giovedì 10 febbraio 2011

«Ci trasferiamo a Detroit» Il gioco al massacro di Sergio Marchionne

Poi l'Ad rettifica ma non sulla chiusura degli impianti. Cgil: incontro urgente
Fabio Sebastiani
Ci si è chiesti spesso in questi giorni come avrebbe fatto l'Ad di Fiat Sergio Marchionne a far dimenticare il misero risultato politico rimediato a Mirafiori. Tempo un paio di settimane, ed ecco la zampata: Fiat pronta ad andar via da Torino. Stavolta non ci sono ragioni particolari legate al comportamento, o prese di posizione, di lavoratori e sindacati. Si fa così e basta. I tempi non saranno immediati, ma la prospettiva viene data come la naturale conseguenza della fusione tra Chrysler e Fiat e dell'incertezza degli assetti societari. In pratica, Fiat potrebbe affrontare, come si capisce tra le righe da una "precisazione" telefonica dello stesso Marchionne al ministro Maurizio Sacconi, un forte ridimensionamento della famiglia Agnelli. E a quel punto non ci sarebbe più nessun legame con Torino.
Il possibile disimpegno da Torino, se non della direzione, a questo punto, sicuramente della produzione, arriva a pochi giorni dall'incontro con il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, che con Marchionne dovrà formalizzare l'accordo di programma per Termini Imerese.
La Cgil chiede subito un chiarimento davanti al Governo in cui finalmente si discuta di piano industriale. Pronta la risposta della Fiom: «La richiesta di un incontro che fanno tutti oggi è tardiva», dice chiaramente Giorgio Airaudo, della segreteria nazionale della Fiom e responsabile del settore Auto. «Se siamo in questa situazione - continua il sindacalista - c'è una gravissima responsabilità del Governo e delle classi dirigenti a tutti i livelli che stanno sottovalutando il rischio per il Paese di perdere la testa del gruppo».
L'annuncio getta nello smarrimento il Pd, che più di chiedere anche lui un immediato intervento del Governo non riesce a dire. «Non mi sorprende. Quando dopo decenni di aiuti, un governo non chiede conto di nulla...», commenta amaramente Sergio Cofferati. «Nessuno conosce il piano industriale di Fiat, cosa che può capitare solo in un Paese come il nostro, dove premier e governo non si sono occupati in prima persona dell'azienda automobilistica». Quanto all'atteggiamento del Pd sulla vicenda Cofferati, tra i più critici nel partito sulla vicenda Mirafiori, si limita a rispondere: «Mi dichiaro prigioniero politico...».
Gli imprenditori torinesi e del Piemonte sono in preda allo sconforto e ricordano che l'indotto rappresenta «qualcosa come 100mila occupati». «In questi anni - aggiungono - hanno dato molto in questi anni per il mantenimento e la crescita della Fiat».
Maurizio Sacconi cerca di tagliar corto: «Una vaga ipotesti non è una decisione», commenta frettoloso.
Tra gli altri, c'è spazio anche per la fantasia. Per Giuseppe Berta, docente alla Bocconi, ed ex responsabile dell'archivio storico Fiat, in prospettiva potrebbero esserci ude teste, una europea e una americana: e perché no, anche una asiatica. In questo contesto, evidenzia Berta, «si capisce meglio anche l'operazione sulla produttività voluta da Marchionne in Italia: saranno utilizzati solo gli impmianti efficienti, che rispettano standard internazionali. Non si può pensare che ci sia un occhio di riguardo per l'Italia».
Per Paolo Ferrero, segretario del Prc, «come dice il proverbio: chi pecora si fa, il lupo se la mangia». «Come avevamo previsto - osserva - Marchionne dopo aver incassato la demolizione del contratto nazionale di lavoro bada solo ai suoi interessi e si prepara a inglobare la Fiat dalla Chrysler. Una vergogna che dimostra come sia stata fallimentare la strada di tutte le forze politiche dal Pd alla Lega di appoggiare Marchionne contro gli operai. Il governo deve intervenire e bloccare il piano di Marchionne per impedire la distruzione della Fiat».
Anche Giorgio Cremaschi ricorda le previsioni sul disastro prossimo venturo fatte, in questo caso, dalla Fiom. «Ormai le intenzioni di Marchionne sono chiare e pubbliche - dice - ed è ora che l'Italia esca dall'ignavia politica di destra e di sinistra che ha permesso all'amministratore delegato della Fiat di usare il patrimonio nazionale della Fiat per diventare capo della Chrysler. Avevamo ragione noi e tutti i complici sindacali e politici di Marchionne avevano torto. Adesso bisogna lavorare per rovesciare il piano Marchionne». E i "complici sindacali" che dicono? Non parlano, ovviamente. A tentare di dire qualcosa è Claudio Chiarle, segretario della Fim-Cisl di Torino, che addossa alla Fiom la responsabilità del dietro front di Fiat.


Liberazione 06/02/2011, pag 2

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