. «Oggi siamo qui per la Cooperativa Primavera, ma domani potremmo ritrovarci a bloccare il porto per uno qualsiasi degli altri soggetti che vi operano: per questo la battaglia di questi giorni è di tutti i lavoratori portuali». I portuali triestini chiedono che si superi la frammentazione del lavoro in tante imprese, tutte in spietata concorrenza tra loro; che venga costituito un unico soggetto del lavoro portuale; che venga applicato a tutti il contratto nazionale e che le tariffe pagate dai terminalisti consentano di coprire l'intero costo del lavoro, così come stabilito dalla norme.


Liberazione 22/05/2011, pag 5

Brescia, migranti e antirazzisti occupano il sagrato del Duomo. Bloccati i permessi di soggiorno

A Brescia i permessi di soggiorno restano "bloccati" e torna in piazza la "protesta della gru". Circa duecento migranti infatti, dopo un incontro con la Prefettura, ieri hanno deciso di occupare nel tarda mattinata il sagrato del Duomo di Brescia. La protesta è scattata all'uscita della delegazione composta dagli avvocati dell'Associazione Diritti per Tutti Manlio Vicini e Sergio Pezzucchi, alcuni rappresentanti del "Presidio sopra la Gru" e un rappresentante del Coordinamento immigrati della Cgil. «E' andata malissimo». Queste le prime parole pronunciate al megafono da Arun, del Presidio sopra la Gru, a quanti aspettavano notizie davanti alla Prefettura. Dopo una rapida consultazione si è deciso per la protesta d oltranza a partire dall'occupazione del sagrato del Duomo. I manifestanti, infatti, contestano il mancato rilascio dei permessi di soggiorno dopo che la sentenza del Consiglio di Stato ha bocciato definitivamente la circolare Manganelli, che impediva la regolarizzazione all'interno della sanatoria (truffa) del 2009 ai migranti che avevano ricevuto un provvedimento di espulsione antecedentemente alla richiesta. Il vescovo di Brescia Luciano Monari, intorno alle 14, dopo un lungo dialogo con i migranti ha dato l'autorizzazione a restare sul sagrato senza limiti di tempo, a patto di non appendere striscioni e di lasciare libero accesso alla chiesa. E i manifestanti hanno poi deciso di passare la notte sul sagrato del Duomo in attesa di incontrare il prefetto lunedì e non venerdì prossimo come previsto.


Liberazione 22/05/2011, pag 5

La differenza la fa il lavoro

Giorgio Cremaschi
Nei ballottaggi di Milano e Napoli la differenza la può fare il lavoro.
Milano è stata per anni la capitale ideologica dell'esaltazione della flessibilità. Centinaia di migliaia di giovani, e anche meno giovani, sono entrati nelle nuove professioni, come nelle vecchie, nel lavoro cognitivo come in quello materiale, sull'onda di una campagna ideologica che, iniziata con la "Milano da bere" di Bettino Craxi, prometteva carriere prestigiose e ricchezza a chi, pur nella precarietà, fosse capace di arrangiarsi.
Questa Milano è stata la base ideologica di Berlusconi, del suo blocco sociale, del suo modello di società. Ora questa Milano è profondamente in crisi. Milano è diventata anche la città della precarietà giovanile, ove intelligenza, cultura e professionalità sono sprecate e disperse in miriadi di contratti capestro, siano essi di lavoro dipendente, siano essi partite Iva o quant'altro. La Milano postfordista è diventata così la Milano di San Precario, delle mobilitazioni dei giovani, della ricerca delle strade nuove per la conquista dei diritti e della dignità del lavoro. Anche la mobilitazione dei disabili, i loro fischi alla Moratti e a Formigoni, sono il segno di una città e di un mondo del lavoro frantumato e disperso che si sta riorganizzando e che sicuramente non crede più alle favole di Berlusconi, degenerate, è bene ricordarlo, nella risposta data a una giovane precaria che chiedeva del suo futuro: «sposare un milionario». Ma questa città dei lavori nuovi, delle nuove professioni, improvvisamente due anni fa si è incontrata con la più tradizionale delle lotte sindacali. Quella dei 50 operai specializzati metalmeccanici dell'Innse, che dopo una durissima occupazione durata più di un anno, sono riusciti a vincere la loro vertenza salendo, per primi, sulla loro gru e inaugurando così un modello di protesta sociale. Davanti ai cancelli della fabbrica, presidiati da ingenti forze di polizia, in quei giorni
c'erano tantissimi giovani del lavoro precario. Coloro che, secondo l'ideologia dominante, avrebbero dovuto sentirsi i più lontani da quella vertenza di operai metalmeccanici. E invece quella lotta riuscì a mobilitare una solidarietà civile e culturale enorme, che scosse la città. Il ministro Tremonti, quando gli operai vinsero, dichiarò che quella era la più bella notizia che aveva ricevuto in quell'anno.
Peccato però che in quei mesi i più tenaci avversari degli operai, coloro che avevano spinto perché venisse chiusa la fabbrica e trasformato il tutto in un centro commerciale, erano la giunta di Milano e, in particolare, la Lega. Sì, proprio quella Lega Nord che si finge popolare e che quei giorni, di fronte alla lotta dell'Innse, parlò di esproprio proletario per bocca di un suo esponente di governo. La Milano civile, la Milano dei diritti di cui parla Pisapia, è anche la Milano dei diritti del lavoro, quello più antico e quello più nuovo, quello delle fabbriche come quello del lavoro diffuso nell'informazione e nella commercializzazione.
A Napoli la questione lavoro è la priorità delle priorità. Tutto ruota attorno ad essa. Il dilagare del lavoro nero e del caporalato, delle clientele e delle discriminazioni, che sfruttano drammaticamente la disoccupazione, hanno creato dei veri e propri padroni del lavoro, come denuncia De Magistris, che sono figli dell'intreccio tra criminalità affaristica e criminalità camorrista.
L'attacco ai diritti e al contratto nazionale che in particolare nel Mezzogiorno è un indispensabile bene comune; l'assenza di interventi, piani, programmi di investimento per il lavoro e lo sviluppo degni di questo nome; tutto questo ripropone la questione sociale come la priorità assoluta della città. Già i lavoratori di Pomigliano hanno saputo con grande coraggio dire in tanti no al ricatto di Marchionne, due volte più feroce perché rivolto a un Mezzogiorno nel quale la distruzione delle fabbriche, come la Fiat ha fatto a Termini Imerese, è una vera e propria devastazione sociale. In tutta Napoli c'è oggi una domanda di riscatto che vuol dire una speranza per il lavoro per sé, per i figli, per il futuro. Il candidato del centrodestra viene dai meandri della Confindustria napoletana. E' dunque uno dei principali artefici, economici prima che politici, del disastro sociale della città. Presentarlo come il nuovo è un imbroglio misero, privo di qualsiasi efficacia. A Napoli le lotte per la legalità, il risanamento ambientale, la giustizia e la democrazia, hanno sempre un preciso riscontro e versante nella lotta per il lavoro. La mobilitazione del lavoro che si può mettere in campo mentre si riprogetta e si riorganizza la vita della città, dalla raccolta differenziata porta a porta fino al rilancio dei beni comuni e dei beni culturali, tutto questo può sfociare in un vero e proprio piano per il lavoro. Che naturalmente può essere messo in campo solo c'è un profondo cambiamento nei gruppi dirigenti della politica. Ed è questa la speranza che si è raccolta e si sta organizzando attorno a De Magistris.
E' vero, Milano e Napoli paiono oggi i poli opposti della società italiana. Uno il polo della ricchezza e di un modello di sviluppo che vogliamo cambiare, l'altro il polo della devastazione e della subalternità quasi coloniale e quello stesso modello di sviluppo. Milano e Napoli sono le facce opposte della stessa medaglia, esse oggi assieme rappresentano la crisi di quel modello sociale e culturale che Berlusconi ha rappresentato politicamente e che con Berlusconi va oggi in crisi. Per uscire con diritti e democrazia da questa crisi, il lavoro, il diritto al lavoro e i diritti del lavoro, assieme, possono fare la differenza decisiva. E la faranno.


Liberazione 21/05/2011, pag 1 e 3

Storie di un'Italia che lavora

Il libro sui precari

Isabella Borghese
Marianna Madia è appena trentenne. E' parlamentare alla Camera dei Deputati ed anche autrice di "Precari. Storia di un'Italia che lavora" (collana Problemi Aperti, Rubettino editore), con prefazione di Susanna Camusso.
Un "lavoro" questo di Madia che ripercorre gli ultimi tre anni di politiche sul lavoro del governo di centrodestra e racconta di come l'opposizione parlamentare ha lavorato su questi temi. «Mi sono interessata a questi temi - asserisce - più che ad altri aspetti di competenza della commissione Lavoro a partire proprio da una vicinanza "generazionale" e di genere. Precari sono soprattutto le donne e i giovani anche se il fenomeno del lavoro con meno o nessuna garanzia si sta espandendo ben oltre la dimensione giovanile. Detto questo non ho mai creduto in una specializzazione della rappresentanza». «Ho scelto di occuparmi di questo tema - aggiunge - non solo per una questione di sensibilità o appartenenza o perché quasi tutti i miei amici vivono la condizione della precarietà, ma perché lo ritengo il tema chiave per l'Italia del futuro».
Marianna Madia è la prima firmataria di una proposta di legge cofirmata da un centinaio di colleghi del Pd e delle opposizioni per l'istituzione di "un contratto unico di inserimento formativo". Si tratta di un percorso che, partendo da un ingresso a tempo determinato per un massimo di 36 mesi, conduce, attraverso un incentivo alla formazione, alla trasformazione in un tempo indeterminato. Si rovescia la logica degli incentivi attualmente in vigore in alcuni contratti, come quello dell'apprendistato. «Con la nostra proposta - chiarisce la Madia - che vede tra i primi firmatari i colleghi Ivano Miglioli, Maria Grazia Gatti e Giulio Santagata, maggiore è la permanenza in azienda e la formazione del lavoratore, maggiori saranno gli incentivi di cui gode l'azienda».
L'Ispra, caso tipico di precariato.
«L'Ispra - interviene Madia - è uno dei tanti enti di ricerca trattati non per ciò che producono per il Paese ma come strumento per fare cassa. Un fare cassa senza molto senso economico. Si spendono soldi per fare concorsi e poi non si assumono i vincitori generando ansie e frustrazioni nei vincitori, si applica il blocco del turn over anche agli enti che si pagano da soli - con commesse e progetti - i propri stipendi. C'è un rigorismo a parole che maschera tanta confusione e nessuna idea».
Un testo, insomma, che affronta il precariato non solo come un contratto a termine ma una generale destrutturazione del mercato del lavoro che va fermata con soluzioni nuove e innovative.
«Quando Giulio Tremonti è venuto a presentare il mio libro - racconta Madia - il ministro, ha notato Lucia Annunziata, non ha mai pronunciato la parola precari. E non credo solo per spirito di contraddizione con me o con Susanna Camusso, che ha firmato la prefazione del libro ma perché è un problema che non appartiene al suo orizzonte culturale».


Liberazione 19/05/2011, pag 11

Ecco chi manda avanti la giustizia: i precari

Roma Tribunale

Negli uffici giudiziari del Tribunale di Roma, dopo un addestramento adeguato, lavorando insieme agli altri addetti e conseguendo una formazione preziosa sia a livello personale che professionale, siamo riusciti, noi "Cassa integrati e mobilitati" impiegati da giugno 2010, a raggiungere traguardi importanti in ogni ufficio. E questo non a nostro dire, ma come relazionato anche dalle più alte cariche del Tribunale.
La Cancelleria centrale Gip, per esempio, ha potuto continuare a smaltire l'arretrato delle migliaia di archiviazioni nonostante la perdita di 4 unità di personale per pensionamento; parimenti la Cancelleria centrale dibattimentale ha in parte fronteggiato il pensionamento di alcuni ed il trasferimento di altri.
Lo stesso archivio del Tribunale ha potuto realizzare la sistemazione di migliaia di fascicoli grazie al nostro contributo.
Il nostro Tribunale si ritrova con più di 400 persone in meno nel giro di pochi anni, eppure è il più grande Tribunale d'Europa. Ora per questi 240 tirocinanti a 240 euro mensili a titolo di rimborso spese, perché non provare a trovare la soluzione, la formula contrattuale ed i relativi fondi?
A giugno sarebbero dovuti tornare a casa i primi 70, rendendo vano ogni nostro sforzo, con pesanti ripercussioni per le sedi giudiziarie che, cronicamente sotto organico, pur impegnandosi con ogni forza, sarebbero sprofondate nuovamente nell'arretrato.
Fortunatamente ciò sembra non accadrà fino al 2012, dal momento che la Regione Lazio ha preso questo bando di tirocinio per la Giustizia dalla Provincia che ne è stata l'ideatrice e la regista fino ad oggi per farne una sua iniziativa.
In seguito ad un incontro tenuto lo scorso maggio a Civitavecchia, l'assessore al Lavoro della Regione Lazio ci ha informato di avere provveduto al traghettamento del nostro Ente di Gestione (da Provincia a Regione) e che saremo tutti confermati fino a dicembre 2012 e con un aumento sensibile sul rimborso (si arriverà a 600 euro mensili), ma saremo sempre tirocinanti.
Cosa accadrà a dicembre 2012?
Calendario Maya a parte, dovremo sempre avere questa spada di Damocle sulla testa?
Potremo tornare ad avere un posto di lavoro considerato che a qualcuno di noi fra l'altro scadrà anche il termine del suo ammortizzatore sociale?
Si è parlato a Civitavecchia di Cantieri di Giustizia, come nella scuola, di inserimento di altre figure, ma qual è il vero progetto dietro tutto ciò?
Se ci dovessero mandare a casa dopo tutto questo tempo, questa nostra nuova professionalità acquisita verrà dispersa senza rispetto alcuno, né per noi lavoratori, né per i fondi investiti fino ad oggi e neanche per il Sistema giudiziario, un bene che coinvolge lo Stato nella sua interezza (e quindi ogni italiano).
I fondi ci sono e si possono reperire attraverso un risparmio di spesa ricavato dall'abrogazione della disposizione normativa che prevede l'obbligatorietà della sanzione accessoria della pubblicazione per le sentenze di condanna dei reati di abusiva duplicazione e vendita di Cd privi del marchio Siae. Si tratta di 300mila euro. Le norme in questione, art. 475 c.p., l'art. 2 legge 400/85, l'art. 2 legge 406/81 art.14 2ter D.Leg.vo 286/1998, prevedono addirittura una doppia pubblicazione, su periodico e su settimanale. La tipologia d'autore di questi reati è costituita da extracomunitari che vivono di questi commerci illegali rischiando ogni mese un processo per direttissima; essi hanno nomi molto simili (es. Abdul Ami. Islam Abdul, Abdul Salemi) che lasciano il lettore perfettamente indifferente dinanzi alla pubblicazione dell'estratto della sentenza di condanna.
Le spese di condanna si aggirano intorno ai 1.500 euro a pubblicazione ed il flusso di spesa è di circa 200 pubblicazioni al mese per un importo pari a 300mila euro al mese, vale a dire più di 3 milioni di euro l'anno e solo per il Tribunale di Roma.
Trattasi purtroppo di spese non recuperabili per l'Erario in quanto i relativi destinatari sono soggetti irreperibili e senza fissa dimora.
Sia la funzione general preventiva che la funzione special preventiva della pena vengono meno in questi casi.
La burla finale si introduce con l'art. 67 della legge 69/2009 che al comma 1 prevede la possibilità che il Giudice penale possa disporre la pubblicazione della sentenza penale di condanna sul sito Internet del ministero della Giustizia;
Attenzione, il ministero ha chiarito - a seguito del quesito posto dalla Procura di Roma - che non si tratta di una modalità alternativa rispetto alla ordinaria pubblicazione su giornale. In definitiva con quegli importi si paga un mero trafiletto di giornale letto da nessuno che rinvia alla pubblicazione sul sito: ma a cosa serve ci domandiamo noi che paghiamo?
La semplice regolarizzazione di queste 70 unità comporterebbe una spesa complessiva mensile di circa 2mila euro a persona e quindi per l'Erario di 140mila al mese per tutte le 70 unità.
Il ministero della Giustizia potrebbe addirittura risparmiare altri 160mila euro mensili, regolarizzando in seguito alla prossima scadenza altre 80 unità per un totale di 150 posti di lavoro a costo zero.
Tutto ciò aiutando l'Ufficio giudiziario più grande d'Europa e togliendo dalla strada dalla disoccupazione persone su cui ha fatto da un anno un investimento formativo.
I lavoratori "Cassa integrati e mobilitati"


Liberazione 19/05/2011, pag 11

Guadagni decurtati, niente buoni pasto e lunghe liste di attesa

Anzio-Nettuno e Velletri Asl Roma H

Publio Razza*
Da quando è arrivato come direttore generale il signor Alessandro Cipolla, i dipendenti dell'Azienda ospedaliera Asl Roma H, che è molto vasta, si sono visti decurtare i loro guadagni, in quanto spetterebbero loro compensi che equivalgono alle incentivazioni del 2008, 2009, per il 50% e tutto il 2010 e 2011 al 100%, inoltre mancano tutti i buoni pasto a partire dal febbraio 2009 ad oggi.
E' interessante sapere che ai medici invece - e comunque a tutti i laureati - sono stati regolarmente saldati, perché? Mi sono battuto, come sindacato e personalmente, per fare avere a tutti i lavoratori i loro compensi passati, anche con una raccolta firme che ha avuto successo, ma fino ad oggi nulla, perché?
Le liste di attesa per prendere appuntamento per una normale visita ambulatoriale superano tranquillamente anche i 12 mesi di attesa, mentre in altri ospedali romani si attende circa 90 giorni o poco più; questa è la situazione del distretto H 6 di Anzio e Nettuno (Roma), dove il 20 aprile il primario del Sit di Velletri annunciava con una assemblea presso gli Ospedali Riuniti di Anzio e Nettuno che dal 1° maggio si sarebbe chiuso il centro trasfusionale dell'ospedale stesso, che serve un bacino di utenza di circa 100mila persone di inverno e fino a 300mila d'estate per Anzio, Nettuno, Ardea e Pomezia.
C'è da specificare che il 66% dei prelievi per trasfusione vengono fatti nell'ospedale di cui parliamo e il rimanente nella struttura di Velletri, che comunque non potrebbe garantire l'emergenza ove necessitasse, perché i 37 km di distanza dal Sit porterebbero all'aggravio di spese di trasporto del sangue, per le prestazioni di estrema necessità che dovrebbero essere garantite dal Centro di Velletri, ma che comunque, secondo i medici interessati del settore ematologico e del pronto soccorso, non potrebbero essere certe in quanto il bisogno di prove crociate e di tracciabilità del sangue stesso potrebbe ritardare inesorabilmente la trasfusione al paziente in gravi condizioni, stabilite dal servizio di triage. Le scorte di sangue, che rimarrebbero nell'ospedale, sarebbero di 6 sacche Rh negativo che, una volta trasfuse, verrebbero meno anche a quelle persone che hanno un sangue definito raro, cioè dello stesso gruppo sanguigno.
*dirigente sindacale Usb già Rdb-Cub della Azienda Asl Roma H


Liberazione 19/05/2011, pag 11

L'ombra degli appalti si allunga sui diritti

Pisa Comune

Federico Giusti
«Sono anni che chiediamo un sistema di controllo sugli appalti comunali, non regole fittizie per vendere una immagine di efficienza della Pubblica amministrazione smentita ogni giorno dai fatti»: inizia così una lettera aperta scritta dai Cobas alla stampa pisana per denunciare la situazione di molte lavoratrici.
Parliamo al femminile perché sono in prevalenza donne. Ilenia viene dalla Romania, è iscritta alla Cgil e parla un buon italiano. Marta ha 47 anni, Anna ha superato i 50 e vive con sua figlia lontano da un marito violento. Storie di vita diverse ma con un tratto in comune: il lavoro nelle ditte di pulizia.
«Siamo passate dalle cooperative alle multinazionali, in dieci anni abbiamo seguito sempre le ditte vincitrici dell'appalto ma il lavoro è rimasto a tempo determinato, eppure i carichi di lavoro sono in aumento come i palazzi da pulire. Le più fortunate arrivano a 950 euro al mese, la media è di 600 euro, uno stipendio con cui non si vive e se non hai un compagno devi inventarti un secondo lavoro. Servirebbero più ore e poi come si giustifica la differenza di 102mila euro all'anno tra l'offerta presentata da una ditta (poi esclusa) e la seconda classificata? Sono cifre da destare sospetto...».
«Non bastano - dicono i rappresentanti dei Cobas - le clausole sociali che danno diritto alla conservazione del posto, per questo da mesi chiediamo una audizione in commissione consiliare. Il trucco della Amministrazione è ormai vecchio, fa trascorrere settimane per consentire agli uffici di emettere i bandi e a quel punto ti convocano quando ormai non hai più margini di manovra, non puoi incidere sull'appalto, sui contenuti, sulle ore assegnate, sugli organici. Prendiamo alcuni esempi: nel vecchio appalto (ancora vigente) della refezione si indicavano sei ore per le cuoche che poi sono diventate 5, nell'appalto per i cimiteri era previsto un certo organico». Se nel primo caso registriamo un ingiustificato ribasso di ore e di salario nel secondo abbiamo avuto per anni un organico ridotto, inferiore non solo alle reali necessità del servizio ma anche ai numeri indicati dal capitolato di appalto.
«La Manutencoop di Bologna non è una cooperativa qualsiasi, agisce come multinazionale nel settore dei multiservizi - continuano i Cobas - utilizza personale su più appalti (cimiteri, Cnr) e aggira ogni eventuale contestazione con un conteggio a ore e non per unità di personale».
Sandro Giacomelli del Cobas Lavoro privato parla dello stato di agitazione dei cimiteriali costretti a turni flessibili e a prolungare ogni giorno il loro orario di servizio perché manca il personale, spiega come la situazione negli anni sia decisamente peggiorata e di un ruolo "vessatorio" del Comune i cui sorveglianti «spesso se la prendono con i dipendenti esternalizzati senza vedere organici e condizioni di lavoro».
«Abbiamo scritto ai giornali locali ma non hanno pubblicato un rigo, segno che i poteri economici e quelli politici si intrecciano e costituiscono un bavaglio alla informazione democratica»
E i controlli del Comune? Le delegate Rsu del Cobas hanno le idee chiare: «Manca proprio il controllo del Comune perché si scrivono cose nei capitolati di appalto e nel corso d'opera (aggiudicato l'appalto e organizzato il lavoro) tutto cambia. Chi avrebbe dovuto controllare, cosa ha fatto negli anni? Praticamente nulla, neppure i capitolati sono stati rispettati, eppure dovrebbero essere punti fermi per l'Amministrazione comunale».
Non incontrando i Cobas, i consiglieri comunali hanno evitato di affrontare il nodo delle ore e dei salari di queste lavoratrici, la politica ha abdicato al suo ruolo di controllo e di direzione. Questa scelta si capisce meglio se vediamo la recente riorganizzazione della macchina comunale con due dirigenti rottamati per 193mila euro, dirigenti ai quali sono stati dati incarichi di coordinatore per i prossimi mesi. Tutto ciò stride con un'altra realtà, quella che accomuna i lavoratori delle fabbriche e del Comune che vanno in pensione dopo 40 anni con 1.200 euro. Sono ormai caduti gli steccati tra il lavoro nel Comune e nelle ditte esternalizzate. I processi in atto nella Pubblica Amministrazione, gli appalti al ribasso, l'assenza di programmazione e controllo si ripercuotono negativamente su migliaia di uomini e donne che guadagnano una miseria, per i quali il futuro è sempre più nero tra pensioni da fame e un salario mensile inferiore alla soglia della povertà. I soli a non capirlo sono gli amministratori del Pd, seguiti a ruota da gran parte del mondo sindacale che continua a vivere nel mondo della concertazione.


Liberazione 19/05/2011, pag 10

Il modello Marchionne fa danni anche nella sanità

Roma San Filippo Neri

Angelo Di Giovanni*
Ha fatto installare telecamere e grate alle finestre a «protezione della propria incolumità fisica», ha spostato parte della vigilanza sempre per lo stesso motivo, poi ha iniziato a prendere visione dei numerosi traffici che si svolgevano con tranquillità nell'ospedale da parte dei medici, della dirigenza aziendale e dei vari sindacati. A tutt'oggi dalla direzione generale, tenuta saldamente in mano dal dottor Domenico Alessio, grande amico dell'onorevole Lorenzo Cesa, già condannato nell'ambito dei processi di tangentopoli, non sono partite denunce, ma il clima al San Filippo è decisamente cambiato. Lui intanto ha rivisto quasi tutti gli appalti, dalla mensa al riadattamento di tutto il centro stampa e quant'altro. Contemporaneamente ha iniziato uno spietato attacco alle condizioni di lavoro dei lavoratori dell'ospedale, con il pretesto di importare in questo nosocomio la famosa produttività e meritocrazia. Di meritocrazia e legalità a tutt'oggi non si è visto nulla, ma si vive una costante privazione dei diritti e delle regole contrattuali.
E' partito un attacco all'orario di lavoro per coloro che effettuano il turno h 24 togliendo la "mezz'ora tecnica", poi si è passato al personale gravemente malato ricalcolando tutti i periodi di malattia e, dove è stato possibile, decurtando soldi in busta paga o mandandoli in pensione. C'è da dire che in precedenza le patologie gravi non venivano conteggiate nel novero delle malattie ordinarie e lo stipendio rimaneva invariato anche dopo aver superato i 270 giorni del contratto.
Non si è più autorizzata nessuna flessibilità oraria, neanche con l'autorizzazione dei dirigenti del servizio e si sta cercando di eliminare anche quelle precedentemente accordate come è accaduto ultimamente proprio ad una iscritta ai Cobas che è dovuta ricorrere alla Direzione provinciale del lavoro, ma neanche tale autorizzazione è sufficiente per questa azienda.
A dicembre si è firmato un accordo per un passaggio orizzontale di categoria (fascia stipendiale) che ha penalizzato, sempre in nome della produttività e della meritocrazia, tutti quei lavoratori, ma soprattutto quelle lavoratrici, che negli anni 2008/09 si erano assentati "troppo" per malattia grave, parto, assistenza ai propri figli, assistenza a parenti malati (legge 104), infortunio sul lavoro, ed anche per motivi di studio.
L'Sppr (servizio di prevenzione e rischi dell'ospedale) è stato affidato ad un medico precario, quindi in mano alla direzione per quanto riguarda l'eventuale rinnovo del suo mandato, che sta rivedendo in forma estremamente restrittiva tutte le precedenti prescrizioni del personale e di coloro che in questo periodo ne fanno richiesta.
Ovviamente si sono intensificate tutte le più svariate modalità di attacco e di repressione contro i pochi che si oppongono a questa dirigenza, dai provvedimenti disciplinari su motivazioni molto discutibili al costante divieto delle assemblee dei lavoratori richieste, alla costante presenza delle "forze dell'ordine" ogni qualvolta si è tentato di opporci a tale strategia aziendale.
Per ultimo, ma non per importanza, il licenziamento di una infermiera professionale regolarmente assunta con contratto a tempo indeterminato in questo complesso ospedaliero che per non aver portato nei primi 3 giorni di malattia il certificato medico nel 2010 si è vista protagonista di un provvedimento disciplinare con esito finale il licenziamento deliberato con termine perentorio del 15 giugno 2010. La dipendente è una donna gravemente malata con problemi psichiatrici, riconosciuti anche dalla dirigenza infermieristica che a suo favore ha inviato all'Ufficio provvedimenti disciplinari una relazione dove si evince che il ritardo non ha creato problemi al servizio e che quando la dipendente lavora ha sempre svolto con diligenza e professionalità le sue mansioni, ma evidentemente questa dirigenza vuole tagliar fuori tutti quei soggetti "troppo spesso assenti". Si vocifera che ci siano altri casi in discussione per un eventuale licenziamento, tutti soggetti deboli e gravemente malati. Tutto nel più totale silenzio sindacale.
*ex Rsu Cobas


Liberazione 19/05/2011, pag 10

Squadrette antisciopero

Fabrizio Salvatori
Tra milioni di lavoratrici e lavoratori che non ce la fanno più a sopportare situazioni "ottocentesche", senza garanzie di continuità, in assenza di condizioni minime di sicurezza, con salari da fame e orari sempre più estesi ci sono sicuramente coloro i quali mandano avanti i centri commerciali. I lavoratori e le lavoratrici della catena Leroy Merlin, per esempio, che in occasione dello sciopero generale della Cgil hanno incrociato le braccia presso il centro commerciale Porta di Roma. Guadagnano circa 6 euro l'ora (approssimando per eccesso...), si arrampicano su cumuli di pedane accatastate in spazi ristrettissimi, fanno turni massacranti, specie durante i festivi, subiscono non poche vessazioni e ricatti. Il 6 maggio è stata quindi anche una giornata di lotta per rivendicare "diritti e dignità" alzando la testa di fronte a quello che avviene in continuazione in ogni luogo di lavoro.
La giornata di lotta è iniziata molto presto, con alcune decine di dipendenti del gruppo francese che verso le sette già si trovavano fuori l'ingresso di Leroy Merlin ed altri che hanno aderito allo sciopero pur preferendo non essere fisicamente presenti durante l'iniziativa di protesta; forse anche a causa della ricattabilità dei capetti dell'azienda. Allo scandaloso rinnovo contrattuale del Ccnl del commercio che prevede la bellezza di 86 euro di aumento (lordi, in tre anni) e il mancato pagamento dell'indennità di malattia (per i primi 3 giorni, quelli a carico dell'azienda) si sommano anche le richieste per una diversa organizzazione dei turni festivi e quella di fornire dei buoni pasto come sostegno al già misero salario (40 ore settimanali di lavoro per arrivare solo a sfiorare i mille euro mensili).
Su un totale di 200 dipendenti circa e considerando le condizioni di elevata ricattabilità dell'azienda, finora sorda alle richieste di chi le fa incassare decine di migliaia di euro al giorno, si può dire quindi che questo primo sciopero sia riuscito, specie in reparti come quello della logistica dove spesso si lavora in spazi che definire angusti è un eufemismo, tra macchinari pericolosi e accatastamenti di materiali in pile di diversi metri d'altezza.
Uno sciopero "senza tessere" che l'assemblea dei lavoratori e delle lavoratori ha deciso di effettuare per protestare contro lo stile "avanti cristo" della gestione delle relazioni sindacali da parte della Leroy Merlin.
Non c'erano le bandiere della Cgil, tutte impegnate a sventolare altrove evidentemente, ma la determinazione dei lavoratori che hanno deciso di dire "basta!" a una situazione inaccettabile e che hanno ricevuto la solidarietà attiva dei lavoratori della "Aci Informatica", degli studenti de La Sapienza, di quelli di Tor Vergata e di altre realtà di lotta contro la precarietà. Alcune delegazioni sono giunte sul piazzale di Leroy Merlin a Porta di Roma per dimostrare che le problematiche non sono solo "locali" ma investono ormai molti strati della popolazione.
Per dare maggiore visibilità e forza all'iniziativa c'è stato anche un presidio-assemblea con tanto di volantinaggio e megafonaggio mentre un nutrito dispiegamento di forze dell'ordine (carabinieri, polizia, digos) in tenuta antisommossa era co-presente sul piazzale con tanto di mezzi blindati.
Molti clienti, che anche in giornata feriale hanno affollato il centro commerciale, sono stati convinti a boicottare Leroy Merlin facendo loro notare che essi stessi sono lavoratori, studenti, precari o pensionati e che possono avere gli identici problemi di chi dalle sette di mattina ha deciso di incrociare le braccia: moltissimi hanno dimostrato solidarietà attiva evitando di entrare nell'immenso negozio riponendo il proprio carrello.
L'indignazione di tutti, in primis quella degli scioperanti che riceveranno la propria busta paga alleggerita di settanta euro lordi proprio per la giornata di sciopero, ha raggiunto il livello di guardia non appena si è sparsa la voce che l'azienda aveva contattato una cooperativa esterna (la Eurosat di Fiano Romano) per sostituire illegalmente i dipendenti che si erano rifiutati di prendere servizio. Una voce che poi è stata confermata dalla presenza di vere e proprie squadre di lavoratori avvertite il giorno prima. A far paura alla Leroy Merlin era stato il tam-tam aziendale che dava per quasi totale l'adesione del reparto logistica, il più duro di tutto il punto vendita, allo sciopero.
Questo gravissimo atto di crumiraggio volto a garantire principalmente il fondamentale comparto della logistica è stato pensato per mantenere inalterati i guadagni della multinazionale francese ma ha lanciato un segnale minaccioso nei confronti dei lavoratori dell'azienda: "avete visto, possiamo fare a meno di voi", anche illegalmente. Oltretutto questo provvedimento aziendale poteva (e potrebbe in futuro) creare forti tensioni tra gli stessi lavoratori della Leroy Merlin e quelli delle cooperative, innescando una pericolosa "guerra tra poveri" ed è quindi necessario che vengano presi provvedimenti adeguati per scongiurare il ripetersi di questo episodio. Ci rivolgiamo quindi a tutti quegli organi che dovrebbero vigilare.
Perché mai la giornata di sciopero dovrebbe essere allora trattenuta dalla busta paga dei dipendenti quando vengono impiegate queste squadre di crumiraggio?
E perché invece di decine di agenti in antisommossa lo Stato non assume e invia più ispettori di lavoro?
Domande retoriche, la cui risposta appare scontata.
Ci sia consentita infine una riflessione: molta gente preferisce affollare e "consumare" tempo e denaro in luoghi costruiti per far sembrare tutto bellissimo e a portata di mano ma dove principalmente si "consuma" anche ogni possibilità di liberazione per chi è costretto a lavorare in condizioni pessime. Facciamo tutti parte della stessa catena. E non riusciamo a stabilire tra noi un contatto. Il sindacato non l'ha ancora capito?


Liberazione 19/05/2011, pag 9

Addetti alle pulize in tremila sotto il ministero del Lavoro contro i tagli della scuola

Almeno tremila lavoratori hanno assediato ieri mattina a Roma gli uffici del ministero del Lavoro in via Fornovo per protestare con il taglio dei servizi nelle scuole e il licenziamento di migliaia di addetti. L'iniziativa è stata indetta dai sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil. I ministeri di Scuola, Tesoro e Lavoro hanno aperto un tavolo con i sindacati. Nel pacchetto è stata tolta la "discontinuità" del servizio e le procedure di mobilità. La situazione dei 26mila addetti, tra appalti storici e lavoratori socialmente utili, è piuttosto difficile. Con i tagli alla scuola della Gelmini il pericolo è che il servizio venga affidato a piccole cooperative il cui appalto viene affidato dal preside, o addirittura al personale tecnico della scuola.


Liberazione 19/05/2011, pag 5