giovedì 4 agosto 2011

Anche il ministero dalla parte degli operai

Candy «Siamo contrari alla delocalizzazione»

Matteo Gaddi
La lotta dei lavoratori della Bessel Candy di Lecco comincia a sortire qualche risultato. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha duramente bocciato la decisione dell'ing. Fumagalli di chiudere lo stabilimento lombardo di lavastoviglie per spostarne la produzione in Cina. «Il Ministero dello Sviluppo Economico ha ribadito con fermezza la contrarietà a questa strategia di delocalizzazione che avrebbe conseguenze molto negative non solo per i lavoratori ed il territorio direttamente coinvolti, ma per l'intero Paese»: recita così il comunicato dell'incontro del 9 giugno. Con la fissazione di una nuova data, il 27 giugno, per riprendere il confronto e arrivare ad un accordo per il «mantenimento delle attività produttive e dell'innovazione di prodotto secondo i nuovi canoni richiesti dal mercato».
Da qui al 27, quindi, si moltiplicano le iniziative per convincere la proprietà ad abbandonare il vicolo cieco della delocalizzazione: «Questa vicenda dimostra che nella maggior parte dei casi le aziende che investono nei Paesi asiatici non lo fanno per presidiare un possibile mercato di sbocco delle merci prodotte, ma solo per rincorrere il costo del lavoro più basso e, spesso, privo di diritti», spiegano gli operai in presidio. Che nel frattempo sono in produzione per due settimane al mese e le altre due in cassa integrazione; ma questa pesante decurtazione salariale non li ha fatti desistere dal confermare uno sciopero a scacchiera che prevede la sospensione del lavoro per due ore al giorno.
Candy, quindi, produrrebbe in Cina per poi importare gli elettrodomestici da vendere sui mercati occidentali. Costo del lavoro cinese; costo del prodotto occidentale: ecco la ricetta per fare profitti.
In Cina, infatti, non venderebbe una sola lavastoviglie prodotta: altroché internazionalizzazione delle imprese.
L'azienda, al momento, non ha mostrato l'intenzione di desistere; un atteggiamento frutto di scelte compiute negli ultimi anni che l'hanno portata a cessare progressivamente le produzioni di elettrodomestici: frigoriferi (spostati in Repubblica Ceca), lavatrici (in Cina), asciugatrici e altri prodotti. Dal 2005 in azienda è risultata prevalente la logica commerciale rispetto a quella industriale: una scelta imposta da Aldo Fumagalli che ha anche fortemente ridisegnato l'assetto societario nonché le prospettive di (non) sviluppo.
Anche sulle lavastoviglie, il principale prodotto dello stabilimento lecchese, i numeri non tornano: «Candy occupa una fascia di mercato pari a 350.000 pezzi, ma noi attualmente ne produciamo solo 160.000: una parte delle 200.000 mancanti viene già realizzata da un terzista cinese». La continua riduzione dei volumi realizzati nello stabilimento in provincia di Lecco, arrivato a produrre anche 240.000 pezzi, era dovuta proprio a questo: la produzione è stata progressivamente spostata in Cina, a favore di Midea Group, un terzista che lavora anche per altre aziende come Bosch e Siemens.
Il prodotto cinese tuttavia presentava evidenti problemi di qualità ai quali la proprietà Candy ha risposto in modo chiaro: anziché reinternalizzare le produzioni, da un anno ha ceduto anche l'intera progettazione ed il lay-out del prodotto a Midea. Fumagalli sostiene che i costi di produzione non consentono di conseguire risultati economici positivi; «In realtà il Bilancio del Gruppo Candy è in attivo, ma la proprietà guarda solo alla divisione specifica» lamentano i lavoratori. Che aggiungono: «Negli ultimi anni sono mancati progetti e investimenti veri; gli unici che sono stati fatti sono quelli che hanno aumentato la produttività».
Alla Bessel, infatti, la produzione di una lavastoviglie è passata da 75 a 43 minuti. Sono stati fatti investimenti sul prodotto (meno pezzi, minor tempo di montaggio) e di processo (è stata automatizzata una parte della produzione); con l'unica finalità di aumentare la produttività; non per realizzare strategie industriali di lungo periodo. Tutta la parte delle presse è stata automatizzata; si è realizzata la "pulizia dei tempi"; sono aumentati i ritmi di lavoro. Con l'unico risultato di ridurre il personale: «Se nel mio reparto prima eravamo in 15 o 16, adesso lavoriamo in sei» ci dice un operaio. Solo il controllo delle Rsu sull'organizzazione del lavoro e la tenuta dei rulli frizionati (linee di montaggio che vengono attivate dai lavoratori) hanno consentito di contenere i danni, che comunque non sono mancati come testimoniano le malattie professionali che segnano molti lavoratori e lavoratrici.
Ad essere a rischio non sono solo i dipendenti diretti della Bessel, ma anche l'indotto e i fornitori di componenti: «E' vero che una buona parte di questi ormai vengono dall'estero, ma rimangono comunque imprese italiane che ci riforniscono». Anche queste imprese seguiranno la sorte delle lavastoviglie e si sposteranno in Cina? Forse sì, visto che la Regione Lombardia, governata dalla Lega e dal Pdl, continua a finanziare la cosiddetta "internazionalizzazione" delle imprese lombarde. Con la continua moria di attività e di posti di lavoro sul territorio lombardo. Mica male per i leghisti, candidatisi a ruolo di "sindacato del territorio".


Liberazione 17/06/2011, pag 7

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