giovedì 4 novembre 2010

«Diritti, se no dalla gru noi non scendiamo»

Stefano Galieni
«Noi da qui non scendiamo. Prima le risposte e poi se ne parla». Arun è uno dei sei lavoratori immigrati - erano 5 ma ieri si è aggiunto un altro ragazzo senegalese - che da sabato a mezzogiorno rivendica i suoi diritti su una gru gialla e azzurra a 35 metri di altezza, una gru dei cantieri della metro di Brescia posta in piazza Cesare Battisti.
Anche ieri gli operai del cantiere non si sono presentati, piove e tira un vento che rende impossibile lavorare ma loro, intabarrati in una cabina che oscilla pericolosamente, martellati dalla pioggia e dal freddo, neanche più difesi da un telone che avevano messo a propria protezione, resistono.
Arun viene dal Pakistan, è da sette anni in Italia e per campare ha fatto qualsiasi lavoro. Privo di documenti non può neanche rivedere i suoi, lo utilizzano come lavoratore al nero perché sfruttabile e possono anche non pagarlo, è considerato solo braccia, in questo periodo dava volantini pubblicitari per 8, a volte 12 ore al giorno guadagnando 20 euro, 25 al massimo. «Arrivo a guadagnare al massimo 500 euro al mese, non riesco neanche a pagare l'affitto, non ho diritto alla sanità, voglio, vogliamo solo lavorare regolarmente, per questo siamo qui sopra e siamo sempre più determinati». Racconta di come la svolta repressiva attuata a Brescia abbia rafforzato i loro propositi: «Quando ci hanno caricato sabato, impedendoci di manifestare per i nostri diritti, quando hanno smantellato il nostro presidio in via Lupi di Toscana, non lo sapevano ma ci hanno rafforzato. È stato come dirci che non abbiamo più nulla da perdere e allora abbiamo deciso di salire. C'è un altro ragazzo pakistano con me, poi un marocchino, un egiziano, un indiano e da poco anche un senegalese. Alcuni stanno male ma hanno deciso di non scendere, sotto ci sono i nostri fratelli, immigrati e italiani che ci danno una mano e che non ci fanno sentire soli».
Le richieste dei dimostranti sono semplici da recepire, vogliono che il presidio sotto la prefettura venga autorizzato e ripristinato, vogliono un incontro con il ministero dell'interno da cui giungano risposte concrete e positive, vogliono che il governo garantisca i diritti di chi manifesta. Di ragioni ne hanno da vendere. Situazioni come le loro sono i risultati della regolarizzazione del 2009, quella che doveva riguardare colf e badanti ma che si è dimostrata l'unico sbocco per chi voleva vivere legalmente in Italia. Molti lavoratori sono stati truffati da finti datori di lavoro, hanno firmato contratti finti e pagato di tasca propria i contributi. In altri casi la truffa è stata ancora più misera. Racconta Arun: «All'inizio avevano scritto che i decreti di espulsione precedenti non impedivano l'ottenimento della regolarizzazione. Poi hanno creato il reato di clandestinità e a quel punto tutto si è bloccato. Noi nel frattempo avevamo pagato, sputando l'anima per trovare i soldi necessari. Io mi vergogno per voi, per questa truffa».
Ogni tanto sale sulla gru un pacco: cibo caldo, vestiti di ricambio, incerate per proteggersi dalla pioggia battente, c'è sempre un capannello nutrito sotto, giorno e notte a controllare la situazione e la notizia si sta spandendo anche nel resto d'Italia. Non è impossibile che Brescia abbia solo acceso una miccia, lanciato un segnale che potrebbe essere raccolto presto in altre città. Riunioni delle realtà antirazziste segnalano l'intenzione di non lasciare i bresciani da soli. «Cosa abbiamo da perdere? - si chiede Arun, che dei 6 è quello il cui italiano è più fluido- C'è chi non può tornare a casa da oltre 10 anni, chi sta male ma ha paura a farsi curare, chi potrebbe avere un lavoro decente e non può solo a causa del permesso di soggiorno. Se continua il silenzio sappiamo come andare avanti, siamo disposti anche ad arrivare allo sciopero della fame. In molti anche da sotto ci seguirebbero. Non importa se qualcuno è già malato o si sta indebolendo. Sappiamo di rischiare la vita ma dobbiamo combattere. Siamo noi ad avere ragione. Vogliamo solo poter vivere. Chiediamo tanto?».
In piazza S. Faustino, dove un sacerdote, don Nolli, ha messo a disposizione uno spazio per i lavoratori immigrati, si è realizzato un piccolo magazzino da cui partono continuamente gli aiuti e dove passano soprattutto i compagni di "Diritti per tutti" associazione in prima fila al fianco degli immigrati insieme alle poche forze della sinistra di alternativa. Oltre a Rifondazione, che segue costantemente la vicenda, hanno preso posizione sulla vicenda Giustizia e Libertà, che ha emanato un comunicato ricordando l'articolo 1 della costituzione, e Monsignor Toffari della Curia locale che, pur dichiarandosi contrario a qualsiasi manifestazione che violi la legge, ha chiesto di assicurare un ascolto istituzionale che garantisca ai migranti il rispetto dei diritti umani. Sono poi intervenuti a sostegno dei lavoratori anche il Movimento nonviolento, l'IdV e il capogruppo del Pd in commissione affari costituzionali Gianclaudio Bressa. Quest'ultimo propone un permesso di soggiorno (da concedere in assenza di cause ostative e nel rispetto delle direttive europee) in attesa di occupazione. Anche Bressa teme nuovi imprevedibili sviluppi. Tutto tace invece per ora dal ministero dell'Interno: chi regge il dicastero sembra più occupato dalle vicende del premier che da una questione che riguarda direttamente almeno 120 mila lavoratori e lavoratrici sparsi per tutta Italia. Intanto però scende la notte e la situazione ogni giorno diventa più dura, sabato ci sarà un'altra manifestazione, che stavolta dovrebbe essere autorizzata non sussistendo ostacoli o impedimenti. Il freddo aumenta ma la determinazione resta la stessa, Arun e i suoi compagni non fanno mistero della propria situazione:«Abbiamo trovato come ci aspettavamo la solidarietà dei nostri compagni e di chi non ci ha mai lasciati da soli ma non possiamo lasciare una battaglia a metà. Sarebbe come non averla fatta. Accada quel che deve accadere, noi da qui scendiamo solo con dei risultati. Finora siamo sempre stati invisibili a cui chiedere lavoro a basso costo, ora siamo persone».

03/11/2010, pag 1 e 5

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