giovedì 4 agosto 2011

Candy, una delocalizzazione che non ha né capo e né coda

Lecco tra diretti e indotto a rischio 400 posti di lavoro

Matteo Gaddi
E' la volta delle lavastoviglie Candy, prodotte a Santa Maria Hoè, in provincia di Lecco.
L'azienda annuncia la decisione di delocalizzare la produzione in Cina: 204 dipendenti diretti (tra i quali 26 coppie sposate) e almeno altrettanti nell'indotto sono a rischio.
In questo caso, la proprietà comunica unilateralmente l'intenzione di chiudere lo stabilimento lecchese Bessel, che produce lavastoviglie per la Candy, spostandone la produzione in Cina, dove gli stipendi più bassi e le condizioni di fornitura consentirebbero di risparmiare 19 euro a pezzo.
Una impostazione irricevibile per i lavoratori e per i sindacati che immediatamente organizzano una risposta all'altezza della sfida: assemblee, sciopero, presidio continuo ai cancelli dello stabilimento.
Ma soprattutto dimostrano una straordinaria capacità di mobilitare il territorio a difesa dei posti di lavoro: un documento sottoscritto dai sindaci della zona chiede esplicitamente all'impresa di assumersi le proprie responsabilità e, in subordine, chiama in causa gli imprenditori brianzoli affinché valutino l'ipotesi di acquisire lo stabilimento per mantenere l'occupazione.
Le intenzioni della Candy verranno misurate nel corso di più incontri che le organizzazioni sindacali, forti della risposta dei lavoratori e del territorio, sono riuscite a metter in piedi: Regione Lombardia, Governo, istituzioni locali ne discuteranno in questi giorni per definire interventi concreti in grado di scongiurare una chiusura che si rivelerebbe drammatica, sia per il territorio sia per i destini più generali del settore dell'elettrodomestico.
In gioco, infatti, ci sono i destini di un intero settore industriale.
Indesit, Electrolux, Merloni: sono i nomi delle principali imprese che in Italia negli ultimi anni hanno realizzato pesantissimi interventi di ristrutturazione e ridimensionamento occupazionale.
La crisi Candy rischia di dare un ulteriore colpo all'industria dell'elettrodomestico. "Vogliamo sentire proprio questo dal Governo: vogliamo sapere cosa intende fare per mantenere e qualificare questo settore in Italia o, al contrario, se pensa che l'elettrodomestico debba essere prodotto solo all'estero, nei Paesi a basso costo del lavoro", spiega Diego Riva della Fiom di Lecco. Che prosegue: "per difendere questo stabilimento siamo disposti a discutere nel merito di un progetto industriale, ci dicano quali sono le condizioni: ne discuteremo per arrivare a formulare anche proposte su energia, ricerca, nuovi prodotti".
Quello che non è accettabile è impostare una discussione che abbia al centro esclusivamente il tema dei costi, rispetto ai quali, a causa dei differenziali salariali e normativi esistenti, l'Italia non può che uscire perdente dal confronto con Paesi come Cina, Turchia, India, Est Europeo.
Candy dispone già di stabilimenti in Spagna, Francia, Repubblica Ceca, Russia, Turchia e Cina: "messi sempre in concorrenza tra loro dal punto di vista della produttività - spiegano i lavoratori in presidio - con la promessa che i migliori siti sarebbero stati mantenuti. ".
La stessa concorrenza che la Candy gioca anche all'interno dei Paesi: nel caso dell'Italia tra lo stabilimento di Santa Maria e quello di Brugherio, sempre in Brianza. Per quest'ultimo stabilimento, qualora la vertenza in corso non venisse affrontata a livello di Gruppo, gli stessi rischi di chiusura sono destinati a riproporsi in tempi brevi.
Una degli aspetti più rilevanti da sottolineare è che la Candy non ha un Bilancio in rosso; nonostante la crisi degli ultimi anni ha chiuso in sostanziale pareggio: "se ne va in Cina non per fermare presunte perdite di bilancio, ma per guadagnare ancora di più".
Con la delocalizzazione della Candy verrebbe meno l'ennesimo prodotto che si fa vanto del marchio di "Made in Italy" come ricordano in maniera pungente gli striscioni al presidio: un "Made in China" che cancellerebbe decenni di esperienza, professionalità, impegno del territorio e delle istituzioni a sostegno di queste produzioni.
Non va dimenticato, infatti, che anche questa fabbrica è stata attivamente sostenuta, non da ultimo, dai decreti Tremonti sugli eco-incentivi per la rottamazione degli elettrodomestici.
Come nel caso delle moto Yamaha, quindi, anche le vendite di elettrodomestici sono state spinte dagli eco-bonus e, ancora una volta, dopo aver ottenuto risultati vantaggiosi, le multinazionali non si fanno problemi ad abbandonare il Paese.
In assenza di una legge contro le delocalizzazioni, dovremo convivere a lungo con questo drammatico problema.


Liberazione 09/06/2011, pag 6

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