mercoledì 27 ottobre 2010

Sì preventivo al licenziamento, così l'azienda ricatta i lavoratori

In cambio della cassa in deroga, Wagner Colora chiede la firma delle "pre-adesioni"

Matteo Gaddi
Ancora una storia di ricatti nei confronti dei lavoratori; una di quelle da raccontare a Bonanni e a quanti blaterano di "responsabilità" o a coloro che non hanno ancora capito cosa possa significare il collegato lavoro con il suo portato di rinunce per i lavoratori a far valere i loro diritti anche in sede giudiziaria.
Siamo tra Burago e Gessate, nel cuore della Lombardia, uno dei principali centri produttivi del Paese, forse d'Europa. La Wagner Colora, per sottoscrivere un accordo sulla cassa integrazione in deroga, pretende che una parte di lavoratori firmi un documento di pre-adesione con il quale viene accettato il licenziamento che farebbe seguito al periodo di ammortizzatore sociale, rinunciando preventivamente ad impugnarlo. Altrimenti, dichiara l'azienda, non si tratta su niente e si va avanti con i licenziamenti che per 37 lavoratori hanno già preso il via con la ricezione della lettera.
La Wagner Colora è una azienda tedesca che progetta, produce e commercializza apparecchiature e sistemi professionali per la verniciatura a spruzzo con vernici liquide e per il fluid handling (travaso ed estrusione). Nel gennaio 2009 subisce i colpi della crisi come la larghissima parte delle imprese, anche se nel dicembre 2008 la Wagner ha modo di festeggiare un ottimo risultato di bilancio. Nel 2009 si comincia con una cassa integrazione ordinaria a rotazione applicata abbastanza correttamente. Che le cose non siano particolarmente gravi è testimoniato dal fatto che, nonostante l'azienda abbia ottenuto 13 settimane di cassa, quest'ultima viene rotta dopo circa un mese e mezzo.
Per qualche mese, quindi, il lavoro riprende normalmente, ma di lì a poco la situazione peggiora e l'azienda decide di aprire stavolta una procedura di mobilità per 29 unità poi ridotte a 15. Viene concessa anche la cassa straordinaria, motivata da ristrutturazione, per 12 mesi. In questo caso la rotazione della cassa è molto più discrezionale di quella precedente: vengono colpiti innanzitutto i lavoratori iscritti al sindacato. Alla Wagner il sindacato prima dell'inizio della crisi non era mai entrato in fabbrica, è solo nel 2009 che cominciano le prime iscrizioni, subito penalizzate dal ricorso alla cassa nei confronti dei lavoratori sindacalizzati.
Tra aprile e luglio 2010 vengono a scadere sia la mobilità che la cassa straordinaria. Sulla mobilità il risultato è pressoché raggiunto: l'organico si riduce di 13 unità rispetto alle 15 ipotizzate dall'azienda. Ma è sulla ripresa del lavoro che cominciano i problemi più pesanti. Seppur con un organico ridotto di 13 unità, il carico di lavoro cresce almeno del 25%. Nonostante ciò, la Wagner decide comunque di aprire una ulteriore procedura di mobilità per 37 lavoratori. Il 20 luglio 2010 comincia così il nuovo timing dei 75 giorni necessari per il raggiungimento di un accordo con le organizzazioni sindacali. La motivazione della Wagner è l'intenzione di spostare parte della produzione in un Paese dove il lavoro costa meno. Cioè la Svizzera!
In realtà la volontà dell'azienda è un'altra: quella di cominciare la dismissione degli stabilimenti italiani per concentrare la produzione negli stabilimenti tedeschi e svizzeri. E' nel corso di questa trattativa che la Wagner cala il suo ricatto: si dichiara disponibile a sottoscrivere un accordo per la concessione della cassa in deroga (soluzione caldeggiata dal ministero del Lavoro) ma chiede in cambio la firma delle pre-adesioni. La Wagner pretende anche di scegliere essa stessa le persone da sottoporre a questo "trattamento". Altrimenti, fa sapere, non si parla nemmeno di cassa in deroga e si va avanti spediti con la procedura di licenziamento per i 37 lavoratori interessati dalla mobilità.
Ovviamente di fronte a questo ricatto la trattativa si rompe. Una parte dei lavoratori della sede di Brugherio dà avvio ad una forte mobilitazione che porta all'assemblea permanente. Un'altra parte, invece, si riunisce in un albergo a 4 stelle per dichiarare che «non è bello che qualcuno debba essere licenziato ma è per il bene degli altri che sono la maggioranza…». Insomma, una parte di dipendenti ritiene che seppur dolorosa questa scelta faccia parte di «un piano di sviluppo deciso dall'azienda per far fronte ad una difficile situazione finanziaria». Così, mentre i lavoratori del presidio si autofinanziavano per far fronte alle spese minime dell'assemblea permanente (un po' di generi alimentari, qualche striscione ecc.), nel centro congressi del Cosmo Hotel si decideva che la lotta non era il miglior modo di difendere i diritti dei lavoratori.
L'azienda, dunque, è riuscita a creare una grave frattura tra i lavoratori convincendone una parte che per mantenere la continuità aziendale si rende necessario sacrificare una parte di colleghi. Ma grazie alla lotta di chi è rimasto ad animare l'assemblea permanente la trattativa sembra riaprirsi. C'è ora la possibilità che possano essere rimosse le posizioni più estreme per cercare una soluzione che, quantomeno, rispetti la dignità e i diritti dei lavoratori.

Liberazione 21/10/2010, pag 5

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